Displacements. The Trouble With Being Human These Days
Dal 26 Marzo 2015 al 13 Maggio 2015
Roma
Luogo: Ex Elettrofonica
Indirizzo: vicolo Sant'Onofrio 10-11
Orari: dal martedì al venerdì 16-20; sabato su appuntamento
Enti promotori:
- Embassy of Denmark
- Circolo Scandinavo
Telefono per informazioni: +39 06 64760163
E-Mail info: info@exelettrofonica.com
Sito ufficiale: http://www.exelettrofonica.com
Il 26 marzo 2015 Ex Elettrofonica inaugura nei suoi spazi Displacements. The Trouble With Being Human These Days, un dialogo tra Ursula Burke, Iulia Ghita, Nikolaj Bendix Skyum Larsen, Diego Marcon, Timea Oravecz, artisti di nazionalità diverse accomunati dalla medesima condizione di viaggiatori.
Prendiamo un compasso, trafiggiamo con la punta il pallino rosso che indica Roma e facciamo scivolare la matita tracciando un cerchio perfetto che include l’Europa dell’est, i paesi del nord come la Danimarca, e del nord ovest come Irlanda, fino a lambire il mediterraneo. Ecco cosa c’è intorno a noi. Se leggiamo il giornale poi, nelle poche pagine che i nostri quotidiani dedicano alla politica estera, sappiamo anche cosa accade in questo cerchio da noi circoscritto. In poco tempo ci poniamo in una condizione di centralità rispetto ad un sistema di forze che operano, si muovono, si agitano tutt’intorno a noi. Forse anche noi siamo in movimento, anche se di questo non ci sono prove.
Da questa semplice riflessione prende spunto l’idea di Displacements. The Trouble With Being Human These Days, chesi prefigge di stimolare una riflessione sull’individuo in rapporto ad un territorio o ad una comunità attraverso i lavori di Ursula Burke, Iulia Ghita, Nikolaj Bendix Skyum Larsen, Timea Oravecz, tutti artisti in cui le tematiche politiche e sociali sono affrontate a partire dalla propria condizione personale, psicologica e, appunto, identitaria.
Dopo aver istituito un dialogo tra i lavori, accolti nella sala centrale in una prospettiva orizzontale di narrazione reciproca, la mostra impone una voce esterna. Attraverso il lavoro dell’unico italiano invitato, Diego Marcon, il progetto ribadisce la propria pretestuosa centralità ed esprime un commento, prendendo atto della nostra condizione di spettatori.
La scultrice irlandese Ursula Burke (1974) indaga le problematiche legate all’identità e agli scontri nel clima contemporaneo del post-conflitto nord irlandese. Attraverso l’utilizzo di tecniche formali tratte dal canone dell’arte classica, l’artista pone a confronto le versioni idealizzate e stereotipate dell’epoca vittoriana con la realtà violenta della società odierna del Nord Irlanda, regione costantemente impegnata nella ricerca di una pace tra le varie comunità che la costituiscono.
Iulia Ghita (1986) è un’artista di Bucarest che vive e lavora in Italia. La sua formazione pre-universitaria è stata svolta interamente in Romania e svela modalità di promozione degli artisti ancora dettate dal “sistema sovietico”, infatti i premi per la capacità pittorica a Iulia vengono assegnati sin dalla prima infanzia. Nei suoi lavori video la narrazione è ridotta all’osso, poche immagini ripetute, pochi suoni, suggeriscono tutto il suo mondo.
I lavori dell’artista danese Nikolaj Bendix Skyum Larsen (1971), esplorano l’intimità di persone coinvolte in situazioni politicamente ed emotivamente complesse legate alla convivenza sociale. Il suo linguaggio si esprime con video, installazioni, disegni e sculture. Ciò che contraddistingue la ricerca è la capacità di osservare il fenomeno dell’immigrazione dal punto di vista della la comunità accogliente: occidentale, colta, democratica, evoluta.
Diego Marcon (1985). Anche se il suo lavoro è visibile soprattutto in contesti legati all'arte, Marcon viene dal mondo del cinema. Il suo punto di partenza è un processo di registrazione audiovisiva della realtà, poi ri-editato e riscritto in una struttura filmica. I soggetti del suo lavoro e le forme che sviluppa si combinano per delineare un potente interrogativo sul cinema come linguaggio e come evento che ogni volta presenta in sé un mistero oscuro. L'artista arriva progressivamente a negare l'immagine, nel tentativo di svuotare uno spazio che potrebbe ospitare la superficie di una dimensione invisibile. Ma questo tentativo si risolve in un’eco.
L’artista ungherese Timea Oravecz (1975) per più di 15 anni ha vissuto in diversi paesi dell'Europa occidentale. Dopo un infanzia trascorsa sotto il regime socialista ungherese, è stata attratta da diversi approcci culturali e sociali, sviluppando un interesse specifico per il rapporto tra identità personale, cultura d’origine e necessità di integrazione. I suoi lavori fanno riferimento al contesto politico, sociale, storico e culturale in cui vive e si ispira alla sua vita quotidiana.
Prendiamo un compasso, trafiggiamo con la punta il pallino rosso che indica Roma e facciamo scivolare la matita tracciando un cerchio perfetto che include l’Europa dell’est, i paesi del nord come la Danimarca, e del nord ovest come Irlanda, fino a lambire il mediterraneo. Ecco cosa c’è intorno a noi. Se leggiamo il giornale poi, nelle poche pagine che i nostri quotidiani dedicano alla politica estera, sappiamo anche cosa accade in questo cerchio da noi circoscritto. In poco tempo ci poniamo in una condizione di centralità rispetto ad un sistema di forze che operano, si muovono, si agitano tutt’intorno a noi. Forse anche noi siamo in movimento, anche se di questo non ci sono prove.
Da questa semplice riflessione prende spunto l’idea di Displacements. The Trouble With Being Human These Days, chesi prefigge di stimolare una riflessione sull’individuo in rapporto ad un territorio o ad una comunità attraverso i lavori di Ursula Burke, Iulia Ghita, Nikolaj Bendix Skyum Larsen, Timea Oravecz, tutti artisti in cui le tematiche politiche e sociali sono affrontate a partire dalla propria condizione personale, psicologica e, appunto, identitaria.
Dopo aver istituito un dialogo tra i lavori, accolti nella sala centrale in una prospettiva orizzontale di narrazione reciproca, la mostra impone una voce esterna. Attraverso il lavoro dell’unico italiano invitato, Diego Marcon, il progetto ribadisce la propria pretestuosa centralità ed esprime un commento, prendendo atto della nostra condizione di spettatori.
La scultrice irlandese Ursula Burke (1974) indaga le problematiche legate all’identità e agli scontri nel clima contemporaneo del post-conflitto nord irlandese. Attraverso l’utilizzo di tecniche formali tratte dal canone dell’arte classica, l’artista pone a confronto le versioni idealizzate e stereotipate dell’epoca vittoriana con la realtà violenta della società odierna del Nord Irlanda, regione costantemente impegnata nella ricerca di una pace tra le varie comunità che la costituiscono.
Iulia Ghita (1986) è un’artista di Bucarest che vive e lavora in Italia. La sua formazione pre-universitaria è stata svolta interamente in Romania e svela modalità di promozione degli artisti ancora dettate dal “sistema sovietico”, infatti i premi per la capacità pittorica a Iulia vengono assegnati sin dalla prima infanzia. Nei suoi lavori video la narrazione è ridotta all’osso, poche immagini ripetute, pochi suoni, suggeriscono tutto il suo mondo.
I lavori dell’artista danese Nikolaj Bendix Skyum Larsen (1971), esplorano l’intimità di persone coinvolte in situazioni politicamente ed emotivamente complesse legate alla convivenza sociale. Il suo linguaggio si esprime con video, installazioni, disegni e sculture. Ciò che contraddistingue la ricerca è la capacità di osservare il fenomeno dell’immigrazione dal punto di vista della la comunità accogliente: occidentale, colta, democratica, evoluta.
Diego Marcon (1985). Anche se il suo lavoro è visibile soprattutto in contesti legati all'arte, Marcon viene dal mondo del cinema. Il suo punto di partenza è un processo di registrazione audiovisiva della realtà, poi ri-editato e riscritto in una struttura filmica. I soggetti del suo lavoro e le forme che sviluppa si combinano per delineare un potente interrogativo sul cinema come linguaggio e come evento che ogni volta presenta in sé un mistero oscuro. L'artista arriva progressivamente a negare l'immagine, nel tentativo di svuotare uno spazio che potrebbe ospitare la superficie di una dimensione invisibile. Ma questo tentativo si risolve in un’eco.
L’artista ungherese Timea Oravecz (1975) per più di 15 anni ha vissuto in diversi paesi dell'Europa occidentale. Dopo un infanzia trascorsa sotto il regime socialista ungherese, è stata attratta da diversi approcci culturali e sociali, sviluppando un interesse specifico per il rapporto tra identità personale, cultura d’origine e necessità di integrazione. I suoi lavori fanno riferimento al contesto politico, sociale, storico e culturale in cui vive e si ispira alla sua vita quotidiana.
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