Intervista a Remo Anzovino, autore della colonna sonora del film
Tra il Grano e il Cielo, la musica di Van Gogh
Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi, Olio su tela, 1890, Amsterdam, Van Gogh Museum
Francesca Grego
06/04/2018
Se Van Gogh fosse musica, la sua voce sarebbe nel “suono struggente, popolare e spirituale della fisarmonica”. Parola di Remo Anzovino, autore della colonna sonora del film “Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo” realizzato da Nexo Digital e 3D Produzioni, che uscirà nelle sale cinematografiche il 9 aprile.
“Lontano dai cliché e dal folklore di un Van Gogh pazzo e geniale, il film racconta uno dei massimi artisti mai esistiti attraverso una chiave di lettura molto originale”, racconta Remo: “attraverso lo sguardo della grande collezionista Helene Kröller-Müller che, a meno di 20 anni dalla morte del pittore, riesce a comprenderne tutto il valore”.
Che tipo di esperienza rappresenta per un musicista lavorare su una figura immensa come quella di Van Gogh?
“È stato un viaggio interiore fortissimo, credo sia il sogno di ogni musicista. In più mi intrigava il punto di vista femminile sulla vicenda. Convinto che in un film come questo la musica non potesse essere puro commento, ho cercato di immedesimarmi profondamente nell’anima e nelle emozioni di Van Gogh in modo da poterle trasferire sul pentagramma. Un’esperienza talmente intensa che certe sere, mentre ero seduto a comporre, mi sembrava voltandomi di vedere la sua figura in controluce vicino a me. Pensavo alle sensazioni che aveva potuto provare quando, recluso in una camera del manicomio di Saint-Rémy, dipingeva un capolavoro come la Notte stellata o a una lettera che scrisse dall’assolata Arles, in cui affermava di sentirsi ‘come una cicala’, felice come non era mai stato in vita sua. Tutta questa gioia è esplosa in un brano per orchestra, la Arles Symphony, che rappresenta sicuramente uno degli highlight della colonna sonora”.
È stato immediato e naturale calarti nel mondo di Van Gogh?
“Non posso negare di aver sentito, insieme alla gratificazione, il peso di un’importante responsabilità. Rispetto ad altre colonne sonore che ho composto, questa ha richiesto una preparazione emotiva più lunga. Mi ha aiutato molto leggere e ascoltare tutto ciò che poteva avere a che fare con le vicende narrate: dal volume Malinconia e creazione in Vincent Van Gogh dello psicoanalista Massimo Recalcati ai saggi di Marco Goldin, curatore della mostra Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo fino a domani a Vicenza, da cui il film ha preso le mosse. A sbloccare il flusso creativo è stato proprio l’incontro con Goldin, che mi ha mostrato i quadri arrivati alla Basilica Palladiana dal Kröller-Müller Museum di Otterlo. Subito dopo sono iniziati 43 giorni di vera e propria clausura, in cui ho scritto la partitura, registrato e mixato tutte le musiche”.
A livello musicale, quali sono state le scelte determinanti in questo lavoro?
“Come accennavo prima, l’intuizione di legare la voce di Van Gogh alla fisarmonica ha avuto un’importanza fondamentale. Per questo ho scelto di coinvolgere come interprete solista Gianni Fassetta, uno dei più grandi fisarmonicisti in circolazione. Oltre ad avere notevoli risonanze emotive e di atmosfera, la scelta della fisarmonica mi ha permesso di tenere insieme dal punto di vista sonoro il primo periodo rurale - per intenderci quello dei Mangiatori di patate, in cui l’artista vive predicando il Vangelo tra i contadini olandesi – e il passaggio fondamentale a Parigi, dove Van Gogh scopre la pittura degli Impressionisti. Da suono organistico religioso degli ultimi, la fisarmonica vira così verso il valzer musette francese.
La fisarmonica rappresenta lo struggimento di un artista tormentato: il tema principale intitolato Vincent, per esempio, l’ho composto immaginando il pittore muoversi nella notte della Provenza con il cavalletto e i pennelli, per fermarsi a dipingere con candele accese applicate sulla tesa del cappello come una corona. A crown of lit candles, appunto, racconta come l’essenza di un artista sia comprendere l’imperfezione e la caducità umana per andare oltre le forme convenzionali e colpire al cuore ogni uomo.
Per comunicare la sensazione dello spazio e dell’infinito, ho scelto invece di utilizzare un’orchestra d’archi senza i fiati, con una tessitura molto contemporanea”.
Ti sei ispirato anche alla musica in voga ai tempi di Van Gogh, a quella che può essere stata la colonna reale sonora della sua vita?
“Sul finire dell’Ottocento uno dei generi di maggior successo in Europa era l’opera, Verdi aveva da poco raggiunto un successo eclatante, mentre esplodeva lo stile verista di Puccini. E naturalmente anche la Francia aveva la sua grande tradizione operistica. Nei caffè sicuramente si suonava Chopin, ma nel film mi è piaciuto fare riferimento soprattutto al repertorio popolare della canzone francese, immaginando quello che Vincent avrebbe potuto ascoltare mentre dipingeva o quando si affacciava dalla finestra al quarto piano della sua casa di Parigi. A questo proposito ho tirato fuori dalla mia immensa discoteca i vinili di Edith Piaf che ho sempre conservato gelosamente, sognando che potesse essere lei a cantare quel che andavo a comporre. Musicare la parte parigina mi ha divertito molto: al quartiere bohémien di Montmartre ho dedicato un valzer musette, che in seguito si trasforma in Minuet for a Whore, un minuetto che gronda di sesso e sangue, ispirato al Van Gogh rifiutato dalle donne e frequentatore di prostitute: non a caso è a una di loro che consegnerà il suo orecchio tagliato”.
In passato hai inserito nelle tue composizioni rumori ed elementi sperimentali contemporanei. È accaduto anche in questo caso?
“Mi piace servirmi di tutte le possibilità offerte dalla musica se aggiungono qualcosa di interessante alla narrazione di una scena. Quando scrivo temi importanti è stimolante lavorare per contrasto anche su musiche che abbiano un sapore aleatorio e sperimentale.
Per esempio il brano La follia, che descrive il litigio con Gauguin e il taglio dell’orecchio di Van Gogh, ha un impianto dodecafonico. Il primo attacco psicotico di Vincent è segnalato da un controtempo; dopodiché cinque colpi secchi dell’orchestra all’unisono con i timpani scandiscono i cinque tagli con cui Van Gogh si staccò l’orecchio: un impatto emotivo devastante, tanto più che arriva come un fulmine a ciel sereno mentre si sta parlando di Arles e del sole della Provenza.
Nel tema Remembering Arles, invece, ho suonato il pianoforte ispirandomi a Brian Eno, a mio parere uno dei più grandi geni della musica del Novecento: quando dal manicomio Vincent ripensa alla felicità del suo soggiorno ad Arles, la nostalgia di una vita che è scivolata via assume la forma di tante notine che sembrano esplodere”.
C’è in questa colonna sonora anche qualcosa di completamente nuovo rispetto al tuo percorso di compositore?
“Per questo film ho composto il mio primo movimento di requiem, che accompagna la scena del suicidio. Organo, fisarmonica, orchestra d’archi e violoncello si uniscono in un brano che rappresenta la morte come ascensione verso l’assoluto, che è stato poi il trait-d’union tra le vite di Van Gogh ed Helene Kröller-Müller: due anime in cerca di ‘un Dio non di cartapesta’, che fosse fuori dai riti consumati della religiosità convenzionale. Dipinti come Campo di grano con volo di corvi, Il ponte di Langlois, Notte stellata traboccano del desiderio di incontrare questo Dio degli ultimi, che per certi aspetti somiglia al Dio di San Francesco. Come diceva Pier Paolo Pasolini - che ho avuto modo di conoscere a fondo componendo la colonna sonora del film Pasolini maestro corsaro - ‘la vera morte sta nel non essere compreso’. Per il Van Gogh perseguitato dal conformismo nei villaggi olandesi o ad Auvers-sur-Oise ho voluto scrivere un requiem di estrema bellezza e assolutezza musicale, perché il pensiero che sta dietro i suoi quadri è eterno”.
Quali opportunità ti ha offerto partecipare a un progetto cinematografico come “Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo”?
“Produzioni di questo tipo aprono a un musicista spazi creativi immensi, perché richiedono composizioni che abbiano un taglio cinematografico e non documentaristico. Musiche dotate di una propria vita oltre lo schermo, tant’è vero che stasera a mezzanotte avrò l’emozionante privilegio di suonarle nel salone centrale della Basilica Palladiana di Vicenza, circondato dai dipinti di Van Gogh, dopo aver accompagnato nella serata di ieri Marco Goldin nel recital L’Anima di Van Gogh al Teatro Olimpico.
In generale è stato molto gratificante lavorare a un progetto capace di coniugare la divulgazione dell’arte con la grandiosità e la magia del cinema: immagini in 4k di altissima qualità, inquadrature e taglio cinematografico notevoli, la partecipazione di un’attrice della portata di Valeria Bruni Tedeschi, la possibilità per il pubblico di scoprire da vicino dettagli dei quadri che non potresti vedere a occhio nudo neanche dal vivo.
Per questa bellissima esperienza voglio ringraziare anche i musicisti con cui ho collaborato in questa avventura, in particolare il mio team base per la produzione di colonne sonore: uno straordinario polistrumentista come Federico Mecozzi, Anselmo Pelliccioni, bravissimo violoncellista di San Marino, e Cristian Bonato, dello studio Numeri Records, fonico con una cultura musicale e una competenza preziosissima su suoni, sintetizzatori e rumori”.
Se potessi scegliere, c’è un artista sul quale ti piacerebbe lavorare in futuro?
“In verità preferisco che sia il destino a scegliere: un anno fa di fronte alla stessa domanda avrei fatto sicuramente il nome di Vincent Van Gogh, il mio pittore preferito da bambino, ma forse se l’avessi detto non sarebbe successo. Memore della fortuna che mi è capitata, conservo i sogni nel mio cuore, nella speranza di svegliarmi un giorno e scoprire che stanno per realizzarsi”.
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“Lontano dai cliché e dal folklore di un Van Gogh pazzo e geniale, il film racconta uno dei massimi artisti mai esistiti attraverso una chiave di lettura molto originale”, racconta Remo: “attraverso lo sguardo della grande collezionista Helene Kröller-Müller che, a meno di 20 anni dalla morte del pittore, riesce a comprenderne tutto il valore”.
Che tipo di esperienza rappresenta per un musicista lavorare su una figura immensa come quella di Van Gogh?
“È stato un viaggio interiore fortissimo, credo sia il sogno di ogni musicista. In più mi intrigava il punto di vista femminile sulla vicenda. Convinto che in un film come questo la musica non potesse essere puro commento, ho cercato di immedesimarmi profondamente nell’anima e nelle emozioni di Van Gogh in modo da poterle trasferire sul pentagramma. Un’esperienza talmente intensa che certe sere, mentre ero seduto a comporre, mi sembrava voltandomi di vedere la sua figura in controluce vicino a me. Pensavo alle sensazioni che aveva potuto provare quando, recluso in una camera del manicomio di Saint-Rémy, dipingeva un capolavoro come la Notte stellata o a una lettera che scrisse dall’assolata Arles, in cui affermava di sentirsi ‘come una cicala’, felice come non era mai stato in vita sua. Tutta questa gioia è esplosa in un brano per orchestra, la Arles Symphony, che rappresenta sicuramente uno degli highlight della colonna sonora”.
È stato immediato e naturale calarti nel mondo di Van Gogh?
“Non posso negare di aver sentito, insieme alla gratificazione, il peso di un’importante responsabilità. Rispetto ad altre colonne sonore che ho composto, questa ha richiesto una preparazione emotiva più lunga. Mi ha aiutato molto leggere e ascoltare tutto ciò che poteva avere a che fare con le vicende narrate: dal volume Malinconia e creazione in Vincent Van Gogh dello psicoanalista Massimo Recalcati ai saggi di Marco Goldin, curatore della mostra Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo fino a domani a Vicenza, da cui il film ha preso le mosse. A sbloccare il flusso creativo è stato proprio l’incontro con Goldin, che mi ha mostrato i quadri arrivati alla Basilica Palladiana dal Kröller-Müller Museum di Otterlo. Subito dopo sono iniziati 43 giorni di vera e propria clausura, in cui ho scritto la partitura, registrato e mixato tutte le musiche”.
A livello musicale, quali sono state le scelte determinanti in questo lavoro?
“Come accennavo prima, l’intuizione di legare la voce di Van Gogh alla fisarmonica ha avuto un’importanza fondamentale. Per questo ho scelto di coinvolgere come interprete solista Gianni Fassetta, uno dei più grandi fisarmonicisti in circolazione. Oltre ad avere notevoli risonanze emotive e di atmosfera, la scelta della fisarmonica mi ha permesso di tenere insieme dal punto di vista sonoro il primo periodo rurale - per intenderci quello dei Mangiatori di patate, in cui l’artista vive predicando il Vangelo tra i contadini olandesi – e il passaggio fondamentale a Parigi, dove Van Gogh scopre la pittura degli Impressionisti. Da suono organistico religioso degli ultimi, la fisarmonica vira così verso il valzer musette francese.
La fisarmonica rappresenta lo struggimento di un artista tormentato: il tema principale intitolato Vincent, per esempio, l’ho composto immaginando il pittore muoversi nella notte della Provenza con il cavalletto e i pennelli, per fermarsi a dipingere con candele accese applicate sulla tesa del cappello come una corona. A crown of lit candles, appunto, racconta come l’essenza di un artista sia comprendere l’imperfezione e la caducità umana per andare oltre le forme convenzionali e colpire al cuore ogni uomo.
Per comunicare la sensazione dello spazio e dell’infinito, ho scelto invece di utilizzare un’orchestra d’archi senza i fiati, con una tessitura molto contemporanea”.
Ti sei ispirato anche alla musica in voga ai tempi di Van Gogh, a quella che può essere stata la colonna reale sonora della sua vita?
“Sul finire dell’Ottocento uno dei generi di maggior successo in Europa era l’opera, Verdi aveva da poco raggiunto un successo eclatante, mentre esplodeva lo stile verista di Puccini. E naturalmente anche la Francia aveva la sua grande tradizione operistica. Nei caffè sicuramente si suonava Chopin, ma nel film mi è piaciuto fare riferimento soprattutto al repertorio popolare della canzone francese, immaginando quello che Vincent avrebbe potuto ascoltare mentre dipingeva o quando si affacciava dalla finestra al quarto piano della sua casa di Parigi. A questo proposito ho tirato fuori dalla mia immensa discoteca i vinili di Edith Piaf che ho sempre conservato gelosamente, sognando che potesse essere lei a cantare quel che andavo a comporre. Musicare la parte parigina mi ha divertito molto: al quartiere bohémien di Montmartre ho dedicato un valzer musette, che in seguito si trasforma in Minuet for a Whore, un minuetto che gronda di sesso e sangue, ispirato al Van Gogh rifiutato dalle donne e frequentatore di prostitute: non a caso è a una di loro che consegnerà il suo orecchio tagliato”.
In passato hai inserito nelle tue composizioni rumori ed elementi sperimentali contemporanei. È accaduto anche in questo caso?
“Mi piace servirmi di tutte le possibilità offerte dalla musica se aggiungono qualcosa di interessante alla narrazione di una scena. Quando scrivo temi importanti è stimolante lavorare per contrasto anche su musiche che abbiano un sapore aleatorio e sperimentale.
Per esempio il brano La follia, che descrive il litigio con Gauguin e il taglio dell’orecchio di Van Gogh, ha un impianto dodecafonico. Il primo attacco psicotico di Vincent è segnalato da un controtempo; dopodiché cinque colpi secchi dell’orchestra all’unisono con i timpani scandiscono i cinque tagli con cui Van Gogh si staccò l’orecchio: un impatto emotivo devastante, tanto più che arriva come un fulmine a ciel sereno mentre si sta parlando di Arles e del sole della Provenza.
Nel tema Remembering Arles, invece, ho suonato il pianoforte ispirandomi a Brian Eno, a mio parere uno dei più grandi geni della musica del Novecento: quando dal manicomio Vincent ripensa alla felicità del suo soggiorno ad Arles, la nostalgia di una vita che è scivolata via assume la forma di tante notine che sembrano esplodere”.
C’è in questa colonna sonora anche qualcosa di completamente nuovo rispetto al tuo percorso di compositore?
“Per questo film ho composto il mio primo movimento di requiem, che accompagna la scena del suicidio. Organo, fisarmonica, orchestra d’archi e violoncello si uniscono in un brano che rappresenta la morte come ascensione verso l’assoluto, che è stato poi il trait-d’union tra le vite di Van Gogh ed Helene Kröller-Müller: due anime in cerca di ‘un Dio non di cartapesta’, che fosse fuori dai riti consumati della religiosità convenzionale. Dipinti come Campo di grano con volo di corvi, Il ponte di Langlois, Notte stellata traboccano del desiderio di incontrare questo Dio degli ultimi, che per certi aspetti somiglia al Dio di San Francesco. Come diceva Pier Paolo Pasolini - che ho avuto modo di conoscere a fondo componendo la colonna sonora del film Pasolini maestro corsaro - ‘la vera morte sta nel non essere compreso’. Per il Van Gogh perseguitato dal conformismo nei villaggi olandesi o ad Auvers-sur-Oise ho voluto scrivere un requiem di estrema bellezza e assolutezza musicale, perché il pensiero che sta dietro i suoi quadri è eterno”.
Quali opportunità ti ha offerto partecipare a un progetto cinematografico come “Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo”?
“Produzioni di questo tipo aprono a un musicista spazi creativi immensi, perché richiedono composizioni che abbiano un taglio cinematografico e non documentaristico. Musiche dotate di una propria vita oltre lo schermo, tant’è vero che stasera a mezzanotte avrò l’emozionante privilegio di suonarle nel salone centrale della Basilica Palladiana di Vicenza, circondato dai dipinti di Van Gogh, dopo aver accompagnato nella serata di ieri Marco Goldin nel recital L’Anima di Van Gogh al Teatro Olimpico.
In generale è stato molto gratificante lavorare a un progetto capace di coniugare la divulgazione dell’arte con la grandiosità e la magia del cinema: immagini in 4k di altissima qualità, inquadrature e taglio cinematografico notevoli, la partecipazione di un’attrice della portata di Valeria Bruni Tedeschi, la possibilità per il pubblico di scoprire da vicino dettagli dei quadri che non potresti vedere a occhio nudo neanche dal vivo.
Per questa bellissima esperienza voglio ringraziare anche i musicisti con cui ho collaborato in questa avventura, in particolare il mio team base per la produzione di colonne sonore: uno straordinario polistrumentista come Federico Mecozzi, Anselmo Pelliccioni, bravissimo violoncellista di San Marino, e Cristian Bonato, dello studio Numeri Records, fonico con una cultura musicale e una competenza preziosissima su suoni, sintetizzatori e rumori”.
Se potessi scegliere, c’è un artista sul quale ti piacerebbe lavorare in futuro?
“In verità preferisco che sia il destino a scegliere: un anno fa di fronte alla stessa domanda avrei fatto sicuramente il nome di Vincent Van Gogh, il mio pittore preferito da bambino, ma forse se l’avessi detto non sarebbe successo. Memore della fortuna che mi è capitata, conservo i sogni nel mio cuore, nella speranza di svegliarmi un giorno e scoprire che stanno per realizzarsi”.
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