Disputa tra Firenze e Londra per l’attribuzione di un Van Dyck. La vicenda si tinge di giallo
La Continenza di Scipio, Anton van Dyck (?), college Christ Church Oxford
09/12/2012
Firenze - La ‘Continenza di Scipio’ opera dal valore inestimabile del pittore fiammingo Antoon van Dyck (1599-1641), appartenuta al duca di Buckingham, celebre collezionista del Seicento, si trova in Inghilterra, nella collezione del college Christ Church di Oxford, come si è finora pensato, oppure in Italia, a Firenze, in una collezione privata?
Il dubbio è molto ben fondato dal momento che già un anno fa il nostro Ministero per i Beni Culturali, di fronte alla richiesta di esportare l’opera conservata in Italia avanzata dal proprietario, Angiolo Magnelli, gli aveva fatto pervenire notifica dell’attribuzione del dipinto a van Dyck. L’opera è patrimonio nazionale e come tale è vincolata. Pare che sia stata decisiva per l’attribuzione il rinvenimento, sull’opera di proprietà di Magnelli, del ‘bruno egiziano’ o 'bruno di mummia' così chiamato perché utilizzato nel trattamento per la conservazione dei defunti, che van Dyck stendeva sui dipinti per conferire lucentezza, protezione e resistenza ai colori.
Due studiosi italiani, Salvatore Settis e Anchise Tempestini, sostenevano da tempo che il vero van Dyck era quello conservato in Italia. Ma allora chi sarebbe l’autore dell’opera conservata in Inghilterra? Secondo Settis si tratta comunque di un "quadro importantissimo e assai intrigante", probabilmente attribuibile a Rubens. Entrambi i critici ritengono inoltre che nel quadro di Oxford non sia rappresentata la 'Continenza di Scipione' ma un altro soggetto. Secondo Tempestini, autore di un saggio del 2009 “Van Dyck, Rubens, van Dyck” (con introduzione di Salvatore Settis), potrebbe trattarsi di un episodio della vita di Alessandro Magno, perché, precisa, nell’ambientazione della scena si vedono colonne orientali che non fanno pensare né a Carthago Nova, in Spagna, né a Scipione l'Africano e nemmeno alla Penisola Iberica o a Roma mentre invece nel quadro di Firenze i caratteri romani sono ben evidenti, per la presenza del 'littore con il fascio'.
Inoltre, per avvalorare la tesi dell’erronea attribuzione del quadro della Christ Church a van Dick è stato evidenziato anche che in esso furono dipinti i Gorgoni, sculture che arrivarono a Londra nel 1627 dagli scavi di Smirne. Secondo gli studi italiani però Van Dyck non poté vedere queste opere perché in quell’anno era in viaggio tra Roma ed Anversa per fare ritorno a Londra solo nel 1632. La curatrice della Galleria dei dipinti della Christ Church, Jacqueline Thalmann,però non demorde e continua a dirsi sicura che la tradizionale identificazione dell'artista e del soggetto sia quella corretta e che le proposte alternative non siano convincenti. E riguardo alla presenza dei reperti di Smirne nel dipinto, replica ai due studiosi italiani ipotizzando due possibili spiegazioni, vale a dire quella di un'aggiunta successiva oppure la presenza delle sculture in Inghilterra prima dell'autorizzazione ufficiale da parte delle autorità ottomane.
In questi giorni il British Institute di Firenze ha esposto per la prima volta affiancate una riproduzione del quadro di Firenze e una di quello di Oxford.
Ed è a questo punto che su quest’ultimo sono stati evidenziati tagli di tela su tre lati, il destro, il sinistro e quello superiore. Tagli che sarebbero stati effettuati nel dopoguerra, dal momento che non compaiono su una stampa in bianco e nero del primo Novecento.
Ma cosa c’era sulle parti di tela sottratte? Sembra che su di esse comparissero un tempio e simboli greco-orientali e non cartaginesi, elementi che, se ancora presenti, sarebbero stati decisivi per affermare che il quadro non rappresenta 'La continenza di Scipio' e, di conseguenza, non è di van Dyck. E a questo punto la vicenda, che oramai va avanti da tempo, assume i connotati di un vero e proprio giallo internazionale perché, secondo quanto scrive l’ANSA il 6 dicembre scorso “dall'Italia partono sospetti sui tagli esterni alla tela di Oxford. Tagli che levano indizi al tema e a cui non sarebbe estraneo un'ex spia del Kgb, Anthony Blunt, uno dei '5 di Cambridge'”.
Nicoletta Speltra
Il dubbio è molto ben fondato dal momento che già un anno fa il nostro Ministero per i Beni Culturali, di fronte alla richiesta di esportare l’opera conservata in Italia avanzata dal proprietario, Angiolo Magnelli, gli aveva fatto pervenire notifica dell’attribuzione del dipinto a van Dyck. L’opera è patrimonio nazionale e come tale è vincolata. Pare che sia stata decisiva per l’attribuzione il rinvenimento, sull’opera di proprietà di Magnelli, del ‘bruno egiziano’ o 'bruno di mummia' così chiamato perché utilizzato nel trattamento per la conservazione dei defunti, che van Dyck stendeva sui dipinti per conferire lucentezza, protezione e resistenza ai colori.
Due studiosi italiani, Salvatore Settis e Anchise Tempestini, sostenevano da tempo che il vero van Dyck era quello conservato in Italia. Ma allora chi sarebbe l’autore dell’opera conservata in Inghilterra? Secondo Settis si tratta comunque di un "quadro importantissimo e assai intrigante", probabilmente attribuibile a Rubens. Entrambi i critici ritengono inoltre che nel quadro di Oxford non sia rappresentata la 'Continenza di Scipione' ma un altro soggetto. Secondo Tempestini, autore di un saggio del 2009 “Van Dyck, Rubens, van Dyck” (con introduzione di Salvatore Settis), potrebbe trattarsi di un episodio della vita di Alessandro Magno, perché, precisa, nell’ambientazione della scena si vedono colonne orientali che non fanno pensare né a Carthago Nova, in Spagna, né a Scipione l'Africano e nemmeno alla Penisola Iberica o a Roma mentre invece nel quadro di Firenze i caratteri romani sono ben evidenti, per la presenza del 'littore con il fascio'.
Inoltre, per avvalorare la tesi dell’erronea attribuzione del quadro della Christ Church a van Dick è stato evidenziato anche che in esso furono dipinti i Gorgoni, sculture che arrivarono a Londra nel 1627 dagli scavi di Smirne. Secondo gli studi italiani però Van Dyck non poté vedere queste opere perché in quell’anno era in viaggio tra Roma ed Anversa per fare ritorno a Londra solo nel 1632. La curatrice della Galleria dei dipinti della Christ Church, Jacqueline Thalmann,però non demorde e continua a dirsi sicura che la tradizionale identificazione dell'artista e del soggetto sia quella corretta e che le proposte alternative non siano convincenti. E riguardo alla presenza dei reperti di Smirne nel dipinto, replica ai due studiosi italiani ipotizzando due possibili spiegazioni, vale a dire quella di un'aggiunta successiva oppure la presenza delle sculture in Inghilterra prima dell'autorizzazione ufficiale da parte delle autorità ottomane.
In questi giorni il British Institute di Firenze ha esposto per la prima volta affiancate una riproduzione del quadro di Firenze e una di quello di Oxford.
Ed è a questo punto che su quest’ultimo sono stati evidenziati tagli di tela su tre lati, il destro, il sinistro e quello superiore. Tagli che sarebbero stati effettuati nel dopoguerra, dal momento che non compaiono su una stampa in bianco e nero del primo Novecento.
Ma cosa c’era sulle parti di tela sottratte? Sembra che su di esse comparissero un tempio e simboli greco-orientali e non cartaginesi, elementi che, se ancora presenti, sarebbero stati decisivi per affermare che il quadro non rappresenta 'La continenza di Scipio' e, di conseguenza, non è di van Dyck. E a questo punto la vicenda, che oramai va avanti da tempo, assume i connotati di un vero e proprio giallo internazionale perché, secondo quanto scrive l’ANSA il 6 dicembre scorso “dall'Italia partono sospetti sui tagli esterni alla tela di Oxford. Tagli che levano indizi al tema e a cui non sarebbe estraneo un'ex spia del Kgb, Anthony Blunt, uno dei '5 di Cambridge'”.
Nicoletta Speltra
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