A Firenze torna a risplendere una rara opera del Buonarroti
Restaurato il Dio fluviale di Michelangelo. Di nuovo visibile la sua fragile bellezza
Michelangelo Buonarroti, Il Dio fluviale, 1526-1527, argilla, terra, sabbia, fibre vegetali e animali, caseina, su anima di filo di ferro, Casa Buonarroti, Firenze
Samantha De Martin
11/07/2017
Firenze - Un imponente torso umano a grandezza naturale, dall'anatomia muscolosa, possente, emerge, dalla sua fragile materia, in tutta la sua divina bellezza illuminata da un rinnovato biancore.
Dopo tre anni di restauro portato avanti con l'unico obiettivo di «ripristinare la stabilità conservativa dell’opera che, fragile di per sé, aveva subito numerosi interventi a partire dal Cinquecento», la statua del Dio fluviale realizzata da Michelangelo tra il 1526 e il 1527, è stata riconsegnata in tutto il suo originario splendore.
Di proprietà dell'Accademia delle Arti e del Disegno - alla quale era stata donata nel 1583 dallo scultore e architetto Bartolomeo Ammannati - l'opera è unica nel suo genere nel corpus michelangiolesco.
Ad eseguire il restauro della scultura, rarissima, proprio perché appartenente ad una tipologia di cantiere destinata alla distruzione e realizzata in materiali per loro natura effimeri - argilla, terra, sabbia, fibre vegetali e animali su anima di filo di ferro - l'Opificio delle Pietre Dure, guidato da Marco Ciatti, grazie al lavoro della restauratrice Rosanna Moradei.
Da oltre 50 anni Il Dio fluviale si trova nel deposito del museo di Casa Buonarroti, sede in cui, proprio per motivi di conservazione, è stato allestito l’impegnativo cantiere del recente restauro volto a rendere più stabile questo prezioso capolavoro del Rinascimento.
La scultura si può ricondurre all’iconografia dei cosiddetti Dei fluviali antropomorfi, molto diffusa a partire dall’antichità classica, come si evince anche da un famoso rilievo di Fidia dal Partenone e da numerosi esemplari d'età romana.
«È interessante - spiega Giorgio Bonsanti, responsabile della conservazione dei beni dell’Accademia delle Arti del Disegno - che un elemento di origine pagana fosse inserito da Michelangelo in un contesto a carattere religioso, quale la sua famosa Sagrestia Nuova nella Basilica di San Lorenzo».
Infatti, stando ad alcuni documenti scritti, coevi alla realizzazione dell’opera, il proposito dell'artista sarebbe stato quello di realizzare divinità fluviali alla base dei monumenti funebri dei duchi medicei nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze. Ma nonostante l'artista avesse creato dei modelli di terra a grandezza naturale, anche per ottenere l'approvazione dei suoi committenti, la loro esecuzione in marmo non venne mai realizzata.
A metà Cinquecento i modelli in terra realizzati da Michelangelo erano due. Uno andò perduto, mentre l'altro, progettato per stare nella parte sinistra del monumento funebre di Lorenzo, Duca d’Urbino, è quello giunto fino a noi, oggetto del delicato intervento.
«Nel restauro pittorico sono state realizzate soltanto limitatissime integrazioni di ricucitura visiva. Sono state inoltre eseguite preventivamente operazioni di consolidamento, imprescindibili per l’esposizione nella mostra di Palazzo Strozzi, prevista per il prossimo autunno» anticipa Bonsanti.
«Alle analisi scientifiche - ha aggiunto il Soprintendente Marco Ciatti - risultò che la vernice scura era frutto di un successivo intervento che ricopriva una stesura in Bianco di Piombo, con la quale Michelangelo voleva raggiungere un effetto che imitasse il marmo bianco delle altre sculture della Sagrestia Nuova. Si è quindi previsto che la pulitura arrivasse alla rimozione di tale strato alterante, recuperando il pur danneggiato livello bianco sottostante, trattandolo poi con le opportune reintegrazioni pittoriche alla stregua di un dipinto».
Decisivo per l'intervento è stato il contributo finanziario della Fondazione non profit Friends of Florence che, avvalendosi del generoso contributo di persone di ogni parte del mondo, si dedica a preservare e valorizzare l’integrità culturale e storica delle arti a Firenze e in Toscana. E che, anche questa volta, ha permesso a questo raro capolavoro, bello e vigoroso, di tornare a risplendere, emozionandoci con la sua commovente fragilità.
Leggi anche:
• Il Cinquecento di Firenze a Palazzo Strozzi
• Svelati dal restauro i segreti del Vaso Medici
Dopo tre anni di restauro portato avanti con l'unico obiettivo di «ripristinare la stabilità conservativa dell’opera che, fragile di per sé, aveva subito numerosi interventi a partire dal Cinquecento», la statua del Dio fluviale realizzata da Michelangelo tra il 1526 e il 1527, è stata riconsegnata in tutto il suo originario splendore.
Di proprietà dell'Accademia delle Arti e del Disegno - alla quale era stata donata nel 1583 dallo scultore e architetto Bartolomeo Ammannati - l'opera è unica nel suo genere nel corpus michelangiolesco.
Ad eseguire il restauro della scultura, rarissima, proprio perché appartenente ad una tipologia di cantiere destinata alla distruzione e realizzata in materiali per loro natura effimeri - argilla, terra, sabbia, fibre vegetali e animali su anima di filo di ferro - l'Opificio delle Pietre Dure, guidato da Marco Ciatti, grazie al lavoro della restauratrice Rosanna Moradei.
Da oltre 50 anni Il Dio fluviale si trova nel deposito del museo di Casa Buonarroti, sede in cui, proprio per motivi di conservazione, è stato allestito l’impegnativo cantiere del recente restauro volto a rendere più stabile questo prezioso capolavoro del Rinascimento.
La scultura si può ricondurre all’iconografia dei cosiddetti Dei fluviali antropomorfi, molto diffusa a partire dall’antichità classica, come si evince anche da un famoso rilievo di Fidia dal Partenone e da numerosi esemplari d'età romana.
«È interessante - spiega Giorgio Bonsanti, responsabile della conservazione dei beni dell’Accademia delle Arti del Disegno - che un elemento di origine pagana fosse inserito da Michelangelo in un contesto a carattere religioso, quale la sua famosa Sagrestia Nuova nella Basilica di San Lorenzo».
Infatti, stando ad alcuni documenti scritti, coevi alla realizzazione dell’opera, il proposito dell'artista sarebbe stato quello di realizzare divinità fluviali alla base dei monumenti funebri dei duchi medicei nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze. Ma nonostante l'artista avesse creato dei modelli di terra a grandezza naturale, anche per ottenere l'approvazione dei suoi committenti, la loro esecuzione in marmo non venne mai realizzata.
A metà Cinquecento i modelli in terra realizzati da Michelangelo erano due. Uno andò perduto, mentre l'altro, progettato per stare nella parte sinistra del monumento funebre di Lorenzo, Duca d’Urbino, è quello giunto fino a noi, oggetto del delicato intervento.
«Nel restauro pittorico sono state realizzate soltanto limitatissime integrazioni di ricucitura visiva. Sono state inoltre eseguite preventivamente operazioni di consolidamento, imprescindibili per l’esposizione nella mostra di Palazzo Strozzi, prevista per il prossimo autunno» anticipa Bonsanti.
«Alle analisi scientifiche - ha aggiunto il Soprintendente Marco Ciatti - risultò che la vernice scura era frutto di un successivo intervento che ricopriva una stesura in Bianco di Piombo, con la quale Michelangelo voleva raggiungere un effetto che imitasse il marmo bianco delle altre sculture della Sagrestia Nuova. Si è quindi previsto che la pulitura arrivasse alla rimozione di tale strato alterante, recuperando il pur danneggiato livello bianco sottostante, trattandolo poi con le opportune reintegrazioni pittoriche alla stregua di un dipinto».
Decisivo per l'intervento è stato il contributo finanziario della Fondazione non profit Friends of Florence che, avvalendosi del generoso contributo di persone di ogni parte del mondo, si dedica a preservare e valorizzare l’integrità culturale e storica delle arti a Firenze e in Toscana. E che, anche questa volta, ha permesso a questo raro capolavoro, bello e vigoroso, di tornare a risplendere, emozionandoci con la sua commovente fragilità.
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