Al cinema il 26 e 27 giugno

Le memorie di Giorgio Vasari – la nostra recensione

Le memorie di Giorgio Vasari, Brutius Selby nei panni del protagonista
 

Francesca Grego

21/06/2018

Roma - È un uomo mite, gentile e generoso il Vasari che vedremo al cinema il 26 e il 27 giugno nell’ultimo film di Luca Verdone, distribuito da Zenit Distribution con la collaborazione di Twelve Entertainment. E dalla sua ha un merito immenso: con i volumi delle Vite ha inventato la storia dell’arte così come la conosciamo oggi, tramandandoci un insostituibile repertorio di notizie sulla scena italiana e i suoi protagonisti tra il Duecento e il Cinquecento.
 
Ma spesso dimentichiamo che Giorgio Vasari - qui interpretato dall’attore italo-britannico Brutius Selby - è stato anche un grande artista: l’architetto del complesso degli Uffizi e della Tomba di Michelangelo, lo scenografo di memorabili commedie teatrali, l’artefice di affreschi come quelli del Palazzo della Cancelleria a Roma, del Monastero di Camaldoli, dello Studiolo di Cosimo de’ Medici a Firenze e di Palazzo Corner a Venezia, del Monastero degli Olivetani o della Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli.
 
Opera dopo opera, città dopo città, il film ci conduce sulle orme di un pittore nomade e appassionato, capace di incarnare lo spirito e le idee del Rinascimento. “Chi considera Vasari una figura di secondo piano dovrebbe andare a riguardarsi i suoi dipinti”, ha dichiarato il regista durante la presentazione del film al Cinema Farnese di Roma: “Questo progetto ha origine proprio dal desiderio di portare a conoscenza del grande pubblico un personaggio e un corpus di pitture e disegni rimasti immeritatamente nell’ombra”.
 
Girato in inglese e concepito per un pubblico internazionale, Le memorie di Giorgio Vasari vuole essere un inno all’arte del Bel Paese, alla realtà tangibile di “un patrimonio di cui tutti dovremmo essere fieri”, ha continuato il regista, “un tentativo di alzare il tiro del cinema, in controtendenza rispetto al tabù che le case di produzione e le televisioni sembrano avere nei confronti dell’arte. Per questo dedico il lavoro a Roberto Rossellini, con cui da giovanissimo ho avuto la fortuna di collaborare come assistente volontario e che mi ha insegnato che un film deve sempre comunicare dei concetti”.
 
Luci puntate sul Cinquecento italiano, dunque, e sul vivace milieu culturale che ruota intorno all’artista-scrittore tra Firenze e Roma. Come nei suoi volumi, l’autore delle Vite ci guida tra opere, storie e celebri personaggi del suo tempo. C’è un Michelangelo (Allan Caister Pearce) severo e altezzoso che per Vasari rappresenta l’apice dell’arte di ogni epoca, cui si affianca un affabile Tiziano (Alberto Cracco), che in pochi minuti ci introduce alle meraviglie di una pittura allora mai vista, fatta solo di luce e colore. Pietro Aretino, mondano concittadino di Vasari, lo invita a conoscere le novità di Venezia, mentre Cecchino Salviati è suo compagno di avventure artistiche lungo lo Stivale, a partire da quando, giovanissimi, i due salvano dalla distruzione il David di Michelangelo durante una giornata di tumulti a Palazzo Vecchio.
Intrighi, delitti e lotte per il potere infiammano la Firenze dei Medici e l’intera Penisola pullula di mecenati grandi e piccoli - papi, monsignori, badesse, duchi e facoltosi banchieri - che fanno a gara a ornare chiese e palazzi con i gioielli di un’arte nuova. Nella bottega del maestro, intanto, la giovane modella Clementina (Livia Filippi) fa sbocciare i fiori della bellezza e dell’amore.
 
A tenere tutti insieme è proprio il personaggio di Vasari, un artista che, come nessun altro, ha rinunciato al proprio ego per raccontare l’arte dei colleghi e riprodurre in mirabili disegni i capolavori di una stagione irripetibile, conscio dell’importanza della memoria.
“Vasari rappresenta il trait-d’union tra Roma e la Toscana, tra i principali centri propulsori di un momento cruciale della storia dell’arte”, spiega Verdone, “ma anche una figura capace di sintetizzare gli esiti di quel lungo e magnifico processo che dal Medio Evo si spinge fino al Rinascimento, portando a compimento l’evoluzione del disegno toscano”.
 
“È compito dell’arte rappresentare la verità?”, chiede all’artista Frate Severino (Clive Riche) accogliendolo all’Eremo di Camaldoli: “Ma poi che cos’è la verità in pittura?”. Scavalcando ogni cavillo filosofico, Vasari risponde che la verità è nella natura e nell’occhio – tutto umano - dell’artista.
I frutti del Rinascimento sono maturi, non resta che coglierli e consegnarli alla storia.
 
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