Sergey Shestakov. Journey into the Future. Stop N. 1/ Alessandro Rizzi. Theater Translation
Dal 04 Maggio 2013 al 16 Giugno 2013
Reggio nell'Emilia | Reggio Emilia
Luogo: Sinagoga
Indirizzo: via dell’Aquila 3/a
Orari: 4/5 maggio 10-24.00. Dal 6 maggio al 16 giugno 19-23; sabato 10-23; domenica 10-21
Curatori: Laura Serani, Olga Sviblova
Telefono per informazioni: +39 0522 456532/ 348 8080539
E-Mail info: patrizia.paterlini@municipio.re.it
Sito ufficiale: http://www.municipio.re.it/cultura
Sergey Shestakov. Journey into the Future. Stop # 1
Chernobyl, un nome che nel corso degli anni è divenuto il simbolo di un’immane tragedia umana. Ma, con il passare del tempo, la memoria tende a offuscare i dettagli, le reazioni si smorzano e gli eventi si fanno via via più indistinti, come se qualcuno d’invisibile attenuasse la messa a fuoco dell’obiettivo attraverso il quale guardiamo la storia. Il caso di Chernobyl, che ha scioccato il mondo intero, non fa eccezione. È trascorso un quarto di secolo dalla notte dell’incidente alla centrale nucleare, quella tra il 25 e il 26 aprile del 1986, e abbiamo pensato che si sia trattato di un evento irripetibile, causato da un’improbabile coincidenza di molti fattori. Sì, ci siamo detti, è stato terribile, ma non succederà di nuovo.
Il 14 marzo 2011 tutto è cambiato. Un’onda immensa, alta 10 metri, causata da un fortissimo terremoto vicino alle coste del Giappone ha danneggiato la centrale nucleare di Fukushima-1.
Quando, nell’ottobre del 2010, ho organizzato la mia prima visita alla zona di interdizione di Chernobyl non pensavo di realizzare fotografie che sarebbero poi confluite in una mostra e in un libro. Il servizio fotografico doveva solo essere la prima fase di un progetto più vasto, una sorta di meditazione sul destino della razza umana. È per puro caso che ho scelto Pripyat come prima meta. Tutto quello che ho visto mi ha profondamente colpito. Io e la mia guida abbiamo camminato in una città completamente disabitata. Ad ogni passo mi aspettavo di sentire il rumore di un’automobile, le risate dei bambini intenti a giocare in cortile o di vedere una giovane mamma spingere il passeggino… E, invece, intorno a noi regnava un perfetto silenzio, mai interrotto neppure dal canto degli uccelli. Mentre passeggiavamo per le strade, entrando negli edifici, cresceva in me la sensazione che tutto fosse irreale. Ma non perché sia impossibile che le cose stiano così, bensì perché NON DOVREBBERO essere così!
Non dovrebbero esistere città e villaggi deserti, la natura intorno a noi non dovrebbe essere distrutta e gli esseri umani non dovrebbero giocare ad autodistruggersi!
Un mese dopo sono tornato a Chernobyl e ho deciso di restare, per comprendere meglio il dolore di quanti vivevano lì e hanno dovuto abbandonare la propria casa. Credo che questa esperienza abbia caricato le fotografie di una grande intensità emotiva. Dopo l’incidente alla centrale nucleare giapponese, che ha sollevato tanti paragoni e confronti con Chernobyl, ho deciso di esporre comunque gli scatti in una mostra a sé e di pubblicare un libro. In questo momento storico, in cui tutto il mondo è testimone della tragedia che ha colpito il Giappone, mi piacerebbe che si riflettesse su dove stiamo andando.
L’idea per il titolo mi è venuta quando ho visto, in un asilo di Pripyat, una copia semidistrutta del libro di Zoja Voznesenskaja Journey to the Future. Mi sono limitato ad aggiungere il sottotitolo Stop No 1, perché Chernobyl non è l’ultima stazione di questo viaggio. Oggi, che siamo già alla seconda fermata, le persone devono decidere che direzione prendere, su quale linea vogliono proseguire il proprio viaggio.
È tutto nelle nostre mani…
Sabato 4 maggio, ore 10.30 / incontro con l'artista all'interno della conferenza SORPRESA: CAMBIARE IL MONDO | SARAJEVO: CHI HA GUADAGNATO, CHI HA PERSO Dževad Karahasan scrittore dialoga con Piero del Giudice giornalista.
Alle 12.00 Incontro con gli artisti Thierry Cohen, Sergey Shestakov, Viktoria Sorochinski, Tim Parchikov, Alessandro Rizzi, Lucia Ganieva, la curatrice Laura Serani e Olga Sviblova direttrice del MAMM. Coordina Elio Grazioli.
Alessandro Rizzi. Theater translation
Alessandro Rizzi con il suo lavoro Theater Translation porta l’attenzione sulla vicenda del Teatro Sociale di Gualtieri, mostrando come sia possibile un legame vivo con quella che fino a poco tempo fa era soltanto una delle tante seppur splendide strutture destinate all’oblio o alla storicizzazione.
Rizzi conduce una lettura dello spazio architettonico teatrale offrendo un’interpretazione dello stesso che valica i puri e semplici confini architetturali. Con questo lavoro il fotografo mostra la parte più sensibile del teatro, interpretandone i movimenti più intimi, accompagnandoci verso una segreta scoperta.
Il lavoro si propone di far convergere nell’opera fotografica la forza storica di questa struttura teatrale e la sua vita recente, vita che attraverso l’impegno dell’Associazione Teatro Sociale di Gualtieri, ha riportato il teatro alla sua funzione ricombinandolo con il contemporaneo, nel senso più alto di quello che può considerarsi il cambiamento.
Le immagini portano la traccia di questa vita nuova, quasi aderendo alle percezioni materiche e ai cromatismi che il teatro naturalmente racchiude. Theater Translation ci restituisce, con un percorso indagato attraverso le profondità e le superfici, una mappa epidermica che guida al cuore della rappresentazione.
Chernobyl, un nome che nel corso degli anni è divenuto il simbolo di un’immane tragedia umana. Ma, con il passare del tempo, la memoria tende a offuscare i dettagli, le reazioni si smorzano e gli eventi si fanno via via più indistinti, come se qualcuno d’invisibile attenuasse la messa a fuoco dell’obiettivo attraverso il quale guardiamo la storia. Il caso di Chernobyl, che ha scioccato il mondo intero, non fa eccezione. È trascorso un quarto di secolo dalla notte dell’incidente alla centrale nucleare, quella tra il 25 e il 26 aprile del 1986, e abbiamo pensato che si sia trattato di un evento irripetibile, causato da un’improbabile coincidenza di molti fattori. Sì, ci siamo detti, è stato terribile, ma non succederà di nuovo.
Il 14 marzo 2011 tutto è cambiato. Un’onda immensa, alta 10 metri, causata da un fortissimo terremoto vicino alle coste del Giappone ha danneggiato la centrale nucleare di Fukushima-1.
Quando, nell’ottobre del 2010, ho organizzato la mia prima visita alla zona di interdizione di Chernobyl non pensavo di realizzare fotografie che sarebbero poi confluite in una mostra e in un libro. Il servizio fotografico doveva solo essere la prima fase di un progetto più vasto, una sorta di meditazione sul destino della razza umana. È per puro caso che ho scelto Pripyat come prima meta. Tutto quello che ho visto mi ha profondamente colpito. Io e la mia guida abbiamo camminato in una città completamente disabitata. Ad ogni passo mi aspettavo di sentire il rumore di un’automobile, le risate dei bambini intenti a giocare in cortile o di vedere una giovane mamma spingere il passeggino… E, invece, intorno a noi regnava un perfetto silenzio, mai interrotto neppure dal canto degli uccelli. Mentre passeggiavamo per le strade, entrando negli edifici, cresceva in me la sensazione che tutto fosse irreale. Ma non perché sia impossibile che le cose stiano così, bensì perché NON DOVREBBERO essere così!
Non dovrebbero esistere città e villaggi deserti, la natura intorno a noi non dovrebbe essere distrutta e gli esseri umani non dovrebbero giocare ad autodistruggersi!
Un mese dopo sono tornato a Chernobyl e ho deciso di restare, per comprendere meglio il dolore di quanti vivevano lì e hanno dovuto abbandonare la propria casa. Credo che questa esperienza abbia caricato le fotografie di una grande intensità emotiva. Dopo l’incidente alla centrale nucleare giapponese, che ha sollevato tanti paragoni e confronti con Chernobyl, ho deciso di esporre comunque gli scatti in una mostra a sé e di pubblicare un libro. In questo momento storico, in cui tutto il mondo è testimone della tragedia che ha colpito il Giappone, mi piacerebbe che si riflettesse su dove stiamo andando.
L’idea per il titolo mi è venuta quando ho visto, in un asilo di Pripyat, una copia semidistrutta del libro di Zoja Voznesenskaja Journey to the Future. Mi sono limitato ad aggiungere il sottotitolo Stop No 1, perché Chernobyl non è l’ultima stazione di questo viaggio. Oggi, che siamo già alla seconda fermata, le persone devono decidere che direzione prendere, su quale linea vogliono proseguire il proprio viaggio.
È tutto nelle nostre mani…
Sabato 4 maggio, ore 10.30 / incontro con l'artista all'interno della conferenza SORPRESA: CAMBIARE IL MONDO | SARAJEVO: CHI HA GUADAGNATO, CHI HA PERSO Dževad Karahasan scrittore dialoga con Piero del Giudice giornalista.
Alle 12.00 Incontro con gli artisti Thierry Cohen, Sergey Shestakov, Viktoria Sorochinski, Tim Parchikov, Alessandro Rizzi, Lucia Ganieva, la curatrice Laura Serani e Olga Sviblova direttrice del MAMM. Coordina Elio Grazioli.
Alessandro Rizzi. Theater translation
Alessandro Rizzi con il suo lavoro Theater Translation porta l’attenzione sulla vicenda del Teatro Sociale di Gualtieri, mostrando come sia possibile un legame vivo con quella che fino a poco tempo fa era soltanto una delle tante seppur splendide strutture destinate all’oblio o alla storicizzazione.
Rizzi conduce una lettura dello spazio architettonico teatrale offrendo un’interpretazione dello stesso che valica i puri e semplici confini architetturali. Con questo lavoro il fotografo mostra la parte più sensibile del teatro, interpretandone i movimenti più intimi, accompagnandoci verso una segreta scoperta.
Il lavoro si propone di far convergere nell’opera fotografica la forza storica di questa struttura teatrale e la sua vita recente, vita che attraverso l’impegno dell’Associazione Teatro Sociale di Gualtieri, ha riportato il teatro alla sua funzione ricombinandolo con il contemporaneo, nel senso più alto di quello che può considerarsi il cambiamento.
Le immagini portano la traccia di questa vita nuova, quasi aderendo alle percezioni materiche e ai cromatismi che il teatro naturalmente racchiude. Theater Translation ci restituisce, con un percorso indagato attraverso le profondità e le superfici, una mappa epidermica che guida al cuore della rappresentazione.
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