La cappella Sansevero a Napoli
Il Cristo Velato nella Cappella di Sansevero a Napoli
27/02/2002
Raimondo di Sangro fu uno dei più eminenti personaggi dell’aristocrazia partenopea di metà Settecento. Principe di Sansevero, “di corta statura, di gran capo, di bello e gioviale aspetto”, mise in piedi una aggiornatissima biblioteca, ricca di testi di Diderot, D’Alambert, Montesquieu, Condillac, Rousseau. Non che fosse un sostenitore delle nuove dottrine illuministe, sospese tra sensismo e materialismo, ma non le disdegnava e le riteneva necessarie alla promozione della propria immagine in società. Era piuttosto interessato alle scienze esatte: conosceva i testi di Newton, di Galilei, e numerosi trattati di chimica, medicina e botanica. Era, inoltre, Gran Maestro della massoneria napoletana, un’élite intellettuale chiusa interessata alle discipline esoteriche e al nuovo pensiero scientista.
Raimondo non disdegnò neppure l’impegno militare e contribuì alla vittoria borbonica di Velletri nel 1744.
Da mecenate e conoscitore delle arti, intorno al 1748 decise di restaurare la cappella patronale della sua famiglia, annessa al cinquecentesco palazzo Sangro di Sansevero, in pieno centro storico. Contattò lo scultore veneto Antonio Corradini, ormai ottantenne, anch’egli massone e residente a Napoli. I due progettarono insieme la decorazione dello spazio (una navata rettangolare con quattro arconi per lato ed un breve presbiterio), nel quale avevano già trovato ospitalità diversi monumenti funebri e parati marmorei seicenteschi. Statue allegoriche (costruite secondo le indicazioni dell’Iconologia di Cesare Ripa) vennero a presentare i vari antenati, i cui ritratti presero posto, chiusi in ovali, al di sopra della raffigurazione simbolica. Al centro del mausoleo, sul soffitto della volta, fecero dipingere al pittore Francesco Maria Russo la Gloria del paradiso. Alla morte di Corradini (1752) un lascito di trenta bozzetti in terracotta permise agli scultori successivi di continuare a lavorare nell’assoluto rispetto dell’idea originaria.
L’insieme mostra evidenti i segni della concezione unitaria, piegata ad esaltare le virtù degli avi, glorificando della genealogia maschile la nobiltà di spada e di quella femminile la nobiltà d’animo. Recenti studi hanno sottolineato inoltre il carattere esoterico e massonico del programma iconografico. Le virtù rappresentate sotto forma di figure maschili e femminili, oltre a definire un particolare aspetto caratteriale dell’antenato, rappresenterebbero le qualità che il massone deve possedere per edificare l’architettura del suo spirito.
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