Presentato al pubblico il dipinto acquisito da Fondazione Pisa
Da oggi a Palazzo Blu "Cristo e la Samaritana" di Artemisia Gentileschi
Artemisia Gentileschi (1636 – 1637), Cristo e la Samaritana al pozzo, (dettaglio della Samaritana), 1636-37. Olio su tela I Courtesy Palazzo Blu
Francesca Grego
18/11/2022
Pisa - Un nuovo dipinto di Artemisia Gentileschi entra nel patrimonio museale italiano: si tratta della grande tela di Cristo e la Samaritana al pozzo, tra le rare opere firmate dalla pittrice seicentesca e documentate fin dalla loro creazione. Da oggi fino a domenica 20 novembre, il quadro sarà visibile gratuitamente a Palazzo Blu, dopodiché entrerà a far parte del percorso permanente del museo pisano. Acquistata da Fondazione Pisa nella primavera 2022, la tela è stata sottoposta a un restauro completo, che le ha restituito l’aspetto originario e ha permesso di studiare attraverso indagini diagnostiche non invasive il modus operandi della Gentileschi.
Cristo e la Samaritana è opera di un’Artemisia ormai artisticamente matura, realizzata a Napoli tra il 1636 e il 1637. La pittrice restituisce fedelmente il racconto del Vangelo di Giovanni, reinterpretando con emozionata partecipazione il realismo imposto in pittura da Caravaggio alcuni anni prima. Sullo sfondo si muovono i discepoli che tornano dalla città dove erano andati a fare provviste, mentre in primo piano emergono le figure di Gesù e della Samaritana. Pur immerso in un’aura soprannaturale, il Cristo ha un’espressione dolce mentre pronuncia parole che suonano come un enigma: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete - dice - ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna”. Sorpresa, confusa, affascinata come la Samaritana del dipinto, l’artista invita lo spettatore a comprendere e a fare proprio il messaggio del maestro.
Artemisia Gentileschi (1636 – 1637), Cristo e la Samaritana al pozzo, 1636-37. Olio su tela I Courtesy Palazzo Blu
“Poco meno di due anni or sono, ci è stata segnalata dall’amico la presenza presso una nobile famiglia siciliana di una grande tela di Artemisia che rappresenta l’incontro fra il Cristo e la Samaritana al pozzo di Giacobbe” racconta il presidente di Palazzo Blu Cosimo Bracci Torsi: “L’opera di soggetto sacro, di un’Artemisia diversa dalla proto femminista un poco truculenta con le Giuditte, le Lucrezie e le Cleopatre venuta di moda ultimamente, è apparsa subito di grande interesse e straordinaria qualità”.
Identificata nel 2004 da Luciano Arcangeli ed esposta per la prima volta al pubblico nel 2012 a Milano nella grande mostra dedicata all’artista a Palazzo Reale, la tela di Palazzo Blu può vantare “uno straordinario pedigree collezionistico”, come afferma convinto lo storico dell’arte ed esperto di Artemisia Francesco Solinas del Collège de France di Parigi. È la stessa Gentileschi a descrivere il dipinto nei dettagli, dimensioni comprese, in due lettere dell’autunno 1637 indirizzate al Cavalier Cassiano dal Pozzo, suo illustre estimatore e protettore alla corte di Roma. Tramite il Cavaliere, l’artista offriva la Samaritana ai fratelli cardinali Francesco e Antonio Barberini, nipoti del papa regnante Urbano VIII. I Barberini non acquistarono mai il quadro, che probabilmente fu venduto solo dopo il ritorno dell’artista da Londra, nella primavera del 1641. Passato nelle raccolte napoletane e siciliane dei nobili Ruffo, prima del 1680 il dipinto raggiunse Palermo entrando nella prestigiosa collezione del Duca di Sperlinga e dei suoi eredi, dov'è rimasto fino al XX secolo.
Oggi va a impreziosire il ricco nucleo di opere dei Gentileschi conservato a Palazzo Blu, che annovera già diverse tele dei fratelli Aurelio e Baccio, attivi prevalentemente a Pisa, la Madonna col Bambino e Santi di Orazio e la Musa Clio di Artemisia, acquisita nel 2004 in un’asta nella sede londinese di Christie’s, nonché il Ritratto di Artemisia di Simon Vouet.
Firma dell’opera ‘A’ di Artemisia Gentileschi, svelata dal restauro compiuto a Pisa I Courtesy Palazzo Blu
Le ricerche condotte su Cristo e la Samaritana al pozzo - rivela la restauratrice ed esperta di Artemisia Cinzia Pasquali, consulente per l’intervento sul dipinto - hanno portato alla luce “dettagli di grande interesse: la natura di alcune sostanze e pigmenti, i pentimenti e spostamenti compositivi (sia nella fase preparatoria che in quella pittorica), la natura degli strati utilizzati come base cromatica, i vecchi restauri così come altri segni particolari invisibili a occhio nudo”. Prima di eseguire il dipinto, Artemisia preparò la tela con colla naturale sulla quale fu posato un appretto colorato. Come altri pittori del suo tempo, infatti, la Gentileschi usava spesso fondi bruni prima di dipingere, fatto evidente nell’Allegoria della Pittura conservata a Londra presso la Royal Collection. È possibile ipotizzare inoltre che l’artista si sia servita di un disegno preparatorio in gesso, materiale ben visibile sullo sfondo scuro.
Grazie alla riflettografia ai raggi infrarossi, sappiamo che Artemisia modificò in corso d’opera le posizioni della mano sinistra del Cristo e del braccio sinistro della Samaritana. Anche il volto della donna ha subito diversi cambiamenti: “dalla posizione degli occhi, che suggerivano una testa meno angolata, alla forma dei capelli che le cadevano maggiormente davanti al viso, così come alcune pieghe del mantello del Cristo appaiono eliminate o semplificate nella versione finale”, racconta la restauratrice. Alle analisi riflettografiche dobbiamo la scoperta di un altro particolare inatteso: “una lacerazione a U rovesciata situata sul bordo superiore del pozzo tra il Cristo e la Samaritana - continua Pasquali -che appare ricucita ab antiquo con un filo della stessa tela”. Con ogni probabilità non si tratterebbe di un restauro, bensì di una riparazione operata dalla stessa Artemisia su uno strappo occorso accidentalmente in bottega. La materia pittorica che copre la lacerazione è infatti identica a quella del resto dell’opera. Un regalo prezioso è arrivato infine dalla pulitura del dipinto che, libero dalle scorie del tempo e da ridipinture successive, ha svelato la firma della Gentileschi e confermato definitivamente l'attribuzione.
Cristo e la Samaritana è opera di un’Artemisia ormai artisticamente matura, realizzata a Napoli tra il 1636 e il 1637. La pittrice restituisce fedelmente il racconto del Vangelo di Giovanni, reinterpretando con emozionata partecipazione il realismo imposto in pittura da Caravaggio alcuni anni prima. Sullo sfondo si muovono i discepoli che tornano dalla città dove erano andati a fare provviste, mentre in primo piano emergono le figure di Gesù e della Samaritana. Pur immerso in un’aura soprannaturale, il Cristo ha un’espressione dolce mentre pronuncia parole che suonano come un enigma: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete - dice - ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna”. Sorpresa, confusa, affascinata come la Samaritana del dipinto, l’artista invita lo spettatore a comprendere e a fare proprio il messaggio del maestro.
Artemisia Gentileschi (1636 – 1637), Cristo e la Samaritana al pozzo, 1636-37. Olio su tela I Courtesy Palazzo Blu
“Poco meno di due anni or sono, ci è stata segnalata dall’amico la presenza presso una nobile famiglia siciliana di una grande tela di Artemisia che rappresenta l’incontro fra il Cristo e la Samaritana al pozzo di Giacobbe” racconta il presidente di Palazzo Blu Cosimo Bracci Torsi: “L’opera di soggetto sacro, di un’Artemisia diversa dalla proto femminista un poco truculenta con le Giuditte, le Lucrezie e le Cleopatre venuta di moda ultimamente, è apparsa subito di grande interesse e straordinaria qualità”.
Identificata nel 2004 da Luciano Arcangeli ed esposta per la prima volta al pubblico nel 2012 a Milano nella grande mostra dedicata all’artista a Palazzo Reale, la tela di Palazzo Blu può vantare “uno straordinario pedigree collezionistico”, come afferma convinto lo storico dell’arte ed esperto di Artemisia Francesco Solinas del Collège de France di Parigi. È la stessa Gentileschi a descrivere il dipinto nei dettagli, dimensioni comprese, in due lettere dell’autunno 1637 indirizzate al Cavalier Cassiano dal Pozzo, suo illustre estimatore e protettore alla corte di Roma. Tramite il Cavaliere, l’artista offriva la Samaritana ai fratelli cardinali Francesco e Antonio Barberini, nipoti del papa regnante Urbano VIII. I Barberini non acquistarono mai il quadro, che probabilmente fu venduto solo dopo il ritorno dell’artista da Londra, nella primavera del 1641. Passato nelle raccolte napoletane e siciliane dei nobili Ruffo, prima del 1680 il dipinto raggiunse Palermo entrando nella prestigiosa collezione del Duca di Sperlinga e dei suoi eredi, dov'è rimasto fino al XX secolo.
Oggi va a impreziosire il ricco nucleo di opere dei Gentileschi conservato a Palazzo Blu, che annovera già diverse tele dei fratelli Aurelio e Baccio, attivi prevalentemente a Pisa, la Madonna col Bambino e Santi di Orazio e la Musa Clio di Artemisia, acquisita nel 2004 in un’asta nella sede londinese di Christie’s, nonché il Ritratto di Artemisia di Simon Vouet.
Firma dell’opera ‘A’ di Artemisia Gentileschi, svelata dal restauro compiuto a Pisa I Courtesy Palazzo Blu
Le ricerche condotte su Cristo e la Samaritana al pozzo - rivela la restauratrice ed esperta di Artemisia Cinzia Pasquali, consulente per l’intervento sul dipinto - hanno portato alla luce “dettagli di grande interesse: la natura di alcune sostanze e pigmenti, i pentimenti e spostamenti compositivi (sia nella fase preparatoria che in quella pittorica), la natura degli strati utilizzati come base cromatica, i vecchi restauri così come altri segni particolari invisibili a occhio nudo”. Prima di eseguire il dipinto, Artemisia preparò la tela con colla naturale sulla quale fu posato un appretto colorato. Come altri pittori del suo tempo, infatti, la Gentileschi usava spesso fondi bruni prima di dipingere, fatto evidente nell’Allegoria della Pittura conservata a Londra presso la Royal Collection. È possibile ipotizzare inoltre che l’artista si sia servita di un disegno preparatorio in gesso, materiale ben visibile sullo sfondo scuro.
Grazie alla riflettografia ai raggi infrarossi, sappiamo che Artemisia modificò in corso d’opera le posizioni della mano sinistra del Cristo e del braccio sinistro della Samaritana. Anche il volto della donna ha subito diversi cambiamenti: “dalla posizione degli occhi, che suggerivano una testa meno angolata, alla forma dei capelli che le cadevano maggiormente davanti al viso, così come alcune pieghe del mantello del Cristo appaiono eliminate o semplificate nella versione finale”, racconta la restauratrice. Alle analisi riflettografiche dobbiamo la scoperta di un altro particolare inatteso: “una lacerazione a U rovesciata situata sul bordo superiore del pozzo tra il Cristo e la Samaritana - continua Pasquali -che appare ricucita ab antiquo con un filo della stessa tela”. Con ogni probabilità non si tratterebbe di un restauro, bensì di una riparazione operata dalla stessa Artemisia su uno strappo occorso accidentalmente in bottega. La materia pittorica che copre la lacerazione è infatti identica a quella del resto dell’opera. Un regalo prezioso è arrivato infine dalla pulitura del dipinto che, libero dalle scorie del tempo e da ridipinture successive, ha svelato la firma della Gentileschi e confermato definitivamente l'attribuzione.
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