A Mantova, dentro lo scrigno di Palazzo Te
Spaesamento e meraviglia: la Sala dei Giganti di Giulio Romano
Giulio Romano, Sala dei Giganti, Dettaglio della cupola, 1532-1534, Affresco, Mantova, Palazzo Te | Courtesy of Palazzo Te, Mantova
Samantha De Martin
27/03/2020
Mantova - Gli occhi stravolti, i capelli discinti, come la barba, bianchissima, la bocca spalancata a emettere l’ultimo grido. Lo sventurato gigante soccombe al fascio di fulmini che Zeus scaglia dalla cupola, impedendo ai ribelli di ascendere all’Olimpo.
Dall’alto della volta il re degli dei, abbandonato il trono, scende sulle nuvole sottostanti, chiama a raccolta l’assemblea degli immortali e, assistito da Giunone, punisce i giganti con pene terribili. E' la Sala dei Giganti il capolavoro realizzato a Palazzo Te a Mantova dall'allievo di Raffaello, Giulio Romano.
Una montagna precipita trascinando con sé alcuni di loro, impetuosi corsi d’acqua travolgono i ribelli, un edificio si frantuma inghiottendo ogni cosa. Una sensazione di stupore e meraviglia avvolge il visitatore fino a trascinarlo in un’atmosfera straniante, tra nuvole pesanti che incombono sulla sua testa, come in un paesaggio apocalittico e disorientante, simile a un’immagine in 3D.
La scena è fissata nel momento in cui, dal cielo, si scatena la vendetta divina nei confronti degli sciagurati giganti che, dalla piana greca di Flegra, tentano invano assalto all’Olimpo, sovrapponendo al massiccio dell’Ossa il Monte Pelio.
Parete Ovest
Dove si trova la Camera dei Giganti?
«Non si pensi alcuno di vedere mai opera di pennello più orribile e spaventosa, né più naturale di questa. E chi entra in quella stanza, non può non temere che ogni cosa non gli rovini addosso» ammoniva il Vasari.
Ed è davvero questa la sensazione che avverte chiunque varchi la soglia della Sala dei Giganti, una delle più note stanze affrescate all'interno del Palazzo Te , progettato a Mantova da Giulio Romano. Un luogo dove, almeno una volta nella vita bisognerebbe recarsi, per essere inghiottiti da tanta drammatica bellezza e per regalare all’anima un po’ di sublime romantico, lasciandosi terrorizzare e affascinare al tempo stesso.
Da dove deriva il nome “Palazzo Te”?
Mantova era anticamente circondata da quattro laghi formati dal corso del Fiume Mincio. Nei pressi dell'isola su cui sorse la città si trovava un'altra isola denominata sin dal medioevo Teieto (poi abbreviato in Te) collegata con un ponte alle mura meridionali della città. Il termine potrebbe derivare da “tiglieto”, località di tigli, oppure essere collegato a “tegia”, dal latino "attegia", che significa capanna. Questa tranquilla isola divenne ben presto luogo di svago e di delizia per la famiglia Gonzaga. Agli inizi del 1500 Francesco II Gonzaga, marito di Isabella d'Este, vi fece costruire alcune stalle per i suoi cavalli e anche una casa padronale.
Giulio Romano e le Metamorfosi di Ovidio
L’ambiente, eseguito in via definitiva tra il 1532 e il 1535, narra la vicenda della Caduta dei Giganti, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio. L'episodio riprende il mito della Gigantomachia, la lotta dei Giganti contro Giove. Rispetto al testo di Esiodo, dove i protagonisti hanno l'aspetto di mostri dalle mille braccia, vengono qui rappresentati come uomini.
Accanto ai giganti il maestro pone alcune scimmie, assenti nel testo di Ovidio.
Stupore e straniamento grazie a un artificio illusionistico
La camera è la più famosa e spettacolare di Palazzo Te per il dinamismo e la potenza espressiva delle enormi e tumultuose immagini, ma anche per l’audace ideazione pittorica. L’allievo di Raffaello, infatti, in questa camera abbatte i limiti architettonici dell’ambiente, in maniera tale che la pittura non abbia altri vincoli spaziali se non quelli generati dalla realtà dipinta. Il fine di Giulio Romano è infatti quello di nascondere gli stacchi tra il piano orizzontale e quello verticale: smussa gli angoli tra le pareti, gli angoli tra le pareti e la volta e realizza un pavimento, oggi perduto, costituito da un mosaico con ciottoli di fiume che prosegue, dipinto, fino alla base delle pareti.
Con questo artificio illusionistico, l’artista fa immergere lo spettatore nel vivo dell’evento, rapendolo in un'atmosfera di stupore e straniamento. La scena, in origine, era resa ancora più drammatica dal bagliore delle fiamme prodotte da un camino realizzato sulla parete tra le finestre. Il pavimento, ideato da Paolo Pozzo, risale al secondo Settecento.
A cosa alluderebbe l’affresco?
Secondo alcune interpretazioni questo affresco potrebbe alludere alla vittoria di Carlo V sui protestanti, a memoria della visita che l'imperatore aveva effettuato a Mantova poco tempo prima. In Giove si può identificare l'imperatore, mentre i Giganti vinti possono simboleggiare i principi italiani ribellatisi all'Impero. In alcuni elementi è tuttavia possibile scorgere un significato ambivalente: l'Olimpo, il fulmine e l'aquila oltre ad essere attributi di Giove sono anche imprese gonzaghesche. Giove vincitore è quindi metafora del potere imperiale in cui i Gonzaga identificano la propria fortuna.
L'Assemblea degli dei attorno al trono di Giove
Quali personaggi incontriamo?
Oltre al trono di Giove, rappresentato, con un ardito scorcio nella volta doppia e tonda, all'interno di un tempio a pianta centrale, e a Giove stesso, raffigurato poco più in basso, nell’atto di scagliare fulmini contro i Giganti, sulla scena dipinta si incontrano diversi personaggi. Innanzitutto riconosciamo le divinità dell'Olimpo, confuse e sgomente. Ritroviamo Giunone che assiste Giove passandogli le saette, Apollo sul carro solare, Nettuno, il dio del mare, con il suo tridente, Marte che impugna la spada. Ed ecco Ercole con Bacco alla sua destra, e ancora il messaggero Ermes. Vediamo Amore che impugna arco e frecce e Venere che fugge.
Sulle pareti sono dipinti i Giganti mentre tentano invano di proteggersi dal mondo che, inesorabilmente, rovina su di loro. Tra le ampie portefinestre si distinguono Plutone con il bidente, le Furie dal capo ricoperto di serpenti, il gigante Tifeo che sputa fuoco. Il mito vuole infatti che Tifeo sia stato imprigionato da Giove sotto l'Isola di Sicilia e, continuando a muoversi ed emettere fuoco, abbia dato origine all'Etna. Un sinuoso movimento collega tutte le figure, ciascuna in una posa diversa, donando alla scena un dinamismo raro.
Cosa c’era originariamente sotto la figura di Tifeo?
In origine sotto questa figura vi era un camino che doveva ampliare ed enfatizzare l'effetto delle fiamme che escono dalla bocca del Gigante.
Dettaglio parete Est
Cosa c’entrano le scimmie?
Tra le rocce si muovono numerose scimmie. La presenza di questi animali tra i Giganti è da attribuirsi, secondo Guthmuller, ad un errore di traduzione delle Metamorfosi di Ovidio, fonte principale di questo racconto. Al tempo in cui Giulio Romano lavorava alla villa si conoscevano le versioni in volgare delle Metamorfosi redatte da Nicolò degli Agostini e da Giovanni Bonsignori. Qualcuno ritiene che che là dove Ovidio abbia scritto “scire e sanguine natos” (I 163) ("dovresti sapere che i giganti sono nati dal sangue"), entrambi i traduttori abbiano interpretato (o possedevano un testo corrotto) “simiae” ("le scimmie sono nate dal sangue dei giganti"). Ecco il motivo per il quale questi animali finirono per essere considerati creature infernali generate dal sangue dei Giganti.
Cosa raffigura l’artista agli angoli della stanza?
Giulio Romano pone agli angoli della stanza le personificazioni dei quattro venti, che contribuiscono ad aumentare il caos durante la repressione dei ribelli, ma al tempo stesso rassicurano il visitatore, rendendo palese la simulazione della catastrofe in corso.
Provare a bisbigliare in un angolo della sala
All’interno della Camera dei Giganti Giulio Romano ricorre anche ad un particolare artificio acustico. Se proviamo a bisbigliare in un angolo della sala possiamo comunicare con chi sta nell'angolo opposto.
La lezione di Raffaello e di Michelangelo
La lezione di Raffaello, Maestro di Giulio Romano, è ancora presente, nell'accezione delle ultime Stanze Vaticane, ma evolve accogliendo l'esempio possente della volta michelangiolesca della Sistina. Il vano divincolarsi dei giganti oppressi dalla materia sembra evocare la memoria dei Prigioni di Michelangelo, oggi al Louvre.
Nomi, scherzi, messaggi d’amore, pensieri sboccati: i graffiti di ospiti (maleducati) incisi sugli affreschi
Tra il 1630 e il 1735, durante gli anni che vanno dal Sacco di Mantova alla Guerra di Successione Polacca, Palazzo Te, trasformato in caserma, fu abitato da diverse truppe di soldati che danneggiarono gli affreschi incidendo sulle pareti il proprio nome. Questi graffiti, ben 700, sono stati conservati in quanto testimonianze storiche. I nomi dei soldati Simon Lindtner von Wien, Hans Roth von Wien, Tobias Weiner von Preslaw affiancano scritte di caporali, ufficiali, suonatori di bande militari.
Tra i nomi nobili, o presunti tali, compaiono cognomi di famiglie patrizie mantovane, come Aldegatti, Fochessati, Carazzi, Petrozzani, Riesenfeld, senza indicazioni di data. Altri esponenti di casati patrizi sono evocati da qualche rancoroso e sboccato milite, forse per una punizione mal digerita.
Sulla parete meridionale si legge addirittura: Hic fuit rex Mathias. ma si tratterebbe di una scritta del tutto improbabile, dal momento che Mattia d’Asburgo, re di Boemia per un anno, dal 1611 al 1612, poi fu eletto imperatore e nessuna cronaca mantovana ha registrato un suo passaggio nello stato dei Gonzaga. Che poi a una Maestà sia venuto il desiderio di scrivere sui muri, è poi decisamente improbabile.
Nel corso del suo paziente lavoro, Anna Maria Lorenzoni ha rilevato, tra i graffiti, anche le tracce di sospiri amorosi.
Una coppia di innamorati , forse in vista di un lontano San Valentino, accanto alla data 1639, tracciò le iniziali V.D, H.H. e un cuoricino. Abitudini antiche che non passano di moda.
Un artista a tutto tondo alla corte dei Gonzaga
Giulio Romano fu invitato a Mantova da Federico II Gonzaga come artista di corte, su segnalazione di Baldassarre Castiglione. L’artista accettò l'invito dopo lunghe insistenze e dopo aver completato i lavori lasciati incompiuti da Raffaello, raggiunse la città lombarda nel 1524. Realizzò un grandioso edificio, a metà tra il palazzo e la villa extraurbana, conosciuto come Palazzo Te, affrescato grazie all’aiuto di numerosi collaboratori, tra i quali Raffaellino del Colle.
Il lavoro a Palazzo Te lo impegnò per dieci anni a partire dal 1525. Più volte il committente lo sollecitò affinché procedesse più speditamente. Nel 1526 venne nominato prefetto delle fabbriche dei Gonzaga e "superiore delle vie urbane", cariche che gli davano la possibilità di sovrintendere a tutte le architetture e le produzioni artistiche della corte.
Quando Vasari gli fece visita nel 1541, lo trovò ricco e potente. Il suo status gli consentì di realizzare per sé un palazzo nel centro di Mantova, oggi la casa di Giulio Romano.
Parete Nord
Leggi anche:
• Una scena biblica trasferita in un banchetto veneziano rinascimentale: le Nozze di Cana
Dall’alto della volta il re degli dei, abbandonato il trono, scende sulle nuvole sottostanti, chiama a raccolta l’assemblea degli immortali e, assistito da Giunone, punisce i giganti con pene terribili. E' la Sala dei Giganti il capolavoro realizzato a Palazzo Te a Mantova dall'allievo di Raffaello, Giulio Romano.
Una montagna precipita trascinando con sé alcuni di loro, impetuosi corsi d’acqua travolgono i ribelli, un edificio si frantuma inghiottendo ogni cosa. Una sensazione di stupore e meraviglia avvolge il visitatore fino a trascinarlo in un’atmosfera straniante, tra nuvole pesanti che incombono sulla sua testa, come in un paesaggio apocalittico e disorientante, simile a un’immagine in 3D.
La scena è fissata nel momento in cui, dal cielo, si scatena la vendetta divina nei confronti degli sciagurati giganti che, dalla piana greca di Flegra, tentano invano assalto all’Olimpo, sovrapponendo al massiccio dell’Ossa il Monte Pelio.
Parete Ovest
Dove si trova la Camera dei Giganti?
«Non si pensi alcuno di vedere mai opera di pennello più orribile e spaventosa, né più naturale di questa. E chi entra in quella stanza, non può non temere che ogni cosa non gli rovini addosso» ammoniva il Vasari.
Ed è davvero questa la sensazione che avverte chiunque varchi la soglia della Sala dei Giganti, una delle più note stanze affrescate all'interno del Palazzo Te , progettato a Mantova da Giulio Romano. Un luogo dove, almeno una volta nella vita bisognerebbe recarsi, per essere inghiottiti da tanta drammatica bellezza e per regalare all’anima un po’ di sublime romantico, lasciandosi terrorizzare e affascinare al tempo stesso.
Da dove deriva il nome “Palazzo Te”?
Mantova era anticamente circondata da quattro laghi formati dal corso del Fiume Mincio. Nei pressi dell'isola su cui sorse la città si trovava un'altra isola denominata sin dal medioevo Teieto (poi abbreviato in Te) collegata con un ponte alle mura meridionali della città. Il termine potrebbe derivare da “tiglieto”, località di tigli, oppure essere collegato a “tegia”, dal latino "attegia", che significa capanna. Questa tranquilla isola divenne ben presto luogo di svago e di delizia per la famiglia Gonzaga. Agli inizi del 1500 Francesco II Gonzaga, marito di Isabella d'Este, vi fece costruire alcune stalle per i suoi cavalli e anche una casa padronale.
Giulio Romano e le Metamorfosi di Ovidio
L’ambiente, eseguito in via definitiva tra il 1532 e il 1535, narra la vicenda della Caduta dei Giganti, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio. L'episodio riprende il mito della Gigantomachia, la lotta dei Giganti contro Giove. Rispetto al testo di Esiodo, dove i protagonisti hanno l'aspetto di mostri dalle mille braccia, vengono qui rappresentati come uomini.
Accanto ai giganti il maestro pone alcune scimmie, assenti nel testo di Ovidio.
Stupore e straniamento grazie a un artificio illusionistico
La camera è la più famosa e spettacolare di Palazzo Te per il dinamismo e la potenza espressiva delle enormi e tumultuose immagini, ma anche per l’audace ideazione pittorica. L’allievo di Raffaello, infatti, in questa camera abbatte i limiti architettonici dell’ambiente, in maniera tale che la pittura non abbia altri vincoli spaziali se non quelli generati dalla realtà dipinta. Il fine di Giulio Romano è infatti quello di nascondere gli stacchi tra il piano orizzontale e quello verticale: smussa gli angoli tra le pareti, gli angoli tra le pareti e la volta e realizza un pavimento, oggi perduto, costituito da un mosaico con ciottoli di fiume che prosegue, dipinto, fino alla base delle pareti.
Con questo artificio illusionistico, l’artista fa immergere lo spettatore nel vivo dell’evento, rapendolo in un'atmosfera di stupore e straniamento. La scena, in origine, era resa ancora più drammatica dal bagliore delle fiamme prodotte da un camino realizzato sulla parete tra le finestre. Il pavimento, ideato da Paolo Pozzo, risale al secondo Settecento.
A cosa alluderebbe l’affresco?
Secondo alcune interpretazioni questo affresco potrebbe alludere alla vittoria di Carlo V sui protestanti, a memoria della visita che l'imperatore aveva effettuato a Mantova poco tempo prima. In Giove si può identificare l'imperatore, mentre i Giganti vinti possono simboleggiare i principi italiani ribellatisi all'Impero. In alcuni elementi è tuttavia possibile scorgere un significato ambivalente: l'Olimpo, il fulmine e l'aquila oltre ad essere attributi di Giove sono anche imprese gonzaghesche. Giove vincitore è quindi metafora del potere imperiale in cui i Gonzaga identificano la propria fortuna.
L'Assemblea degli dei attorno al trono di Giove
Quali personaggi incontriamo?
Oltre al trono di Giove, rappresentato, con un ardito scorcio nella volta doppia e tonda, all'interno di un tempio a pianta centrale, e a Giove stesso, raffigurato poco più in basso, nell’atto di scagliare fulmini contro i Giganti, sulla scena dipinta si incontrano diversi personaggi. Innanzitutto riconosciamo le divinità dell'Olimpo, confuse e sgomente. Ritroviamo Giunone che assiste Giove passandogli le saette, Apollo sul carro solare, Nettuno, il dio del mare, con il suo tridente, Marte che impugna la spada. Ed ecco Ercole con Bacco alla sua destra, e ancora il messaggero Ermes. Vediamo Amore che impugna arco e frecce e Venere che fugge.
Sulle pareti sono dipinti i Giganti mentre tentano invano di proteggersi dal mondo che, inesorabilmente, rovina su di loro. Tra le ampie portefinestre si distinguono Plutone con il bidente, le Furie dal capo ricoperto di serpenti, il gigante Tifeo che sputa fuoco. Il mito vuole infatti che Tifeo sia stato imprigionato da Giove sotto l'Isola di Sicilia e, continuando a muoversi ed emettere fuoco, abbia dato origine all'Etna. Un sinuoso movimento collega tutte le figure, ciascuna in una posa diversa, donando alla scena un dinamismo raro.
Cosa c’era originariamente sotto la figura di Tifeo?
In origine sotto questa figura vi era un camino che doveva ampliare ed enfatizzare l'effetto delle fiamme che escono dalla bocca del Gigante.
Dettaglio parete Est
Cosa c’entrano le scimmie?
Tra le rocce si muovono numerose scimmie. La presenza di questi animali tra i Giganti è da attribuirsi, secondo Guthmuller, ad un errore di traduzione delle Metamorfosi di Ovidio, fonte principale di questo racconto. Al tempo in cui Giulio Romano lavorava alla villa si conoscevano le versioni in volgare delle Metamorfosi redatte da Nicolò degli Agostini e da Giovanni Bonsignori. Qualcuno ritiene che che là dove Ovidio abbia scritto “scire e sanguine natos” (I 163) ("dovresti sapere che i giganti sono nati dal sangue"), entrambi i traduttori abbiano interpretato (o possedevano un testo corrotto) “simiae” ("le scimmie sono nate dal sangue dei giganti"). Ecco il motivo per il quale questi animali finirono per essere considerati creature infernali generate dal sangue dei Giganti.
Cosa raffigura l’artista agli angoli della stanza?
Giulio Romano pone agli angoli della stanza le personificazioni dei quattro venti, che contribuiscono ad aumentare il caos durante la repressione dei ribelli, ma al tempo stesso rassicurano il visitatore, rendendo palese la simulazione della catastrofe in corso.
Provare a bisbigliare in un angolo della sala
All’interno della Camera dei Giganti Giulio Romano ricorre anche ad un particolare artificio acustico. Se proviamo a bisbigliare in un angolo della sala possiamo comunicare con chi sta nell'angolo opposto.
La lezione di Raffaello e di Michelangelo
La lezione di Raffaello, Maestro di Giulio Romano, è ancora presente, nell'accezione delle ultime Stanze Vaticane, ma evolve accogliendo l'esempio possente della volta michelangiolesca della Sistina. Il vano divincolarsi dei giganti oppressi dalla materia sembra evocare la memoria dei Prigioni di Michelangelo, oggi al Louvre.
Nomi, scherzi, messaggi d’amore, pensieri sboccati: i graffiti di ospiti (maleducati) incisi sugli affreschi
Tra il 1630 e il 1735, durante gli anni che vanno dal Sacco di Mantova alla Guerra di Successione Polacca, Palazzo Te, trasformato in caserma, fu abitato da diverse truppe di soldati che danneggiarono gli affreschi incidendo sulle pareti il proprio nome. Questi graffiti, ben 700, sono stati conservati in quanto testimonianze storiche. I nomi dei soldati Simon Lindtner von Wien, Hans Roth von Wien, Tobias Weiner von Preslaw affiancano scritte di caporali, ufficiali, suonatori di bande militari.
Tra i nomi nobili, o presunti tali, compaiono cognomi di famiglie patrizie mantovane, come Aldegatti, Fochessati, Carazzi, Petrozzani, Riesenfeld, senza indicazioni di data. Altri esponenti di casati patrizi sono evocati da qualche rancoroso e sboccato milite, forse per una punizione mal digerita.
Sulla parete meridionale si legge addirittura: Hic fuit rex Mathias. ma si tratterebbe di una scritta del tutto improbabile, dal momento che Mattia d’Asburgo, re di Boemia per un anno, dal 1611 al 1612, poi fu eletto imperatore e nessuna cronaca mantovana ha registrato un suo passaggio nello stato dei Gonzaga. Che poi a una Maestà sia venuto il desiderio di scrivere sui muri, è poi decisamente improbabile.
Nel corso del suo paziente lavoro, Anna Maria Lorenzoni ha rilevato, tra i graffiti, anche le tracce di sospiri amorosi.
Una coppia di innamorati , forse in vista di un lontano San Valentino, accanto alla data 1639, tracciò le iniziali V.D, H.H. e un cuoricino. Abitudini antiche che non passano di moda.
Un artista a tutto tondo alla corte dei Gonzaga
Giulio Romano fu invitato a Mantova da Federico II Gonzaga come artista di corte, su segnalazione di Baldassarre Castiglione. L’artista accettò l'invito dopo lunghe insistenze e dopo aver completato i lavori lasciati incompiuti da Raffaello, raggiunse la città lombarda nel 1524. Realizzò un grandioso edificio, a metà tra il palazzo e la villa extraurbana, conosciuto come Palazzo Te, affrescato grazie all’aiuto di numerosi collaboratori, tra i quali Raffaellino del Colle.
Il lavoro a Palazzo Te lo impegnò per dieci anni a partire dal 1525. Più volte il committente lo sollecitò affinché procedesse più speditamente. Nel 1526 venne nominato prefetto delle fabbriche dei Gonzaga e "superiore delle vie urbane", cariche che gli davano la possibilità di sovrintendere a tutte le architetture e le produzioni artistiche della corte.
Quando Vasari gli fece visita nel 1541, lo trovò ricco e potente. Il suo status gli consentì di realizzare per sé un palazzo nel centro di Mantova, oggi la casa di Giulio Romano.
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