La basilica di San Pietro a Grado

Basilica di San Pietro a Grado, Pisa
 

24/03/2002

La basilica di San Pietro a Grado sorge a pochi chilometri da Pisa in direzione del mare, in un’area lambita in passato dalle acque dell’Arno. La colonia di San Piero era in epoca romana un punto di sbarco per i vascelli che scendevano al mare: della sua funzione resta traccia nel nome Grado, dal latino gradus, cioè scalo. Secondo la leggenda, l’apostolo Pietro sarebbe approdato sul luogo durante una tempesta nel suo viaggio da Antiochia a Roma, nel 43 d.C. circa. Qui avrebbe celebrato una messa, per poi riprendere il cammino con i propri discepoli. Della basilica si hanno notizie dalla fine del IV secolo e sembra che essa sorse sulle fondamenta di una costruzione civile di epoca romana, una villa o un magazzino. I moderni scavi archeologici hanno fatto emergere murature composte da grossi blocchi di tufo marino. La pianta della primitiva chiesa aggiunse alle forme dell’edificio preesistente un’abside. Doveva dunque presentarsi come un’aula a tre navate spartite da colonne impostate su muretti o da pareti a tutta altezza regolarmente interrotte da porte e finestre. Intorno al IX secolo si provvide ad alzare una nuova basilica dotata di tre absidi (quella centrale ricalcata su quella del IV secolo) e navate più larghe. Essa fu inglobata nella struttura successiva, datata alla metà del X secolo, scampata solo in parte alla piena dell’Arno del 1180. L’edificio assunse questa volta la caratteristica configurazione ad absidi contrapposte che lo contraddistingue ancor oggi. Le absidi sottolineavano la duplice funzione di sacrario commemorativo dello sbarco di Pietro e di chiesa vera e propria. Il lessico architettonico della basilica segue i modi della tradizione paleocristiana, con la cospicua presenza di materiali di reimpiego. Il paramento esterno, in piccole bozze di tufo marino, è animato da sottili lesene e da una sequenza di archetti ciechi; semplici monofore permettono l’illuminazione delle navate; tre grandi occhi si aprono sul timpano orientale. A connotare come unicum l’edificio, la severa mole era vivacizzata dalla ricca policromia degli oltre duecento inserti ceramici di provenienza islamica inseriti nella parte alta delle murature. All’interno lo spazio si presenta diviso da ventiquattro splendide colonne e altrettanti capitelli di spoglio, di varia fattura e tipologia. Al momento la parte occidentale della navata centrale è occupata da una vasta area di scavi e da un grande ciborio gotico; la parte orientale è adibita al culto. Sono ben conservati gli affreschi con le “Storie di S. Pietro” e i “Ritratti dei Pontefici”, generalmente attribuiti al pittore lucchese Deodato Orlandi, attivo tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Il ciclo fu commissionato da un membro della famiglia Caetani, quasi certamente in occasione del Giubileo del 1300, e si articola su tre livelli sovrapposti. Quello inferiore accoglie quarantotto ritratti di pontefici con il Vangelo in mano e nell’atto di benedire; quello intermedio presenta trenta riquadri con Storie della vita di Pietro e di Paolo e con episodi delle vite di Costantino e di papa Silvestro; quello superiore contiene, infine, un motivo a finte finestre, alcune aperte, altre semichiuse o chiuse. Il valore didascalico dell’insieme appare fuori discussione. Inferiore qualitativamente ad altri cicli contemporanei, se ne differenzia per un particolare tono arcaico e favolistico.