Sensibile comune. Le opere vive
Dal 14 Gennaio 2017 al 22 Gennaio 2017
Roma
Luogo: Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Indirizzo: via Gramsci 69-71
Curatori: Ilaria Bussoni, Nicolas Martino, Cesare Pietroiusti
Enti promotori:
- La Galleria Nazionale
- Operaviva.info
- Fondazione Lac o Le Mon
E-Mail info: contact@sensibilecomune.org
Sito ufficiale: http://www.sensibilecomune.org
Dal 14 al 22 gennaio la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ospiterà una mostra legata a C17, la conferenza di Roma sul comunismo, che tenterà un nuovo incontro tra mondo dell’arte, attivismo politico e filosofia. Perché il sensibile ci accomuna, dunque il sensibile è questione di lotte.
di Mariasole Garacci
Dal 14 al 22 gennaio 2017 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ospiterà la mostra Sensibile comune. Le opere vive a cura di Ilaria Bussoni, Nicolas Martino e Cesare Pietroiusti, autori del Manifesto della mostra. L’evento è collegato a C17, la conferenza di Roma sul comunismo, che avrà luogo dal 18 al 22 gennaio a Roma, negli spazi di ESC – Atelier Autogestito e della Galleria: si alterneranno quattro conferenze tenute a ESC, quattro workshop e una conferenza ospitati dal museo, per ognuno dei cinque temi principali della conferenza. Filosofi, ricercatori, attivisti internazionali si riuniranno a Roma per cinque giorni, nel centenario della Rivoluzione d’Ottobre, per ragionare sul comunismo reale, su cosa ne rimane, sul comunismo immaginato e il comunismo che sarà, tra nuovi poteri, Stato e Capitale contemporaneo. Per pensare a un’estetica comune, o a un comunismo estetico, che si muova tra le odierne partizioni del sensibile e ne crei di nuove.
Estetica del comune, comunismo estetico. Un tema oggi di importanza cruciale non soltanto dal punto di vista politico, ma anche da quello della pratica artistica (linguaggi, temi, scopi), del posizionamento di tale pratica nel pensiero e nell’azione, della critica d’arte e della cura. Deve l’arte essere militante? La questione è altra e più radicale. Se si riconosce che l’arte ha il potere di asserire enunciati a prescindere dalle intenzioni del singolo artista e dalle circostanze della sua creazione, semplicemente per la sua duplice natura di idea e oggetto e per la facoltà di attraversare i piani del reale e della finzione, trasportando a ogni passaggio sensi, significati e inusitati percetti, si capisce che tali enunciati hanno una consistenza speciale, sono mine vaganti pronte a scoppiare, a deflagrare. Sono, come li ha definiti Jacques Rancière, dei “quasi-corpi” la cui circolazione “determina delle modificazioni della percezione sensibile del comune”. Sono, insomma, in grado di modificare il sensibile e trasformarsi in strumenti di lotta e di libertà.
Questi quasi-corpi, per citare ancora Rancière, “hanno effetti sul reale: definiscono non solo dei modelli di parola o di azione, ma anche dei regimi di intensità del sensibile. Generano delle mappature del visibile, dei percorsi di connessione tra visibile e dicibile, delle relazioni tra modi di essere, modi di fare e modi di dire. Definiscono variazioni delle intensità sensibili, delle percezioni e delle capacità dei corpi”[1]. La prova possiamo farla su noi stessi ogni volta che esperiamo un’opera d’arte, di qualsiasi epoca purché esteticamente riuscita, dalla scultura cicladica alle forme biomorfe di Arp e Moore, dalla pittura vascolare attica alla video-arte, dal Gotico internazionale ai mobiles di Calder, dal Torso vaticano alla Body Art, dal pittoricismo del Cinquecento veneziano al pigmento puro di Klein. Uscendo e rientrando dalla dimensione dell’opera alla realtà restiamo contaminati o, possiamo dire, avvolti da una nuova sedimentazione sulla nostra percezione e sulla nostra coscienza. Questo movimento ha, inoltre, il potere di destabilizzare, destrutturare, negare continuamente il reale e riaffermarlo in nuove partizioni, ossia di generare l’abitudine alla libertà.
Occorre dunque un nuovo e radicale sguardo sul fenomeno artistico, incentrato sulla variazione che questo imprime al sensibile, e sulla sua ricezione nel riguardante. E’ utile accogliere il lascito di Duchamp, la chiave del ready-made che non tanto affermava una nuova espressione artistica ma concettualizzava ciò che sempre era stato proprio dell’arte in ogni epoca, ossia la dimensione del possibile, il potere di spostare sensi e idee dal campo dell’immaginazione a quello del reale e viceversa e di creare percetti, proprio come la filosofia crea concetti. Il potere di affermare qui e ora che “questo è arte”, che qui e ora l’inesistente e il solo pensato esiste e prende corpo, facendo scoprire all’individuo che è soggetto, e come tale libero e in grado di modificare il reale e le sue gerarchie. E, poiché si parla di gerarchia, bisogna riconsiderare persino l’autorialità individuale, quella forma proprietaria a cui restiamo ancorati nel tentativo di riconoscere e distinguere ciò che è arte da ciò che non lo è, assegnando all’arte un’aura che la isola su un piedistallo e la relega al silenzio, all’intrattenimento e al ruolo di oggetto di consumo e mercato, sopprimendone o impedendo di leggerne l'autentico valore estetico e di esercitare una critica lucida. Mettere in discussione anche l’appartenenza disciplinare, che separa il comune esperito dall’uomo ostacolando la fusione di opera e vita, di immaginazione, parola, pensiero e azione. E sotto, questa luce, riconsiderare curatorialità e critica d’arte, il privilegio dell’interpretazione che assume la forma di un principio d’autorità.
Riflettendo su tutti questi temi, i curatori di Sensibile comune. Le opere vive hanno provato innanzitutto a smontare alcune abitudini della fruizione tipica di un museo statale e a creare delle occasioni di corto-circuito tra lo spettatore e le opere che questi è normalmente abituato a osservare in contemplazione più o meno passiva, allo scopo di cercare nuove modalità di esperienza e attivare la percezione, ossia rientrare nella piega alla radice di quella aisthesis che originariamente ci connette con il mondo circostante. Scopriremo, inoltre, che arte e attivismo possono incontrarsi anche in un museo, giocando sulla variazione e la moltiplicazione di sensi e significati, sull’invenzione e l’inclinazione di diversi piani di moto percettivo. Le opere, ad esempio, possono cambiare di posto e di ruolo. Possono prestarsi ad essere usate, annunciano i curatori della mostra, come “vettori di un confronto, voci tra altre voci, pre-testi per altre opere, che a loro volta saranno pensate, invece che come risultato finale del processo, come strumenti per passaggi ulteriori, opere all’ennesima” (in questo senso è da intendere anche l’attuale e molto discussa mostra-allestimento Time is Out of Joint della Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea). Per questo saranno chiamati a dialogare con una selezione di opere d’arte della collezione permanente della Galleria una nutrita serie di artisti contemporanei tra cui Claire Fontaine, Gian Maria Tosatti, Davide D'Elia, Fiamma Montezemolo, Danilo Correale, Domenico Antonio Mancini, Giuliano Lombardo, Dora Garcia, Rene Gabri e Ayreen Anastas, Rossella Biscotti, Kinkaleri, Malastrada e Cristina Rizzo che si confronteranno con Piero Manzoni, Alberto Burri, Toti Scialoja, Giulio Paolini, Medardo Rosso, Marcel Duchamp, Filippo Palizzi, Pellizza da Volpedo, Giulio Turcato, Pino Pascali, Lucio Fontana e altri.
Anche l’opera la cui integrità materiale si è corrotta, ma che per la specificità del suo statuto artistico permane nella sua unità, unità che non è mai un totale di parti e la cui potenzialità continua a sussistere, può essere interpellata in relazione alla resistenza del suo essere artistico. L’opera “rotta” è un’opera “aperta” che disvela la sua materialità e il suo inganno, il lato fragile della sua consistenza. Saranno chiamati a ragionare sul tema della irriducibilità dell’opera d’arte e della cura del suo supporto materiale Carolyn Christov-Bakargiev, Annarosa Buttarelli, Tarek Elhaik riuniti in una tavola rotonda con i restauratori della Galleria. Un’altra tavola rotonda, con Mario Tronti, Manuel Borja-Villel, Marco Scotini, sarà invece dedicata al patrimonio di “possibili”, testimonianze di lotte e dissensi sotto forma di musica, gesti, foto, parole, conservato negli archivi, un tipo di memoria depositata normalmente in biblioteche e musei e che invece deve essere liberata, usata, tornare alla moltitudine.
La mostra sarà articolata in sei sezioni: le opere all'ennesima e le opere incurabili (in relazione con le opere della Galleria), le opere in lotta (ovvero un grande archivio cartaceo e digitale messo a disposizione del pubblico), le opere in fuga (la proiezione di importanti opere cinematografiche, tra queste quelle di Jean-Marie Straub e Guy Debord), le opere in costruzione (performance e site specific che si faranno in diretta durante i giorni della mostra), e le opere in contemplazione (ovvero l'esperienza sensoriale del gusto a partire dalla rivoluzione del vino naturale). Molti sono i nomi che, a vario titolo, parteciperanno alla manifestazione, tra questi: Jacques Rancière, Etienne Balibar, Pierre Dardot, Christian Laval, Giacomo Marramao e Paolo Virno. La mostra conta anche sul sostegno di importanti istituzioni internazionali, tra cui l'Ambasciata di Francia, Villa Medici e il Museo Reina Sofia di Madrid.
OPERE ALL'ENNESIMA
Artisti invitati:
Anemoi, Elisabetta Benassi, Simone Bertugno e Mike Watson (Loal – League of Art Legends), Rossella Biscotti, Lu Cafausu, John Cascone, Corrado Chiatti, Luca Coclite, Danilo Correale, Davide D’Elia, Antonio Della Guardia, Emilio Fantin, Claire Fontaine, Giulia Gabrielli, Dora Garcia, Francesca Grilli, Emily Jacir, Kinkaleri, Alessandro Laita e Chiaralice Rizzi, Olivier Kosta-Théfaine, Sandra Lang, Andrea Lanini, Giuliano Lombardo, Eva Macali, Domenico Antonio Mancini, Fiamma Montezemolo, Luca Musacchio, Matteo Nasini, Mattia Pellegrini e Jesal Kapadia, Cesare Pietroiusti, Luigi Presicce, Cristina Kristal Rizzo, Carola Spadoni, Gian Maria Tosatti.
Artisti della collezione:
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