Preferirei di no. Lo spazio utopico della rappresentazione
Dal 07 Maggio 2021 al 10 Giugno 2021
Venezia
Luogo: Fondazione Bevilacqua La Masa - La Galleria di Piazza San Marco
Indirizzo: S. Marco 71/C
Orari: tutti i giorni dalle 10.30 alle 17.30. Per visitare la mostra il sabato e nei giorni festivi è necessario prenotare
Curatori: Stefano Cecchetto
Enti promotori:
- Città di Venezia
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 041 5207797
E-Mail info: info@bevilacqualamasa.it
Apre al pubblico venerdì 7 maggio, presso la Galleria di Piazza San Marco la mostra Preferirei di no. Lo spazio utopico della rappresentazione, il tradizionale evento espositivo che conclude il programma dedicato agli Atelier dell’Istituzione Fondazione Bevilacqua La Masa, che si trovano nei prestigiosi spazi di Palazzo Carminati a San Stae, e nel chiostro dei SS Cosma e Damiano alla Giudecca. Si tratta di uno dei più antichi programmi di ospitalità in spazi di lavoro per giovani artisti, organizzato da una Istituzione che vanta più di 100 anni di storia. Ogni anno gli Atelier vengono assegnati ai più meritevoli tramite un bando specifico.
Il focus principale della mostra, curata da Stefano Cecchetto, si concentra sul lavoro dei giovani artisti in residenza negli Atelier Bevilacqua, per un percorso che mette in luce il lavoro svolto nel periodo della loro permanenza: Giacomo Bianco, Simone Carraro, Francesco Casati, Stefano Cescon, Giulia Deganello, Rémi Deymier, Elena Della Corna, Giuseppe Di Liberto, Jingge Dong, Bruno Fantelli, Angela Grigolato, Sara Manzan, Jared Munn, Laura Omacini, Edoardo Ongarato, Camilla Pintonato, Federica Zanlucchi e Alessandro Zonta.
Nel contesto di un dialogo sul tema, il curatore affiancherà alcune opere di maestri internazionali che si relazionano con la concettualità di questo processo formativo, creando così una sequenza alternata di “Mentor e Protégé” utile a determinare le provenienze e le destinazioni dell’arte contemporanea: Vincenzo Agnetti, Candida Hofer, Wim Wenders, Mario Nanni, Alessandro Sambini, Jacopo Negretti detto Palma il Giovane, Bonifacio De Pitati, Saverio Rampin.
Il progetto della mostra intende mettere in evidenza il concetto di spazio come luogo della rappresentazione, dal perimetro della tela alla dimensione ‘altra’ di un immaginario concettuale aperto al territorio e alle problematiche dell’ambiente. Lo spazio espositivo diventa ‘scena’, teatro di un percorso attraverso i differenti paesaggi dell’utile e del dilettevole. Un percorso che indaga il nostro universo visivo e traccia le linee guida di un vedere ‘oltre’, per l’affermazione delle procedure etiche e morali del vivere quotidiano. Le immagini che accompagnano queste sequenze visuali conformano la struttura del mondo: le città, le strade, l’acqua, la vita e la morte, nella necessità di una riproduzione che permuta con il vero, processi interscambiabili tra il reale e la sua dissoluzione.
L’esposizione vuole essere un percorso che mette in relazione i giovani artisti degli Atelier Bevilacqua con un tema, quanto mai attuale, sul rapporto tra lo spazio e la sua fruizione, tra la natura e la sua metamorfosi, tra il reale e l’apparente, tutto questo dentro ai linguaggi – differenti e nello stesso tempo sinergici – per un processo di destabilizzazione dei contenuti.
Una mostra concepita per ‘isole tematiche’ dentro alle quali si sviluppa l’identità/alterità dell’artista, il suo mettersi in relazione con la realtà del vissuto in opposizione e/o in dialogo con l’oggettività artificiale dell’universo informatico. Il recupero di questo incontro può e deve avvenire anche attraverso l’arte, per la conferma di un contatto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive e lavora, un contatto fisico, terapeutico e in grado di fornire elementi indispensabili alla fruizione dell’opera stessa.
Il focus principale della mostra, curata da Stefano Cecchetto, si concentra sul lavoro dei giovani artisti in residenza negli Atelier Bevilacqua, per un percorso che mette in luce il lavoro svolto nel periodo della loro permanenza: Giacomo Bianco, Simone Carraro, Francesco Casati, Stefano Cescon, Giulia Deganello, Rémi Deymier, Elena Della Corna, Giuseppe Di Liberto, Jingge Dong, Bruno Fantelli, Angela Grigolato, Sara Manzan, Jared Munn, Laura Omacini, Edoardo Ongarato, Camilla Pintonato, Federica Zanlucchi e Alessandro Zonta.
Nel contesto di un dialogo sul tema, il curatore affiancherà alcune opere di maestri internazionali che si relazionano con la concettualità di questo processo formativo, creando così una sequenza alternata di “Mentor e Protégé” utile a determinare le provenienze e le destinazioni dell’arte contemporanea: Vincenzo Agnetti, Candida Hofer, Wim Wenders, Mario Nanni, Alessandro Sambini, Jacopo Negretti detto Palma il Giovane, Bonifacio De Pitati, Saverio Rampin.
Il progetto della mostra intende mettere in evidenza il concetto di spazio come luogo della rappresentazione, dal perimetro della tela alla dimensione ‘altra’ di un immaginario concettuale aperto al territorio e alle problematiche dell’ambiente. Lo spazio espositivo diventa ‘scena’, teatro di un percorso attraverso i differenti paesaggi dell’utile e del dilettevole. Un percorso che indaga il nostro universo visivo e traccia le linee guida di un vedere ‘oltre’, per l’affermazione delle procedure etiche e morali del vivere quotidiano. Le immagini che accompagnano queste sequenze visuali conformano la struttura del mondo: le città, le strade, l’acqua, la vita e la morte, nella necessità di una riproduzione che permuta con il vero, processi interscambiabili tra il reale e la sua dissoluzione.
L’esposizione vuole essere un percorso che mette in relazione i giovani artisti degli Atelier Bevilacqua con un tema, quanto mai attuale, sul rapporto tra lo spazio e la sua fruizione, tra la natura e la sua metamorfosi, tra il reale e l’apparente, tutto questo dentro ai linguaggi – differenti e nello stesso tempo sinergici – per un processo di destabilizzazione dei contenuti.
Una mostra concepita per ‘isole tematiche’ dentro alle quali si sviluppa l’identità/alterità dell’artista, il suo mettersi in relazione con la realtà del vissuto in opposizione e/o in dialogo con l’oggettività artificiale dell’universo informatico. Il recupero di questo incontro può e deve avvenire anche attraverso l’arte, per la conferma di un contatto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive e lavora, un contatto fisico, terapeutico e in grado di fornire elementi indispensabili alla fruizione dell’opera stessa.
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