Viaggio intorno al classicismo
Carlo Virgilio
26/02/2004
L’esposizione che si è aperta presso la galleria d’arte “Carlo Virgilio” a Roma merita una visita approfondita. Nello spazio limitato di due sale, una piuttosto spaziosa l’altra angusta, l’antiquario e collezionista di via della Lupa propone al pubblico dei curiosi e dei compratori un gran numero di opere, soprattutto dipinti e disegni, di alta qualità, poco note e provenienti dal mercato internazionale.
Quello che viene presentato è un viaggio intorno al classicismo, dall’ultimo quarto del XVIII secolo al primo quarto del XX: dalle elaborazioni precoci di Stefano Tofanelli (1752-1812) nel genere del ritratto e della pittura di storia agli incisivi paesaggi di Renato Tomassi (1884-1972), esponente del movimento generalmente noto come “ritorno all’ordine”.
“La mostra - sostiene il curatore del catalogo Stefano Grandesso – si struttura intorno al tema della continuità dell’Italia come centro di produzione di opere d’arte di stampo classicistico”. Fondamentale appare il quadro di Tofanelli Cristopher Hewetson davanti al Monumento di Richard Baldwin, dipinto verso il 1783. Nel serrato dialogo tra pittura e scultura (l’artista ritrae Hewetson, scultore irlandese romanizzato, davanti al sepolcro da lui realizzato, del quale i giornali dell’epoca avevano elogiato “semplicità di composizione, correzione di disegno, e gusto grandioso ne’ panneggiamenti”), l’opera sottolinea le comuni istanze per il rinnovamento del linguaggio figurativo sulla base di un’imitazione razionale della natura e di un filologico recupero dell’antico. E testimonia anche la centralità e il cosmopolitismo della situazione romana che di lì a poco avrebbe prodotto le sintesi esemplari di David e Canova (Il giuramento degli Orazi e i Monumenti funebri a Clemente XIV e Clemente XIII). Sorprende per l’originalità e l’alta qualità di esecuzione il Ritratto di fanciullo in veste di Bacco di Angelica Kauffmann (1741-1807), realizzato a Roma intorno al 1786. Catalogabile nel genere del ritratto di ruolo, molto in voga nell’Inghilterra di secondo Settecento (e già inaugurato da Van Dyck), il dipinto raffigurerebbe un principino della corte napoletana di Ferdinando IV di Borbone e di Maria Carolina d’Austria. E’ un convincente esempio del virtuosismo della Kauffmann nel genere: unendo ambiti allegorici, mitologici e letterari, l’artista nobilita il personaggio, quasi elevandolo alla sfera divina. In tale elevazione la persona raffigurata assume così una valenza che oltrepassa i confini del potere locale e temporale.
Il ruolo dell’Italia, e di Roma in particolare, come meta finale del pellegrinare di artisti stranieri in cerca delle radici classiche o cristiane della civiltà è l’altro nodo tematico dell’iniziativa. Da Tischbein, fraterno compagno di Goethe a Roma, ai Nazareni Frommel e Seitz, da Wicar a Ingres e Gérome, da Girodet de Roucy Trioson a Guy Head, membro della attiva comunità anglo-romana di fine Settecento, tutti diedero un contributo al recupero filologico dell’antico e del suo sentimento. Il Ritratto di giovane romana su sfondo di paesaggio dipinto da Gérome nel 1844, è tracciato con una precisione da medaglista rinascimentale e può essere assimilato agli studi di figura eseguiti dai pensionnaires dell’Accademia di Francia. Simile ad alcune contemporanee composizioni di Francesco Hayez, presenta sullo sfondo uno scorcio di campagna romana, il luogo “mitico” del perfetto connubio tra natura e antico.
“Nel corso dell’Ottocento, e ancora nel secolo successivo - continua Stefano Grandesso - altre correnti di gusto si sono affiancate al classicismo: il realismo, il simbolismo, il divisionismo. Il paesaggio d’Italia ha continuato ad essere il soggetto delle elaborazioni degli artisti accademici e non accademici”. Giovanni Costa, Francesco Paolo Michetti e Giacomo Balla hanno dato della campagna romana e dei litorali partenopei interpretazioni commosse. Tre opere esposte, Paesaggio con due figure femminili, Uliveto su sfondo di marina e Villa Borghese dal balcone, spiccano per originalità e negano la presunta inferiorità dei pittori italiani nell’osservazione del vero e nell’elaborazione sentimentale o simbolica del dato naturalistico. Due disegni a lapis di Giulio Aristide Sartorio, caratterizzati da una sorprendente energia del segno e da un potente sentimento di tensione vitale, testimoniano di una riflessione sull’esperienza dei paesaggisti di Barbizon e su quella di Constable e Turner.
La promozione della cultura figurativa di Sette e Ottocento legata all’accademia, poco nota al grande pubblico, affezionato piuttosto alla lezione degli artisti fuoriusciti, realisti e impressionisti tra gli altri, è la linea seguita in anni di attività da Carlo Virgilio. La mostra conferma tale impopolare indirizzo di gusto.
Quadreria 2001. Arte in Italia 1780-1930, tradizione e continuità
Galleria d’Arte moderna e contemporanea “Carlo Virgilio”
Via della Lupa 10, Roma
30 maggio – 6 luglio 2001
Catalogo a cura di Stefano Grandesso
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