Al cinema il 25, 26 e 27 novembre
L'eredità di Frida Kahlo
FRIDA. VIVA LA VIDA, La pittrice messicana Frida Kahlo (1907 - 1954) siede con le braccia conserte, guardando in basso, di fronte a uno dei suoi dipinti e una gabbia per uccelli in legno. Indossa fiori tra i capelli e una collana di legno | Foto: Hulton Archive - Getty Images | Courtesy of Ballandi Arts e Nexo Digital 2019
Samantha De Martin
12/11/2019
Uno scheletro del Dia de Los Muertos, collegato ad alcuni esplosivi, giace sospeso sopra una Frida dormiente ricoperta di piante in fiore, quasi a sfidare lo spietato mietitore con la bellezza della vita.
Nel Sogno, dipinto nel 1940, l’artista, da autentica messicana, deride la morte scongiurando quel dolore quasi necessario - che, a partire dal terribile incidente in autobus, trafigge il suo corpo per tutta la durata della sua esistenza - con l’arma della bellezza, con la potenza dell’arte, quasi indispensabile alla catarsi dell’anima.
È forse questa una delle opere più rappresentative dell’eredità, ma anche dell’indole, di una delle artiste più amate di sempre, nella quale il binomio eros-thanatos, assieme alla celebrazione delle iconografie primordiali legate alla propria terra, è un retaggio di quella fedeltà alle radici di un Messico pre-colombiano, a quel dualismo che i popoli mesoamericani ponevano alla base del mondo.
Del resto, dopo la rivoluzione del 1910, anche il Messico aveva provato a riscoprire le proprie radici attraverso quell'iconografia pre-colombiana nella quale Frida aveva esplorato l’identità degli opposti: dolore e piacere, tenebre e luce, luna e sole, la vita nella morte e la morte nella vita.
Questo fil rouge basato sul doppio, come il duplice volto della pittrice sfogliato con intensità da una brava Asia Argento, attraversa il docufilm Frida. Viva la Vida, diretto da Giovanni Troilo. La produzione firmata Ballandi Arts e Nexo Digital, in collaborazione con Sky Arte, sarà nelle sale il 25, 26 e 27 novembre, e svelerà una nuova percezione dell’artista, per certi aspetti inedita.
A chi pensa che di Frida Kahlo si conosca già tutto, il lungometraggio risponde con un punto di vista interessante, che si arricchisce di contributi, tra interviste esclusive, documenti d’epoca, ricostruzioni suggestive e opere della stessa Kahlo che danno conto dell’eredità immensa lasciata da questa icona e martire dell’arte.
L’apertura, del suo bagno, avvenuta nel 2004 nella sua casa di Città del Messico, assieme ad alcuni bauli e scatoloni, a 50 anni dalla morte, ha fatto emergere oggetti personali, intimi, normalmente non accessibili al pubblico, che sono stati immortalati dalla fotografa messicana Graciela Iturbide, autrice di una sorta di “reportage della sofferenza” nel bagno dell’artista. Frida era nata e vissuta in Messico, e la sua arte riflette le luci della sua gente e delle tradizioni locali.
Come racconta Hilda Trujillo, che dal 2002 dirige il Museo Anahuacalli e il Museo Frida Kahlo - uno dei tre musei più visitati di Città del Messico che sorge nella Casa Azul che fu dimora della pittrice - l’apertura di bauli, ma anche del bagno dell’artista, ha rappresentato una svolta. «Abbiamo scoperto meraviglie che hanno dato una svolta alla storia di Frida e grazie a lei abbiamo imparato cos’è l’arte» racconta.
Questi oggetti rivelano una Frida più umana, allegra e bohémienne, la donna dentro l’artista, in grado di vivere la vita pienamente trasformando il dolore in un’opera d’arte.
Un dualismo perenne ne accompagna la vita: da un lato c’è la Frida icona, donna forte e indipendente anche dopo il divorzio da Diego Rivera; dall’altro l’artista libera nonostante le costrizioni di un corpo martoriato.
Non è un caso che tra i luoghi visitati dall’artista nel corso della sua esistenza, vi sia la Piramide del Sole, il più grande edificio di Teotihuacan ed uno dei più grandi dell'intera Mesoamerica. Anche lo storico dell’arte James Oles ci restituisce l’immagine di una donna che ha voluto in ogni modo assaporare il passato di un luogo eccezionale, impregnato della storia dei popoli mesoamericani.
E come sempre, le sue percezioni si riversano, come in uno specchio, nella sua arte, con la realizzazione dell’Amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xólot.
L’opera, realizzata nel 1949, affronta il tema della maternità presentata in un contesto pieno di riferimenti alla mitologia azteca e del Messico e la connessione tra l’artista e le energie femminili della terra è evidente. Elementi primitivi che emergono anche nella tela La mia balia e io, dove l’artista cela il volto della sua nutrice dietro una maschera funeraria degli indigeni messicani.
La tradizione dell’ex voto, diffusa anche nel Messico contemporaneo, e alla quale Frida fu fedele, emerge invece in un’opera drammatica - Ospedale Henry Ford - realizzata dopo il secondo aborto a Detroit, il 4 luglio 1932. Qui l’artista giace a letto circondata da sei oggetti e sei nastri le fuoriescono dal ventre, simili a cordoni ombelicali.
D’altra parte molte opere di Frida sono ispirate a ex voto, storie raccontate dalla gente per ringraziare un santo o la Vergine anche solo per il fatto di esistere.
Il repentino passaggio da un mondo a colori al pianeta di dolore avviene per l’artista con il trasferimento negli Stati Uniti, a fianco di Rivera, ma soprattutto a causa dei tre aborti che perseguitano la sua vita e che lei proverà ad esorcizzare ritraendo il suo dolore con pennellate intrise di pittura e lacrime.
Nell’opera Albero della speranza rimani saldo le due Frida - una con il corpo malridotto dopo l’intervento, sofferente, senza volto, altra che la sorveglia, illuminata dal chiaro di luna - ritornano a testimonianza di un dolore necessario a generare bellezza.
Ma l’eredità di Diego e Frida, fortemente intrisa di passione e interesse per la cultura messicana e pre-colombiana, è racchiusa anche tra le sale del Museo Diego Rivera Anahuacalli di Città del Messico, concepito e creato da Rivera al fine di tramandare ai posteri il forte legame tra il popolo messicano e le sue radici.
E ancora, ad unire l'artista alla cultura azteca, quel sacrificio il cui significato l'artista conobbe ampiamente nel corso della sua esistenza.
Ma nella storia di Frida c'è un altro luogo dal quale la pittrice ha attinto parte dei suoi ideali estetici, pur non essendoci mai stata, nell’epicentro della cultura zapoteca, in una società matriarcale caratterizzata da donne vestite in abiti tradizionali. Un viaggio mentale fonte di ispirazione di innumerevoli autoritratti.
Forse l’eredità più grande lasciata dall'icona messicana è quella raccolta da André Breton, teorico del Surrealimo, che arrivò in Messico nel 1938 e fu firmatario con Rivera e Trotsky del Manifesto per un’arte rivoluzionaria indipendente.
Le opere di Frida catturarono la sua attenzione e lui le descrisse come “un nastro intorno ad una bomba”, paragonandole al movimento surrealista europeo, sebbene la pittrice messicana rifiutasse questo paragone.
Prima di morire, stroncata da un’embolia polmonare il 13 luglio 1954, Frida prese in mano il pennello per l’ultima volta e scrisse sulla sua ultima opera Viva la vida. Forse in queste tre parole è custodita la sua eredità più preziosa, il messaggio più potente e autentico lanciato dalla “colomba” fragile con la colonna vertebrale fortemente compromessa ed una gamba recisa, alle future generazioni. Un appassionato messaggio d’amore che vince la morte superando ogni confine.
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Nel Sogno, dipinto nel 1940, l’artista, da autentica messicana, deride la morte scongiurando quel dolore quasi necessario - che, a partire dal terribile incidente in autobus, trafigge il suo corpo per tutta la durata della sua esistenza - con l’arma della bellezza, con la potenza dell’arte, quasi indispensabile alla catarsi dell’anima.
È forse questa una delle opere più rappresentative dell’eredità, ma anche dell’indole, di una delle artiste più amate di sempre, nella quale il binomio eros-thanatos, assieme alla celebrazione delle iconografie primordiali legate alla propria terra, è un retaggio di quella fedeltà alle radici di un Messico pre-colombiano, a quel dualismo che i popoli mesoamericani ponevano alla base del mondo.
Del resto, dopo la rivoluzione del 1910, anche il Messico aveva provato a riscoprire le proprie radici attraverso quell'iconografia pre-colombiana nella quale Frida aveva esplorato l’identità degli opposti: dolore e piacere, tenebre e luce, luna e sole, la vita nella morte e la morte nella vita.
Questo fil rouge basato sul doppio, come il duplice volto della pittrice sfogliato con intensità da una brava Asia Argento, attraversa il docufilm Frida. Viva la Vida, diretto da Giovanni Troilo. La produzione firmata Ballandi Arts e Nexo Digital, in collaborazione con Sky Arte, sarà nelle sale il 25, 26 e 27 novembre, e svelerà una nuova percezione dell’artista, per certi aspetti inedita.
A chi pensa che di Frida Kahlo si conosca già tutto, il lungometraggio risponde con un punto di vista interessante, che si arricchisce di contributi, tra interviste esclusive, documenti d’epoca, ricostruzioni suggestive e opere della stessa Kahlo che danno conto dell’eredità immensa lasciata da questa icona e martire dell’arte.
L’apertura, del suo bagno, avvenuta nel 2004 nella sua casa di Città del Messico, assieme ad alcuni bauli e scatoloni, a 50 anni dalla morte, ha fatto emergere oggetti personali, intimi, normalmente non accessibili al pubblico, che sono stati immortalati dalla fotografa messicana Graciela Iturbide, autrice di una sorta di “reportage della sofferenza” nel bagno dell’artista. Frida era nata e vissuta in Messico, e la sua arte riflette le luci della sua gente e delle tradizioni locali.
Come racconta Hilda Trujillo, che dal 2002 dirige il Museo Anahuacalli e il Museo Frida Kahlo - uno dei tre musei più visitati di Città del Messico che sorge nella Casa Azul che fu dimora della pittrice - l’apertura di bauli, ma anche del bagno dell’artista, ha rappresentato una svolta. «Abbiamo scoperto meraviglie che hanno dato una svolta alla storia di Frida e grazie a lei abbiamo imparato cos’è l’arte» racconta.
Questi oggetti rivelano una Frida più umana, allegra e bohémienne, la donna dentro l’artista, in grado di vivere la vita pienamente trasformando il dolore in un’opera d’arte.
Un dualismo perenne ne accompagna la vita: da un lato c’è la Frida icona, donna forte e indipendente anche dopo il divorzio da Diego Rivera; dall’altro l’artista libera nonostante le costrizioni di un corpo martoriato.
Non è un caso che tra i luoghi visitati dall’artista nel corso della sua esistenza, vi sia la Piramide del Sole, il più grande edificio di Teotihuacan ed uno dei più grandi dell'intera Mesoamerica. Anche lo storico dell’arte James Oles ci restituisce l’immagine di una donna che ha voluto in ogni modo assaporare il passato di un luogo eccezionale, impregnato della storia dei popoli mesoamericani.
E come sempre, le sue percezioni si riversano, come in uno specchio, nella sua arte, con la realizzazione dell’Amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xólot.
L’opera, realizzata nel 1949, affronta il tema della maternità presentata in un contesto pieno di riferimenti alla mitologia azteca e del Messico e la connessione tra l’artista e le energie femminili della terra è evidente. Elementi primitivi che emergono anche nella tela La mia balia e io, dove l’artista cela il volto della sua nutrice dietro una maschera funeraria degli indigeni messicani.
La tradizione dell’ex voto, diffusa anche nel Messico contemporaneo, e alla quale Frida fu fedele, emerge invece in un’opera drammatica - Ospedale Henry Ford - realizzata dopo il secondo aborto a Detroit, il 4 luglio 1932. Qui l’artista giace a letto circondata da sei oggetti e sei nastri le fuoriescono dal ventre, simili a cordoni ombelicali.
D’altra parte molte opere di Frida sono ispirate a ex voto, storie raccontate dalla gente per ringraziare un santo o la Vergine anche solo per il fatto di esistere.
Il repentino passaggio da un mondo a colori al pianeta di dolore avviene per l’artista con il trasferimento negli Stati Uniti, a fianco di Rivera, ma soprattutto a causa dei tre aborti che perseguitano la sua vita e che lei proverà ad esorcizzare ritraendo il suo dolore con pennellate intrise di pittura e lacrime.
Nell’opera Albero della speranza rimani saldo le due Frida - una con il corpo malridotto dopo l’intervento, sofferente, senza volto, altra che la sorveglia, illuminata dal chiaro di luna - ritornano a testimonianza di un dolore necessario a generare bellezza.
Ma l’eredità di Diego e Frida, fortemente intrisa di passione e interesse per la cultura messicana e pre-colombiana, è racchiusa anche tra le sale del Museo Diego Rivera Anahuacalli di Città del Messico, concepito e creato da Rivera al fine di tramandare ai posteri il forte legame tra il popolo messicano e le sue radici.
E ancora, ad unire l'artista alla cultura azteca, quel sacrificio il cui significato l'artista conobbe ampiamente nel corso della sua esistenza.
Ma nella storia di Frida c'è un altro luogo dal quale la pittrice ha attinto parte dei suoi ideali estetici, pur non essendoci mai stata, nell’epicentro della cultura zapoteca, in una società matriarcale caratterizzata da donne vestite in abiti tradizionali. Un viaggio mentale fonte di ispirazione di innumerevoli autoritratti.
Forse l’eredità più grande lasciata dall'icona messicana è quella raccolta da André Breton, teorico del Surrealimo, che arrivò in Messico nel 1938 e fu firmatario con Rivera e Trotsky del Manifesto per un’arte rivoluzionaria indipendente.
Le opere di Frida catturarono la sua attenzione e lui le descrisse come “un nastro intorno ad una bomba”, paragonandole al movimento surrealista europeo, sebbene la pittrice messicana rifiutasse questo paragone.
Prima di morire, stroncata da un’embolia polmonare il 13 luglio 1954, Frida prese in mano il pennello per l’ultima volta e scrisse sulla sua ultima opera Viva la vida. Forse in queste tre parole è custodita la sua eredità più preziosa, il messaggio più potente e autentico lanciato dalla “colomba” fragile con la colonna vertebrale fortemente compromessa ed una gamba recisa, alle future generazioni. Un appassionato messaggio d’amore che vince la morte superando ogni confine.
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