Pensieri preziosi 9. Gioielleria contemporanea australiana
Dal 30 Novembre 2013 al 23 Febbraio 2014
Padova
Luogo: Oratorio di San Rocco
Indirizzo: via Santa Lucia
Orari: da martedì a domenica 9.30-12.30/ 15.30-19
Curatori: Mirella Cisotto Nalon, testi di Luisa Bazzanella Dal Piaz, Mirella Cisotto Nalon, Alessandra Possamai Vita, Alessandra Zabbeo
Enti promotori:
- Assessorato alla Cultura del Comune di Padova
- Regione Veneto
- Fondazione Antonveneta
Telefono per informazioni: +39 049 8204537
E-Mail info: serviziomostre@comune.padova.it
Sito ufficiale: http://padovacultura.padovanet.it
L'Assessorato alla Cultura del Comune di Padova da decenni è impegnato nel promuovere e approfondire dal punto di vista storico critico l’evoluzione e lo sviluppo della gioielleria contemporanea di ricerca, non solo italiana ma anche internazionale, ponendo a dialogo e confronto artisti proventi da Scuole e ambiti culturali diversi. Quest'anno la rassegna Pensieri Preziosi, ideata e curata da Mirella Cisotto Nalon e giunta alla nona edizione, presenta la Scuola orafa australiana formatasi presso la RMIT University di Melbourne.
“L’esposizione - ricorda l’Assessore alla Cultura Andrea Colasio - permette di conoscere, apprezzare e indagare le originalissime opere create da otto artisti, appositamente selezionati, che hanno studiato presso la più importante Università di design del continente australiano, sotto la guida del prof. Robert Baines”.
Robert Baines - professore emerito presso la RMIT Univerity di Melbourne - assieme a Nicholas Bastin, Simon Cottrell, Kirsten Haydon, Linda Hughes, Christopher Milbourne, Nicole Polentas e Katherine Wheeler, danno quindi vita, con circa un centinaio di opere, ad una mostra che permetterà al pubblico italiano di conoscere e apprezzare lo stile dell'oreficeria di ricerca australiana.
Materiali poveri, accanto alla preziosità dell'oro e a originali e inconsuete tecniche lavorative, che uniscono tradizione a innovazione, costituiscono le opere scelte per l'esposizione: si tratta di pezzi concettualmente complessi, tesi a esprimere il pensiero, il sentire, la riflessione artistica, attenta al passato quanto al presente, propri di ogni singolo artista.
Secondo Baines la “poetica del fare” ha bisogno di un tòpos, “luogo”, reale e metaforico, nel quale dare vita al gioiello. Nella ricerca del tòpos l'artista individua e indica ai suoi allievi quattro grandi aree di attenzione necessarie per la progettazione e realizzazione del gioiello contemporaneo: il tòpos dell’ “oggetto trovato”, ossia residui di materiali industriali, oggetti scartati della quotidianità, raccolti e riutilizzati offrendo loro una nuova dimensione e nuova vita; il tòpos dello spazio intimo, personale e privato, il proprio corpo, la casa, la memoria individuale e soggettiva; il tòpos dello spazio pubblico, strade, esterni, architetture, il tòpos della storia e della cultura che inevitabilmente si connette con la storia e il pensiero personale.
Prevalentemente concettuale, la gioielleria contemporanea australiana esibisce una sapiente sperimentazione tecnica nell'utilizzo dei materiali, una viva attenzione alla storia personale e a quella collettiva, eleganza formale non priva di echi legati al passato ma anche alla quotidianità, con esiti talora astratti, fantastici, poetici e spesso velati di una nostalgica ironia.
Tale processo concettuale conduce spesso a interpretazioni che si svolgono quali veri e propri racconti, storie reali o surreali di cui le opere sono protagoniste all'interno di un'attenta e consapevole operazione di ricerca e progettualità.
Robert Baines (1949) dà alle opere una valenza prettamente concettuale; esse sono costruite utilizzando tecniche antiche, come un tripudio di ricami d'oro, argento o di colore: spille, collane, anelli risultano espressione non soltanto di accurate e complesse tecniche di lavorazione, dagli esiti raffinati, ma anche di preziose testimonianze di vita personale e collettiva, di storie del passato e del presente. L’inserimento di “oggetti trovati”, di piccole figure di plastica e l'utilizzo di polvere colorata, trattata elettroliticamente, portano immediatamente il gioiello alla contemporaneità. Per Baines il gioiello è portatore di cultura, di pensiero, di memoria storica collettiva e personale, è un media che esplora e riflette le vie della tradizione e dell'innovazione. E' su tali principi che i suoi allievi creano le loro opere, a loro volta singolari interpretazioni dagli esiti diversi ma accomunati dall’idea che il gioiello è un mezzo di comunicazione e di espressione, strettamente legato a un territorio, a una storia, a un ricordo. Nicholas Bastin (1968) ama creare oggetti totalmente "inventati", gioielli ideali e immaginifici che sembrano appartenere a personaggi irreali, fantastici, al di fuori del tempo storico, ai giocattoli e ai Manga giapponesi. Egli indaga desideri e paure giocando entro mondi alternativi di mitologie personali, coniugando l’espressione creativa con linguaggi figurativi sperimentali.
Simon Cottrell (1975) si serve quasi esclusivamente della forma cilindrica, piatta come le pastiglie o allungata e rastremata verso l’alto, con la superficie liscia o sfaccettata, fornita di dentelli aggettanti che collegano le forme. Il colore monocromo, dato dall'utilizzo di leghe metalliche, definisce le superfici e unifica le parti. Volumi, forme, superfici, colore sono valori linguistici legati alla percezione visiva, parametri indispensabili che contribuiscono a dare significato e visibilità.
L’artista crea dei gioielli in cui cerca di cogliere progressivamente le qualità elementari delle cose, non come banale semplificazione, ma come espressione di un’intuizione che si manifesta nell’insieme delle sue opere e che solo la percezione può offrire.
Kirsten Haydon (1973), artista originaria dalla Nuova Zelanda, collega i suoi gioielli al concetto semplice ma insieme complesso di "souvenir" dando particolare voce alla forte personale esperienza vissuta nel territorio antartico. Ricordo, ricerca e sperimentazione tecnica infatti convogliano nelle sue opere che raccontano episodi, momenti vissuti tra i ghiacci. Scatti fotografici eseguiti nel viaggio in Antartide vengono rivissuti e reinterpretati trasmutandoli in gioielli che danno, grazie ad una particolare tecnica sperimentale di lavorazione dello smalto, un effetto ottico riflettente, alludendo al gioco della luce riflessa come fosse polvere di cristalli di ghiaccio o il bianco accecante della neve.
Linda Huges (1953) fa della geometria e dell'astrazione, ispirata alla quotidianità delle indicazioni stradali, il proprio linguaggio e, attraverso l'utilizzo di colori netti e linee precise; attribuisce al gioiello, con il semplice atto di sceglierlo e indossarlo, la capacità di far cambiare ad una persona l’atteggiamento verso se stessa, gli altri e il mondo. Lavora con materiali nuovi e inusuali, strisce parallele distribuite in maniera regolare, in genere della stessa larghezza e di vari colori: il nero si alterna con il bianco o il rosso, il giallo con il nero. Forme circolari singole, accostate o sovrapposte, parallelepipedi o cilindri sottili che l’artista assembla in maniera scomposta, per cui le linee di ogni singolo pezzo creano un ulteriore gioco geometrico e cromatico.
Christopher Milbourne (1984) fa nascere le sue opere da ricordi della memoria; mini sculture intricate che oscillano tra astrazione e rappresentazione che evocano rovine moderne, strutture architettoniche di edifici abbandonati, macchine da lavoro in disuso. Tra i materiali predilige lo Sterling Silver come il più idoneo alla realizzazione delle sue idee. Nei suoi lavori sono sempre presenti dei titoli descrittivi, indicatori del complesso immaginario dell’artista.
Nicole Polentas (1984) riporta nei suoi gioielli le origini cretesi, rimarcando il comune denominatore della scuola orafa australiana, che sottolinea l’interconnessione tra cultura, identità e senso di appartenenza ad un territorio. Costruzioni affascinanti costituite da diverse materie quali plastica, vetro, porcellana, acciaio, argento, le opere della Polentas sono un assemblaggio di figure, fotografie e testi. Fondamento di ogni sua opera sono i brani di mantinades, impressi su strisce metalliche attorcigliate.
Katherine Wheeler (1979) nei suoi lavori è fortemente influenzata dalla vita del mare. L'artista crea principalmente gioielli sculture, che combinano materiali come argento sottile, porcellana, carta e filo. Le opere ed i materiali sono spesso 'mimetizzati' da vernice bianca, per creare inedite forme. Le sue immagini di animali marini si caratterizzano per il contenuto semantico, per la loro iconicità, i cui significati attengono alle attività delle immaginazioni, dell’astrazione e della simbolizzazione. Gli anelli sono il suo soggetto preferito, anelli grandi, anelli cavi che hanno un collegamento con il corpo, indossati possono essere una continuazione del corpo, vengono ad esistere o coesistere con la persona.
“L’esposizione - ricorda l’Assessore alla Cultura Andrea Colasio - permette di conoscere, apprezzare e indagare le originalissime opere create da otto artisti, appositamente selezionati, che hanno studiato presso la più importante Università di design del continente australiano, sotto la guida del prof. Robert Baines”.
Robert Baines - professore emerito presso la RMIT Univerity di Melbourne - assieme a Nicholas Bastin, Simon Cottrell, Kirsten Haydon, Linda Hughes, Christopher Milbourne, Nicole Polentas e Katherine Wheeler, danno quindi vita, con circa un centinaio di opere, ad una mostra che permetterà al pubblico italiano di conoscere e apprezzare lo stile dell'oreficeria di ricerca australiana.
Materiali poveri, accanto alla preziosità dell'oro e a originali e inconsuete tecniche lavorative, che uniscono tradizione a innovazione, costituiscono le opere scelte per l'esposizione: si tratta di pezzi concettualmente complessi, tesi a esprimere il pensiero, il sentire, la riflessione artistica, attenta al passato quanto al presente, propri di ogni singolo artista.
Secondo Baines la “poetica del fare” ha bisogno di un tòpos, “luogo”, reale e metaforico, nel quale dare vita al gioiello. Nella ricerca del tòpos l'artista individua e indica ai suoi allievi quattro grandi aree di attenzione necessarie per la progettazione e realizzazione del gioiello contemporaneo: il tòpos dell’ “oggetto trovato”, ossia residui di materiali industriali, oggetti scartati della quotidianità, raccolti e riutilizzati offrendo loro una nuova dimensione e nuova vita; il tòpos dello spazio intimo, personale e privato, il proprio corpo, la casa, la memoria individuale e soggettiva; il tòpos dello spazio pubblico, strade, esterni, architetture, il tòpos della storia e della cultura che inevitabilmente si connette con la storia e il pensiero personale.
Prevalentemente concettuale, la gioielleria contemporanea australiana esibisce una sapiente sperimentazione tecnica nell'utilizzo dei materiali, una viva attenzione alla storia personale e a quella collettiva, eleganza formale non priva di echi legati al passato ma anche alla quotidianità, con esiti talora astratti, fantastici, poetici e spesso velati di una nostalgica ironia.
Tale processo concettuale conduce spesso a interpretazioni che si svolgono quali veri e propri racconti, storie reali o surreali di cui le opere sono protagoniste all'interno di un'attenta e consapevole operazione di ricerca e progettualità.
Robert Baines (1949) dà alle opere una valenza prettamente concettuale; esse sono costruite utilizzando tecniche antiche, come un tripudio di ricami d'oro, argento o di colore: spille, collane, anelli risultano espressione non soltanto di accurate e complesse tecniche di lavorazione, dagli esiti raffinati, ma anche di preziose testimonianze di vita personale e collettiva, di storie del passato e del presente. L’inserimento di “oggetti trovati”, di piccole figure di plastica e l'utilizzo di polvere colorata, trattata elettroliticamente, portano immediatamente il gioiello alla contemporaneità. Per Baines il gioiello è portatore di cultura, di pensiero, di memoria storica collettiva e personale, è un media che esplora e riflette le vie della tradizione e dell'innovazione. E' su tali principi che i suoi allievi creano le loro opere, a loro volta singolari interpretazioni dagli esiti diversi ma accomunati dall’idea che il gioiello è un mezzo di comunicazione e di espressione, strettamente legato a un territorio, a una storia, a un ricordo. Nicholas Bastin (1968) ama creare oggetti totalmente "inventati", gioielli ideali e immaginifici che sembrano appartenere a personaggi irreali, fantastici, al di fuori del tempo storico, ai giocattoli e ai Manga giapponesi. Egli indaga desideri e paure giocando entro mondi alternativi di mitologie personali, coniugando l’espressione creativa con linguaggi figurativi sperimentali.
Simon Cottrell (1975) si serve quasi esclusivamente della forma cilindrica, piatta come le pastiglie o allungata e rastremata verso l’alto, con la superficie liscia o sfaccettata, fornita di dentelli aggettanti che collegano le forme. Il colore monocromo, dato dall'utilizzo di leghe metalliche, definisce le superfici e unifica le parti. Volumi, forme, superfici, colore sono valori linguistici legati alla percezione visiva, parametri indispensabili che contribuiscono a dare significato e visibilità.
L’artista crea dei gioielli in cui cerca di cogliere progressivamente le qualità elementari delle cose, non come banale semplificazione, ma come espressione di un’intuizione che si manifesta nell’insieme delle sue opere e che solo la percezione può offrire.
Kirsten Haydon (1973), artista originaria dalla Nuova Zelanda, collega i suoi gioielli al concetto semplice ma insieme complesso di "souvenir" dando particolare voce alla forte personale esperienza vissuta nel territorio antartico. Ricordo, ricerca e sperimentazione tecnica infatti convogliano nelle sue opere che raccontano episodi, momenti vissuti tra i ghiacci. Scatti fotografici eseguiti nel viaggio in Antartide vengono rivissuti e reinterpretati trasmutandoli in gioielli che danno, grazie ad una particolare tecnica sperimentale di lavorazione dello smalto, un effetto ottico riflettente, alludendo al gioco della luce riflessa come fosse polvere di cristalli di ghiaccio o il bianco accecante della neve.
Linda Huges (1953) fa della geometria e dell'astrazione, ispirata alla quotidianità delle indicazioni stradali, il proprio linguaggio e, attraverso l'utilizzo di colori netti e linee precise; attribuisce al gioiello, con il semplice atto di sceglierlo e indossarlo, la capacità di far cambiare ad una persona l’atteggiamento verso se stessa, gli altri e il mondo. Lavora con materiali nuovi e inusuali, strisce parallele distribuite in maniera regolare, in genere della stessa larghezza e di vari colori: il nero si alterna con il bianco o il rosso, il giallo con il nero. Forme circolari singole, accostate o sovrapposte, parallelepipedi o cilindri sottili che l’artista assembla in maniera scomposta, per cui le linee di ogni singolo pezzo creano un ulteriore gioco geometrico e cromatico.
Christopher Milbourne (1984) fa nascere le sue opere da ricordi della memoria; mini sculture intricate che oscillano tra astrazione e rappresentazione che evocano rovine moderne, strutture architettoniche di edifici abbandonati, macchine da lavoro in disuso. Tra i materiali predilige lo Sterling Silver come il più idoneo alla realizzazione delle sue idee. Nei suoi lavori sono sempre presenti dei titoli descrittivi, indicatori del complesso immaginario dell’artista.
Nicole Polentas (1984) riporta nei suoi gioielli le origini cretesi, rimarcando il comune denominatore della scuola orafa australiana, che sottolinea l’interconnessione tra cultura, identità e senso di appartenenza ad un territorio. Costruzioni affascinanti costituite da diverse materie quali plastica, vetro, porcellana, acciaio, argento, le opere della Polentas sono un assemblaggio di figure, fotografie e testi. Fondamento di ogni sua opera sono i brani di mantinades, impressi su strisce metalliche attorcigliate.
Katherine Wheeler (1979) nei suoi lavori è fortemente influenzata dalla vita del mare. L'artista crea principalmente gioielli sculture, che combinano materiali come argento sottile, porcellana, carta e filo. Le opere ed i materiali sono spesso 'mimetizzati' da vernice bianca, per creare inedite forme. Le sue immagini di animali marini si caratterizzano per il contenuto semantico, per la loro iconicità, i cui significati attengono alle attività delle immaginazioni, dell’astrazione e della simbolizzazione. Gli anelli sono il suo soggetto preferito, anelli grandi, anelli cavi che hanno un collegamento con il corpo, indossati possono essere una continuazione del corpo, vengono ad esistere o coesistere con la persona.
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