Se ne discute a Treviso, presso le Gallerie delle Prigioni
Nuove frontiere per il pubblico dei musei
Ingresso libero e cocktail, i musei e le strategie per un nuovo pubblico. Talk alle Gallerie delle Prigioni, Treviso
Francesca Grego
08/11/2019
Treviso - Come portare al museo un numero sempre maggiore di persone? Sono in molti a chiederselo in un momento di grandi trasformazioni e ogni direttore sperimenta le proprie ricette calibrandole sulle specificità del luogo, della collezione, del territorio.
Le esperienze di tre importanti musei italiani si sono confrontate mercoledì 6 novembre alle Gallerie delle Prigioni, lo spazio di arte contemporanea inaugurato nel 2018 a Treviso da Luciano Benetton con il suo progetto Imago Mundi. Si tratta dei Musei Civici di Bassano del Grappa, rappresentati dalla direttrice Chiara Casarin, del MAMBO (Museo di Arte Moderna di Bologna) con il suo direttore Lorenzo Balbi, e della veneziana Ca’ Rezzonico, raccontata dal direttore Alberto Craievich: realtà molto diverse per collocazione geografica, identità, patrimonio, composizione del pubblico, e tuttavia accomunate dalla costante ricerca di nuove strade per entrare in contatto con un target in evoluzione.
Provocatorio il titolo dell’incontro di Treviso: Ingresso libero e cocktail, i musei e le strategie per un nuovo pubblico, uno scherzo, una mise en abyme, come ha detto la Casarin, che facendo leva su due benefit ambìti ha attratto nelle ex carceri asburgiche un numero di visitatori inatteso, metà dei quali ha dovuto seguire la conversazione in streaming per mancanza di spazio in sala.
Ma bastano davvero un drink e un’apertura gratuita a mettere al sicuro il futuro dei musei? Seguendo il talk ci si rende conto ben presto che lo scenario è più complesso. Alle Prigioni si discute di turismo e di relazioni con il territorio, di esperienze didattiche e di iniziative per coinvolgere le giovani generazioni, ma anche di depositi aperti, di musica live e perfino di spazi per il gioco dei più piccoli: come a Ca’ Rezzonico, nel cuore di Venezia, dove si organizzano summer camp estivi e dove il cortile del museo è l’unica area verde del sestriere.
Le idee a confronto sono tante. Forte della recente riconferma alla guida dei Musei Civici di Bassano, Chiara Casarin parla del museo come fabbrica di cultura. “Se pensiamo al museo come luogo della conservazione”, spiega la direttrice, “facciamo un passo indietro di 150 anni e ci rendiamo conto che diventa soltanto una bellissima cassaforte. Se invece il museo diventa un polo dove per pensare e produrre nuova cultura abbiamo già coinvolto un pubblico attivo che da solo aiuterà la comunicazione dei contenuti museali”. Un luogo fortemente radicato nel territorio, dunque, si apre a nuovi fruitori (giovani, famiglie, persone sorde o cieche), a laboratori e momenti ricreativi, e cerca nel dialogo con il contemporaneo occasioni per rendere interessanti in modo nuovo i tesori della collezione permanente. È accaduto, ad esempio, con i quasi 2000 delicatissimi disegni di Antonio Canova custoditi nel gabinetto delle opere grafiche, che oltre a essere stati riprodotti in facsimili da sfogliare senza danno, sono stati protagonisti di un progetto che ha coinvolto un gruppo di giovani artisti.
La sfida del contemporaneo è cruciale anche per il MAMBO di Lorenzo Balbi, che tuttavia in un ambiente storicamente votato alla sperimentazione come quello di Bologna necessita regolarmente di alzare il tiro in una continua ricerca di originalità. Nell’ex forno del pane cittadino da tempo si dedica particolare attenzione alla didattica in stretto raccordo con le scuole, mentre ultimamente riscuotono grande successo le mostre allestite nella Project Room, con temi strettamente connessi al territorio emiliano-romagnolo: come “Bologna Rock 1979”, spiega il direttore,“ che ha ricordato il momento in cui i gruppi underground bolognesi sono usciti dalle cantine e hanno dimostrato al mondo che qui si faceva sperimentazione musicale di livello globale, oppure la mostra che abbiamo dedicato alle produzioni VHS degli anni Novanta partiti dal Link, storico centro sociale bolognese. Queste iniziative ha portato molti a percepire il museo come un luogo che li rappresenta, che tira fuori dai cassetti ricordi vissuti da tutti per conferire loro la sacralità propria del museo”.
Se il MAMBO sceglie di variare spesso il percorso espositivo, potendo contare su un vasto deposito e su poche grandi opere faro come quelle di Giorgio Morandi, la veneziana Ca’ Rezzonico segue un diverso orientamento. “A me piace l’idea del museo come un posto dove qualcuno viene a trovare prima di tutto un’emozione e allo stesso tempo le cose che ama, magari sempre le stesse, come succede alla National Gallery o al Louvre”, dice il direttore Craievich. “Certo in qualche modo bisogna renderlo vivo. Abbiamo perciò cercato in qualche modo di muoverci pur rimanendo fermi, cioè mantendendo l’allestimento tradizionale che è la bellezza del museo: in quelle che gli inglesi chiamano period room si cerca infatti di ricostruire la magia di un palazzo del Settecento veneziano”. Ca’ Rezzonico è l’unico museo veneto a non aver cambiato volto durante l'ultimo dopoguerra: conserva ancora arredi e allestimento originale del 1936 e ha particolare cura della propria identità storica. Anche qui, tuttavia, il richiamo ai nostri tempi appare fondamentale: pur essendo “una città da cartolina”, spiega Craievich, Venezia spicca per un’eccellente offerta contemporanea all’insegna della sinergia pubblico-privato, dal Guggenheim alla Biennale, da Ca’ Pesaro a Fondazione Prada.
E a questo proposito, aggiunge infine Balbi, oggi “la sfida è recuperare la fiducia del privato nei musei pubblici, cioè evitare che il privato sia invogliato ad aprire l’ennesimo museo. In Italia non esiste la Getty Wing del Metropolitan, non abbiamo una Prada Wing alla GNAM. È quello il terreno da coltivare perché il privato scelga di investire nel pubblico in maniera strutturale”.
Le esperienze di tre importanti musei italiani si sono confrontate mercoledì 6 novembre alle Gallerie delle Prigioni, lo spazio di arte contemporanea inaugurato nel 2018 a Treviso da Luciano Benetton con il suo progetto Imago Mundi. Si tratta dei Musei Civici di Bassano del Grappa, rappresentati dalla direttrice Chiara Casarin, del MAMBO (Museo di Arte Moderna di Bologna) con il suo direttore Lorenzo Balbi, e della veneziana Ca’ Rezzonico, raccontata dal direttore Alberto Craievich: realtà molto diverse per collocazione geografica, identità, patrimonio, composizione del pubblico, e tuttavia accomunate dalla costante ricerca di nuove strade per entrare in contatto con un target in evoluzione.
Provocatorio il titolo dell’incontro di Treviso: Ingresso libero e cocktail, i musei e le strategie per un nuovo pubblico, uno scherzo, una mise en abyme, come ha detto la Casarin, che facendo leva su due benefit ambìti ha attratto nelle ex carceri asburgiche un numero di visitatori inatteso, metà dei quali ha dovuto seguire la conversazione in streaming per mancanza di spazio in sala.
Ma bastano davvero un drink e un’apertura gratuita a mettere al sicuro il futuro dei musei? Seguendo il talk ci si rende conto ben presto che lo scenario è più complesso. Alle Prigioni si discute di turismo e di relazioni con il territorio, di esperienze didattiche e di iniziative per coinvolgere le giovani generazioni, ma anche di depositi aperti, di musica live e perfino di spazi per il gioco dei più piccoli: come a Ca’ Rezzonico, nel cuore di Venezia, dove si organizzano summer camp estivi e dove il cortile del museo è l’unica area verde del sestriere.
Le idee a confronto sono tante. Forte della recente riconferma alla guida dei Musei Civici di Bassano, Chiara Casarin parla del museo come fabbrica di cultura. “Se pensiamo al museo come luogo della conservazione”, spiega la direttrice, “facciamo un passo indietro di 150 anni e ci rendiamo conto che diventa soltanto una bellissima cassaforte. Se invece il museo diventa un polo dove per pensare e produrre nuova cultura abbiamo già coinvolto un pubblico attivo che da solo aiuterà la comunicazione dei contenuti museali”. Un luogo fortemente radicato nel territorio, dunque, si apre a nuovi fruitori (giovani, famiglie, persone sorde o cieche), a laboratori e momenti ricreativi, e cerca nel dialogo con il contemporaneo occasioni per rendere interessanti in modo nuovo i tesori della collezione permanente. È accaduto, ad esempio, con i quasi 2000 delicatissimi disegni di Antonio Canova custoditi nel gabinetto delle opere grafiche, che oltre a essere stati riprodotti in facsimili da sfogliare senza danno, sono stati protagonisti di un progetto che ha coinvolto un gruppo di giovani artisti.
La sfida del contemporaneo è cruciale anche per il MAMBO di Lorenzo Balbi, che tuttavia in un ambiente storicamente votato alla sperimentazione come quello di Bologna necessita regolarmente di alzare il tiro in una continua ricerca di originalità. Nell’ex forno del pane cittadino da tempo si dedica particolare attenzione alla didattica in stretto raccordo con le scuole, mentre ultimamente riscuotono grande successo le mostre allestite nella Project Room, con temi strettamente connessi al territorio emiliano-romagnolo: come “Bologna Rock 1979”, spiega il direttore,“ che ha ricordato il momento in cui i gruppi underground bolognesi sono usciti dalle cantine e hanno dimostrato al mondo che qui si faceva sperimentazione musicale di livello globale, oppure la mostra che abbiamo dedicato alle produzioni VHS degli anni Novanta partiti dal Link, storico centro sociale bolognese. Queste iniziative ha portato molti a percepire il museo come un luogo che li rappresenta, che tira fuori dai cassetti ricordi vissuti da tutti per conferire loro la sacralità propria del museo”.
Se il MAMBO sceglie di variare spesso il percorso espositivo, potendo contare su un vasto deposito e su poche grandi opere faro come quelle di Giorgio Morandi, la veneziana Ca’ Rezzonico segue un diverso orientamento. “A me piace l’idea del museo come un posto dove qualcuno viene a trovare prima di tutto un’emozione e allo stesso tempo le cose che ama, magari sempre le stesse, come succede alla National Gallery o al Louvre”, dice il direttore Craievich. “Certo in qualche modo bisogna renderlo vivo. Abbiamo perciò cercato in qualche modo di muoverci pur rimanendo fermi, cioè mantendendo l’allestimento tradizionale che è la bellezza del museo: in quelle che gli inglesi chiamano period room si cerca infatti di ricostruire la magia di un palazzo del Settecento veneziano”. Ca’ Rezzonico è l’unico museo veneto a non aver cambiato volto durante l'ultimo dopoguerra: conserva ancora arredi e allestimento originale del 1936 e ha particolare cura della propria identità storica. Anche qui, tuttavia, il richiamo ai nostri tempi appare fondamentale: pur essendo “una città da cartolina”, spiega Craievich, Venezia spicca per un’eccellente offerta contemporanea all’insegna della sinergia pubblico-privato, dal Guggenheim alla Biennale, da Ca’ Pesaro a Fondazione Prada.
E a questo proposito, aggiunge infine Balbi, oggi “la sfida è recuperare la fiducia del privato nei musei pubblici, cioè evitare che il privato sia invogliato ad aprire l’ennesimo museo. In Italia non esiste la Getty Wing del Metropolitan, non abbiamo una Prada Wing alla GNAM. È quello il terreno da coltivare perché il privato scelga di investire nel pubblico in maniera strutturale”.
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