A Roma fino al 18 febbraio
Rubens superstar alla Galleria Borghese
Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, allestimento, Galleria Borghese | Foto: A. Novelli © Galleria Borghese
Samantha De Martin
14/11/2023
Roma - Nella traccia a matita rossa che sottende i muscoli del Torso Belvedere o i corpi nerboruti dei due giovani che imitano lo Spinario, la forza del marmo si traduce in disegno sprigionando tutta la vibrante connessione tra modelli e originali, rivelatrice di un nuovo mondo di immagini.
Sono forse i disegni, gli studi anatomici e di animali, come quello della Leonessa a matita nera, carboncino e aquerello marrone dal British Museum di Londra o di Ercole che combatte il leone nemeo dal Louvre di Parigi a tessere l’incanto della bella mostra con la quale da oggi, 14 novembre, fino al 18 febbraio, la Galleria Borghese inaugura la seconda tappa di RUBENS! La nascita di una pittura europea. Il grande progetto, realizzato in collaborazione con Fondazione Palazzo Te e Palazzo Ducale di Mantova, ripercorre i rapporti tra la cultura italiana e l’Europa attraverso gli occhi del principe della pittura barocca.
Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, allestimento, Galleria Borghese | Foto: A. Novelli © Galleria Borghese
Abbracciare con lo sguardo i 50 capolavori provenienti dai più importanti musei al mondo - dal British Museum al Met, dalla National Gallery di Londra alla National Gallery di Washington - disposti nelle otto sezioni con un allestimento di ampio respiro che permette di gustarsi l’esperienza espositiva, il dialogo silenzioso e la sorpresa, significa apprezzare il contributo straordinario di Rubens, alle soglie del Barocco, a una nuova concezione dell’antico. All’interno dei suoi disegni e delle sue tavole, il maestro fiammingo ebbe infatti la capacità di trasformare l’inerte marmo dei suoi predecessori in vibrante materia pittorica. Ed ecco presto spiegato il significato dell’espressione, presente nel titolo della mostra, “tocco di Pigmalione”.
Il mitico scultore, perdutamente innamoratosi della sua opera, ritenendola l'espressione più alta della femminilità, al punto da dormirle accanto nella speranza che un giorno si animasse, aveva pregato Afrodite di concedergli in sposa la scultura creata con le sue mani rendendola una creatura umana.
Così l’antico da cui prende le mosse Rubens è già materia vitale. L’artista mette in atto nelle storie quel processo di vivificazione del soggetto che utilizza nel ritratto. In questo modo i marmi, i rilievi ed i celebri esempi di pittura rinascimentale che aveva avuto modo di assorbire nel suo viaggio in Italia escono ravvivati dal suo pennello.
Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, allestimento, Galleria Borghese | Foto: A. Novelli © Galleria Borghese
“Calamita per gli artisti del Nord Europa fin dal Cinquecento, la Roma di Rubens, fra i pontificati Aldobrandini e Borghese, è il luogo dove studiare ancora l’antico, di cui si cominciano a conoscere i capolavori della pittura, con il ritrovamento nel 1601 delle Nozze Aldobrandini - sottolinea Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese e curatrice dell’esposizione -. È il momento della Galleria Farnese di Annibale Carracci e della cappella Contarelli di Caravaggio, di cui si stordisce una generazione. Attraverso gli occhi di un giovane pittore straniero come Peter Paul Rubens guardiamo ancora una volta all’esperienza dell’altrove, cerchiamo di ricostruire il ruolo del collezionismo, e della collezione Borghese in particolare, come motore del nuovo linguaggio del naturalismo europeo, che unisce le ricerche di pittori e scultori nei primi decenni del secolo”.
Dopo aver lasciato Anversa, il 9 maggio del 1600, per incamminarsi verso sud, alla volta di Mantova, al servizio di Vincenzo Gonzaga, il maestro fu a Roma due volte: dall’agosto del 1601 alla primavera del 1602, dalla fine del 1605 all’ottobre del 1608. E qui ammirò compulsivamente l’arte antica presente in città.
Tra i pezzi più belli in mostra figurano il disegno tratto dalla famosa statua dello Spinario, che Rubens traccia a sanguigna, e poi con carboncino rosso, riprendendo la posa da due punti di vista diversi. Sembra eseguito da un modello vivente invece che da una statua, tanto da indurre alcuni studiosi a immaginare che il pittore abbia utilizzato un ragazzo atteggiato come la scultura. Questo processo di animazione dell’antico sembra anticipare le mosse di artisti che, nei decenni successivi al suo passaggio romano, verranno definiti barocchi. Tra tutti spicca Bernini: i suoi gruppi borghesiani, realizzati negli anni Venti del Seicento, rileggono celebri statue antiche, come l’Apollo del Belvedere, traducendo il marmo in carne come avviene nel Ratto di Proserpina.
Pieter Paul Rubens, Agrippina e Germanico, Allestimento, Galleria Borghese | Foto: A. Novelli © Galleria Borghese
"In questa sfida tra le due arti – spiega Lucia Simonato, curatrice della mostra assieme alla direttrice della Galleria Borghese, Francesca Cappelletti - Rubens dovette apparire a Bernini come il campione di un linguaggio pittorico estremo, con cui confrontarsi, per lo studio intenso della natura e per la raffigurazione del moto e dei ‘cavalli in levade’ suggeriti dalla grafica vinciana, che sarebbero stati affrontati anche dallo scultore napoletano nei suoi marmi senili con la stessa leonardesca “furia del pennello” riconosciuta da Bellori al maestro di Anversa. Infine anche per i suoi ritratti, dove l’effigiato cerca il dialogo con lo spettatore, proprio come accadrà nei busti di Bernini per i quali è stata coniata la felice espressione di speaking likeness".
Era erudito Rubens, come scrisse di lui Giovanni Pietro Bellori nel 1672, circa 30 anni dopo la morte del pittore. E la storia antica, oltre a essere un soggetto letterario, fu per lui anche un esercizio esegetico che gli permise di commentare il presente. La grammatica del corpo umano, studiato dal vero, indagato a partire dall’antico e interpretato alla luce della lezione dei maestri del Rinascimento, da Michelangelo a Leonardo, è evidente nel trionfo di nervi, vene pulsanti, nei muscoli di San Cristoforo e Adone, nelle pieghe della pelle delle Tre grazie, negli sguardi penetranti di Agrippina e Germanico.
Non manca il confronto con un altro campione della pittura, Caravaggio, autore della Deposizione nel sepolcro, la pala d’altare oggi ai Musei Vaticani, immortalata da Rubens in un disegno prestato alla mostra dal Rijksmuseum e nel suo Compianto sul Cristo morto, prova giovanile datata ai primi anni del secolo.
Infine, ma non meno significativi, i ritratti, olio su tavola, alcuni dei quali di un’intensità parlante, come quello di Ludovicus Nonnius. I baffi del medico e antiquario di origini portoghesi sembrano quasi solleticare lo sguardo del visitatore sbucando dalla tavola, oscillando al passaggio del pubblico.
Leggi anche:
• Rubens e la scultura a Roma. Presto una mostra alla Galleria Borghese
• Quando la pittura diventò europea. Rubens a Palazzo Te
Sono forse i disegni, gli studi anatomici e di animali, come quello della Leonessa a matita nera, carboncino e aquerello marrone dal British Museum di Londra o di Ercole che combatte il leone nemeo dal Louvre di Parigi a tessere l’incanto della bella mostra con la quale da oggi, 14 novembre, fino al 18 febbraio, la Galleria Borghese inaugura la seconda tappa di RUBENS! La nascita di una pittura europea. Il grande progetto, realizzato in collaborazione con Fondazione Palazzo Te e Palazzo Ducale di Mantova, ripercorre i rapporti tra la cultura italiana e l’Europa attraverso gli occhi del principe della pittura barocca.
Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, allestimento, Galleria Borghese | Foto: A. Novelli © Galleria Borghese
Abbracciare con lo sguardo i 50 capolavori provenienti dai più importanti musei al mondo - dal British Museum al Met, dalla National Gallery di Londra alla National Gallery di Washington - disposti nelle otto sezioni con un allestimento di ampio respiro che permette di gustarsi l’esperienza espositiva, il dialogo silenzioso e la sorpresa, significa apprezzare il contributo straordinario di Rubens, alle soglie del Barocco, a una nuova concezione dell’antico. All’interno dei suoi disegni e delle sue tavole, il maestro fiammingo ebbe infatti la capacità di trasformare l’inerte marmo dei suoi predecessori in vibrante materia pittorica. Ed ecco presto spiegato il significato dell’espressione, presente nel titolo della mostra, “tocco di Pigmalione”.
Il mitico scultore, perdutamente innamoratosi della sua opera, ritenendola l'espressione più alta della femminilità, al punto da dormirle accanto nella speranza che un giorno si animasse, aveva pregato Afrodite di concedergli in sposa la scultura creata con le sue mani rendendola una creatura umana.
Così l’antico da cui prende le mosse Rubens è già materia vitale. L’artista mette in atto nelle storie quel processo di vivificazione del soggetto che utilizza nel ritratto. In questo modo i marmi, i rilievi ed i celebri esempi di pittura rinascimentale che aveva avuto modo di assorbire nel suo viaggio in Italia escono ravvivati dal suo pennello.
Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, allestimento, Galleria Borghese | Foto: A. Novelli © Galleria Borghese
“Calamita per gli artisti del Nord Europa fin dal Cinquecento, la Roma di Rubens, fra i pontificati Aldobrandini e Borghese, è il luogo dove studiare ancora l’antico, di cui si cominciano a conoscere i capolavori della pittura, con il ritrovamento nel 1601 delle Nozze Aldobrandini - sottolinea Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese e curatrice dell’esposizione -. È il momento della Galleria Farnese di Annibale Carracci e della cappella Contarelli di Caravaggio, di cui si stordisce una generazione. Attraverso gli occhi di un giovane pittore straniero come Peter Paul Rubens guardiamo ancora una volta all’esperienza dell’altrove, cerchiamo di ricostruire il ruolo del collezionismo, e della collezione Borghese in particolare, come motore del nuovo linguaggio del naturalismo europeo, che unisce le ricerche di pittori e scultori nei primi decenni del secolo”.
Dopo aver lasciato Anversa, il 9 maggio del 1600, per incamminarsi verso sud, alla volta di Mantova, al servizio di Vincenzo Gonzaga, il maestro fu a Roma due volte: dall’agosto del 1601 alla primavera del 1602, dalla fine del 1605 all’ottobre del 1608. E qui ammirò compulsivamente l’arte antica presente in città.
Tra i pezzi più belli in mostra figurano il disegno tratto dalla famosa statua dello Spinario, che Rubens traccia a sanguigna, e poi con carboncino rosso, riprendendo la posa da due punti di vista diversi. Sembra eseguito da un modello vivente invece che da una statua, tanto da indurre alcuni studiosi a immaginare che il pittore abbia utilizzato un ragazzo atteggiato come la scultura. Questo processo di animazione dell’antico sembra anticipare le mosse di artisti che, nei decenni successivi al suo passaggio romano, verranno definiti barocchi. Tra tutti spicca Bernini: i suoi gruppi borghesiani, realizzati negli anni Venti del Seicento, rileggono celebri statue antiche, come l’Apollo del Belvedere, traducendo il marmo in carne come avviene nel Ratto di Proserpina.
Pieter Paul Rubens, Agrippina e Germanico, Allestimento, Galleria Borghese | Foto: A. Novelli © Galleria Borghese
"In questa sfida tra le due arti – spiega Lucia Simonato, curatrice della mostra assieme alla direttrice della Galleria Borghese, Francesca Cappelletti - Rubens dovette apparire a Bernini come il campione di un linguaggio pittorico estremo, con cui confrontarsi, per lo studio intenso della natura e per la raffigurazione del moto e dei ‘cavalli in levade’ suggeriti dalla grafica vinciana, che sarebbero stati affrontati anche dallo scultore napoletano nei suoi marmi senili con la stessa leonardesca “furia del pennello” riconosciuta da Bellori al maestro di Anversa. Infine anche per i suoi ritratti, dove l’effigiato cerca il dialogo con lo spettatore, proprio come accadrà nei busti di Bernini per i quali è stata coniata la felice espressione di speaking likeness".
Era erudito Rubens, come scrisse di lui Giovanni Pietro Bellori nel 1672, circa 30 anni dopo la morte del pittore. E la storia antica, oltre a essere un soggetto letterario, fu per lui anche un esercizio esegetico che gli permise di commentare il presente. La grammatica del corpo umano, studiato dal vero, indagato a partire dall’antico e interpretato alla luce della lezione dei maestri del Rinascimento, da Michelangelo a Leonardo, è evidente nel trionfo di nervi, vene pulsanti, nei muscoli di San Cristoforo e Adone, nelle pieghe della pelle delle Tre grazie, negli sguardi penetranti di Agrippina e Germanico.
Non manca il confronto con un altro campione della pittura, Caravaggio, autore della Deposizione nel sepolcro, la pala d’altare oggi ai Musei Vaticani, immortalata da Rubens in un disegno prestato alla mostra dal Rijksmuseum e nel suo Compianto sul Cristo morto, prova giovanile datata ai primi anni del secolo.
Infine, ma non meno significativi, i ritratti, olio su tavola, alcuni dei quali di un’intensità parlante, come quello di Ludovicus Nonnius. I baffi del medico e antiquario di origini portoghesi sembrano quasi solleticare lo sguardo del visitatore sbucando dalla tavola, oscillando al passaggio del pubblico.
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