Dal 25 ottobre al 29 gennaio alla Galleria Borghese
Meraviglie su pietra. In mostra a Roma la pittura che sfida il tempo
Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento | Installation view | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
Samantha De Martin
24/10/2022
Roma - Un’insolita Giuditta in ginocchio, immersa nella preghiera che precede l’esecuzione di Oloferne, illumina il marmo nero belga sul quale Jacques Stella, tra il 1630-1631, ha immortalato la scena.
Assomiglia a una martire più che a una carnefice, avvolta da un attento gioco di luci e di riverberi tipico del teatro barocco, mentre tre angeli giocano con l’arma che di lì a poco reciderà la testa del condottiero biblico.
In questa suggestiva immagine notturna di Giuditta il bagliore della candela dipinta illumina la protagonista e fa risplendere le trame d’oro dei tessuti, mentre la superficie specchiata della pietra riflette le vere luci dell’ambiente.
Meraviglia è davvero la parola giusta per descrivere la mostra che dal 25 ottobre al 29 gennaio la Galleria Borghese dedica alla pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento. E non soltanto per i numerosi capolavori arrivati da musei italiani e stranieri, oltre che da importanti collezioni private. In questo percorso complesso, di ricerca e di scoperta, che trasforma i quadri in autentiche allegorie, l’occhio è invitato, più del solito, a ragionare sui materiali, a captare, scrutare, astrarre e interpretare i significati nascosti dietro le pietre. Basta prendersi un po’ di tempo per entrare a tu per tu con l’opera e associare un significato a un determinato soggetto raffigurato in un’epoca nella quale dipingere su pietra significava rendere eterna la pittura, sfidare il tempo e la scultura stessa.
Leonardo Grazia, Lucrezia, Olio su lavagna, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
Una necessaria premessa cinquecentesca che testimonia come l’utilizzo di metalli e marmi come supporto alla pittura contribuisse a rendere durevole la memoria di un personaggio caratterizza la prima sezione del percorso, La pietra dipinta e il suo inventore. Così il Ritratto di Roberto di Filippo Strozzi di Francesco Salviati su marmo africano affianca quello di Cosimo de Medici, su porfido rosso, attribuito al Bronzino o anche il Ritratto di Papa Clemente VII con la barba di Sebastiano del Piombo che conferisce al pontefice, attraverso la durezza dell'ardesia, l’aspetto severo, simbolo di solidità morale.
D’altra parte fu proprio del Piombo a riscoprire la pratica della pittura su pietra, già nota agli antichi, prima del sacco di Roma del 1527. Dopo il terribile evento, il pittore e i suoi committenti si illusero che i supporti in pietra avrebbero reso la pittura indistruttibile, quindi eterna.
Antonio Tempesta, Perseo e Andromeda (recto), tempera e olio su lapislazzuli, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
All’ingresso del fastoso Salone della Galleria Borghese il ticchettio dell’orologio notturno con Tanatos, le tre Moire e Ipno accoglie i visitatori sfidando il trascorrere del tempo con la solidità del lapislazzulo e la durezza del diaspro. Accanto, lo Stipo Borghese-Windsor in abete e pioppo, intarsio di pietre dure, in origine eseguito probabilmente per il portoghese Luigi Gomez, è uno straordinario esempio di manifattura romana, oggi al Paul Getty Museum di Los Angeles. L’edicola reliquario con l’Adorazione dei Magi con il suo splendore di pietre evoca il fulgore della fede dei santi, mentre nell’Allegoria del sonno di Alessandro Algardi il marmo nero richiama l’oscurità della notte, e così come come la pietra di paragone veniva utilizzata per saggiare la purezza dell’oro, l’opera è ora chiamata a rivelare le abilità dell’artista malevolmente criticato da Bernini per non sapere scolpire.
La mostra a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini prosegue al primo piano. Alla pietra o al marmo sono talvolta attribuiti poteri. Ed ecco i Talismani o le immagini incorruttibili della devozione, spesso parte degli arredi delle camere da letto dei cardinali, come l’Adorazione dei magi (1605 – 1620) su alabastro di Antonio Tempesta o la Madonna con il Bambino e San Francesco (1605 c.) di Antonio Carracci, dipinta su rame.
Antonio Tempesta, La presa di Gerusalemme, Olio su pietra paesina, Galleria Borghese | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
Dalla lavagna al marmo nero, dall’olio su lapislazzulo alla pietra paesina, in mostra l’occhio si imbatte in una resa diversa da quella ottenuta dall’olio su tela. E percepisce la bellezza immortalata con l’olio su lavagna dal pittore toscano Leonardo Grazia, dove l'effetto confettato dell'esecuzione rende levigata la bellezza senza tempo di Lucrezia, Ebe, Cleopatra.
Vale la pena soffermarsi nella sezione Dipingere con la pietra che accoglie maestri come Antonio Tempesta e Filippo Napoletano, i più prolifici creatori di opere “fatte dalla natura e aiutate con il pennello”. Tra i loro supporti preferiti spicca la pietra paesina, ricavata dai ciottoli della valle dell’Arno e che, adeguatamente tagliata, può assumere un andamento ondulato o fratturato. Bellissima la Presa di Gerusalemme di Tempesta dove l’artista si adegua alle frammentazioni naturali della pietra e dove minimi tocchi di pennello trasformano queste fratture nell’immagine di una città abbacinante.
Che fossero appese ai muri o appoggiate su tavolini, o ancora conservate in scatole, queste pitture su pietra invitavano a essere prese in mano per essere ammirate da vicino. Tra le eroine del mito su pietra ecco infine Andromeda, la "statua d’avorio” cara a Ovidio, dipinta su lapislazzuolo da Antonio Tempesta.
“Ricordiamo - spiega la curatrice Patrizia Cavazzini - che l’eroe quasi scambiò la fanciulla per una statua quando la vide incatenata alla roccia, inseparabile da questa, come la sua immagine non può essere scissa dalla pietra su cui è dipinta".
Dettaglio da Guglielmo della Porta, Crocefissione, 1550-1577 ca, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
Ad accrescere la meraviglia senza tempo, che comprende anche oggetti attualmente parte della collezione Borghese, come il Tavolo in pietre dure di ambito romano oppure il Tabernacolo della Cappella, sono le statue con inserti policromi della Galleria, che generano un necessario confronto con i marmi colorati antichi a comporre una sorprendente wunderkammer.
“Il percorso - spiega Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese e curatrice della mostra - ci accompagna alla scoperta di una ricchezza nascosta all’interno delle collezioni, ci avvicina a una forma di opera d’arte che si poteva toccare, per osservarla da vicino e con molta attenzione, lasciandosi incantare dall’abilità dell’artista e dall’energia creativa della natura stessa”.
Le tante vite della pietra proseguono, sfidano il tempo, ma in modi diversi. Con il subentrare della peste ad esempio le pietre non saranno più dipinte ma frantumate e quel lapislazzulo tanto utilizzato per simulare il mare e il cielo, verrà adesso impiegato per abbassare la febbre.
A corredo della mostra il catalogo edito da Officina libraria con introduzione di Francesca Cappelletti e testi, tra gli altri, di Patrizia Cavazzini, Piers Baker-Bates, Elena Calvillo, Laura Valterio, Judy Mann e Francesco Freddolini.
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Assomiglia a una martire più che a una carnefice, avvolta da un attento gioco di luci e di riverberi tipico del teatro barocco, mentre tre angeli giocano con l’arma che di lì a poco reciderà la testa del condottiero biblico.
In questa suggestiva immagine notturna di Giuditta il bagliore della candela dipinta illumina la protagonista e fa risplendere le trame d’oro dei tessuti, mentre la superficie specchiata della pietra riflette le vere luci dell’ambiente.
Meraviglia è davvero la parola giusta per descrivere la mostra che dal 25 ottobre al 29 gennaio la Galleria Borghese dedica alla pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento. E non soltanto per i numerosi capolavori arrivati da musei italiani e stranieri, oltre che da importanti collezioni private. In questo percorso complesso, di ricerca e di scoperta, che trasforma i quadri in autentiche allegorie, l’occhio è invitato, più del solito, a ragionare sui materiali, a captare, scrutare, astrarre e interpretare i significati nascosti dietro le pietre. Basta prendersi un po’ di tempo per entrare a tu per tu con l’opera e associare un significato a un determinato soggetto raffigurato in un’epoca nella quale dipingere su pietra significava rendere eterna la pittura, sfidare il tempo e la scultura stessa.
Leonardo Grazia, Lucrezia, Olio su lavagna, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
Una necessaria premessa cinquecentesca che testimonia come l’utilizzo di metalli e marmi come supporto alla pittura contribuisse a rendere durevole la memoria di un personaggio caratterizza la prima sezione del percorso, La pietra dipinta e il suo inventore. Così il Ritratto di Roberto di Filippo Strozzi di Francesco Salviati su marmo africano affianca quello di Cosimo de Medici, su porfido rosso, attribuito al Bronzino o anche il Ritratto di Papa Clemente VII con la barba di Sebastiano del Piombo che conferisce al pontefice, attraverso la durezza dell'ardesia, l’aspetto severo, simbolo di solidità morale.
D’altra parte fu proprio del Piombo a riscoprire la pratica della pittura su pietra, già nota agli antichi, prima del sacco di Roma del 1527. Dopo il terribile evento, il pittore e i suoi committenti si illusero che i supporti in pietra avrebbero reso la pittura indistruttibile, quindi eterna.
Antonio Tempesta, Perseo e Andromeda (recto), tempera e olio su lapislazzuli, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
All’ingresso del fastoso Salone della Galleria Borghese il ticchettio dell’orologio notturno con Tanatos, le tre Moire e Ipno accoglie i visitatori sfidando il trascorrere del tempo con la solidità del lapislazzulo e la durezza del diaspro. Accanto, lo Stipo Borghese-Windsor in abete e pioppo, intarsio di pietre dure, in origine eseguito probabilmente per il portoghese Luigi Gomez, è uno straordinario esempio di manifattura romana, oggi al Paul Getty Museum di Los Angeles. L’edicola reliquario con l’Adorazione dei Magi con il suo splendore di pietre evoca il fulgore della fede dei santi, mentre nell’Allegoria del sonno di Alessandro Algardi il marmo nero richiama l’oscurità della notte, e così come come la pietra di paragone veniva utilizzata per saggiare la purezza dell’oro, l’opera è ora chiamata a rivelare le abilità dell’artista malevolmente criticato da Bernini per non sapere scolpire.
La mostra a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini prosegue al primo piano. Alla pietra o al marmo sono talvolta attribuiti poteri. Ed ecco i Talismani o le immagini incorruttibili della devozione, spesso parte degli arredi delle camere da letto dei cardinali, come l’Adorazione dei magi (1605 – 1620) su alabastro di Antonio Tempesta o la Madonna con il Bambino e San Francesco (1605 c.) di Antonio Carracci, dipinta su rame.
Antonio Tempesta, La presa di Gerusalemme, Olio su pietra paesina, Galleria Borghese | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
Dalla lavagna al marmo nero, dall’olio su lapislazzulo alla pietra paesina, in mostra l’occhio si imbatte in una resa diversa da quella ottenuta dall’olio su tela. E percepisce la bellezza immortalata con l’olio su lavagna dal pittore toscano Leonardo Grazia, dove l'effetto confettato dell'esecuzione rende levigata la bellezza senza tempo di Lucrezia, Ebe, Cleopatra.
Vale la pena soffermarsi nella sezione Dipingere con la pietra che accoglie maestri come Antonio Tempesta e Filippo Napoletano, i più prolifici creatori di opere “fatte dalla natura e aiutate con il pennello”. Tra i loro supporti preferiti spicca la pietra paesina, ricavata dai ciottoli della valle dell’Arno e che, adeguatamente tagliata, può assumere un andamento ondulato o fratturato. Bellissima la Presa di Gerusalemme di Tempesta dove l’artista si adegua alle frammentazioni naturali della pietra e dove minimi tocchi di pennello trasformano queste fratture nell’immagine di una città abbacinante.
Che fossero appese ai muri o appoggiate su tavolini, o ancora conservate in scatole, queste pitture su pietra invitavano a essere prese in mano per essere ammirate da vicino. Tra le eroine del mito su pietra ecco infine Andromeda, la "statua d’avorio” cara a Ovidio, dipinta su lapislazzuolo da Antonio Tempesta.
“Ricordiamo - spiega la curatrice Patrizia Cavazzini - che l’eroe quasi scambiò la fanciulla per una statua quando la vide incatenata alla roccia, inseparabile da questa, come la sua immagine non può essere scissa dalla pietra su cui è dipinta".
Dettaglio da Guglielmo della Porta, Crocefissione, 1550-1577 ca, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese
Ad accrescere la meraviglia senza tempo, che comprende anche oggetti attualmente parte della collezione Borghese, come il Tavolo in pietre dure di ambito romano oppure il Tabernacolo della Cappella, sono le statue con inserti policromi della Galleria, che generano un necessario confronto con i marmi colorati antichi a comporre una sorprendente wunderkammer.
“Il percorso - spiega Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese e curatrice della mostra - ci accompagna alla scoperta di una ricchezza nascosta all’interno delle collezioni, ci avvicina a una forma di opera d’arte che si poteva toccare, per osservarla da vicino e con molta attenzione, lasciandosi incantare dall’abilità dell’artista e dall’energia creativa della natura stessa”.
Le tante vite della pietra proseguono, sfidano il tempo, ma in modi diversi. Con il subentrare della peste ad esempio le pietre non saranno più dipinte ma frantumate e quel lapislazzulo tanto utilizzato per simulare il mare e il cielo, verrà adesso impiegato per abbassare la febbre.
A corredo della mostra il catalogo edito da Officina libraria con introduzione di Francesca Cappelletti e testi, tra gli altri, di Patrizia Cavazzini, Piers Baker-Bates, Elena Calvillo, Laura Valterio, Judy Mann e Francesco Freddolini.
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