Fino al 26 febbraio a Palazzo Zabarella

Alle origini del Futurismo. A Padova un viaggio in 120 opere alle radici dell'Avanguardia

Giovanni Segantini, Le ore del mattino, 1888 circa, Olio su tela, 72 x 111 cm, Bacon Trust
 

Samantha De Martin

07/10/2022

Padova - Un’esperienza totalizzante, fortemente polimaterica, avvolge il visitatore di Palazzo Zabarella, colorato scrigno di un viaggio di scoperta che offre per la prima volta uno sguardo “altro” sulle origini del Futurismo.
E se per sguardo “altro” si intende l’aver cercato di offrire una visione originale attraverso l’indagine su una realtà artistica finora poco svelata, andando alle radici dei presupposti culturali e figurativi, per fare esplodere nelle singole sale le diverse anime del movimento, la missione di Fabio Benzi, curatore del percorso Futurismo. La nascita dell’avanguardia 1910-1915 assieme a Francesco Leone e Fernando Mazzocca, può dirsi perfettamente compiuta.

A irrompere in mostra sono 121 opere che animeranno, fino al 26 febbraio, le sale di Palazzo Zabarella. Si tratta di capolavori d’eccezione, alcuni dei quali inediti o esposti raramente, come un bellissimo Segantini che non veniva mostrato da moltissimo tempo o un raro quadro di Julius Evola che ricorda i suoi esordi presso lo studio di Balla, o ancora le opere di Jules Schmalzigaug, esposte in Italia per la prima volta in questa occasione, un quadro di Boccioni che è un paesaggio di Padova del 1904, di epoca divisionista, che lo lega alla città dove l’artista nato a Reggio Calabria aveva vissuto in diverse occasioni.


Domenico Baccarini, Pavonessa, 1904, matita Conté e carboncino su carta colorata, 155 x 285 mm, Faenza, Pinacoteca Comunale

“La mostra - spiega il curatore Fabio Benzi - accoglie opere di Boccioni, Balla, Carrà, Romolo Romani - uno dei firmatari del primo manifesto - di Bonzagni, solo per citarne alcuni, insomma di tutti quegli artisti che hanno partecipato al movimento futurista. In questo senso innovativo è anche il taglio attraverso cui vengono presentati pittori come il belga Jules Schmalzigaug, amico di Boccioni, e che stava a studio da Balla , che tuttavia non era mai stato inserito nel novero dei futuristi nelle mostre svoltesi in passato, pur avendo partecipato alle mostre futuriste dell’epoca. Tra gli artisti in mostra c’è anche la russa Olga Rozanova”.

Prestati da gallerie, musei e collezioni internazionali, per un totale di oltre 45 prestatori, tutti i capolavori in mostra hanno visto la luce durante gli anni “eroici”, dal 1910 al 1915. Un arco cronologico piuttosto ristretto che, dall’anno di fondazione del movimento in ambito pittorico, si allunga fino all’ingresso dell’Italia in guerra e alla pubblicazione del Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo che lancia il futurismo nel “futuro” vero e proprio delle avanguardie europee, a tracciare un netto spartiacque nelle ricerche artistiche del movimento.


Umberto Boccioni, Meriggio. Officine a Porta Romana, 1910, Olio su tela, 145 x 75 cm, Collezione Intesa Sanpaolo Gallerie d'Italia - Piazza Scala, Milano

“Quelli dal 1910 al 1915 - continua Benzi - anche se non sono sicuramente da considerarsi come gli anni più importanti per il movimento, sono cruciali in quanto anni di formazione. D’altronde in qualsiasi movimento c’è sempre questo sentimento eroico, finalizzato a creare, specie all’inizio, una nuova situazione. La novità della mostra consiste nell’avere esaminato, insieme agli esordi del movimento futurista, i suoi primi cinque anni. Come tutti i movimenti di rottura anche il futurismo nasce da una tradizione avanguardistica, come ad esempio quella del Divisionismo che, fin dalla fine dell’Ottocento, era considerato un linguaggio pittorico d’Avanguardia. E poi il Simbolismo, che era il movimento spiritualista in cui il ragionamento che sta dietro la pittura costituisce l’altro grande momento di legame del Futurismo con l’arte del suo tempo”.

I Futuristi guardano al Divisionismo al punto da dichiarare, nel Manifesto del 1910, tutta la loro ammirazione per i pittori di questa corrente. Si approprieranno della loro pennellata, senza tuttavia nascondere la loro attrazione per le forme sintetiche, per la scomposizione dei piani e la distruzione della prospettiva del Cubismo e senza dimenticare che dal Neoimpressionismo prendono in prestito la luminosità cromatica e dai Nabis il simbolismo dei temi. Partendo da questi presupposti tecnici il Futurismo rompe con gli schemi del passato, assurgendo anche a precursore di idee ed esperienze del Dadaismo, delle avanguardie russe e delle neo avanguardie del secondo Novecento.
Diventa così l’interprete di una vera “rivoluzione” artistica che insegue l’ideale di un’opera d’arte “totale” che supera i confini angusti del quadro e della scultura per coinvolgere tutti i sensi, facendo del massimo contrasto cromatico, della simultaneità, della compenetrazione i suoi tratti salienti.
A scandire questi presupposti culturali e figurativi e ad accogliere le diverse anime del movimento sono le diverse sezioni della mostra.


Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio, 1913 (1972) bronzo, Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands, acquired with support from the Dr. C.H. van der Leeuw Foundation

“In queste sale - continua Benzi - vengono accostati i pittori più anziani tra i futuristi e i quadri degli stessi futuristi nel momento precedente in cui partecipano di quelle ideologie. Previati, Segantini sono i maestri sia di Divisionismo che di Simbolismo. Galileo Chini che apparteneva a una generazione un po’ più giovane rispetto, ad esempio, a Pellizza da Volpedo, era considerato da Boccioni uno degli artisti più interessanti di quell’epoca. In mostra è presente un quadro di Galileo Chini esposto nella Sala del Sogno alla VII Biennale di Venezia del 1907. Boccioni nei suoi Diari lo ricorda come il momento apicale della modernità in Italia in quel momento”.

Ed eccole all’inizio del percorso, le radici simboliste del Futurismo, la tendenza a esplorare l’ignoto attraverso la rappresentazione di fenomeni psichici che si irradiano come onde, aure emananti dai corpi, prossima alla poetica degli “stati d’animo”, incrociare l’arte divisionista grazie al confronto tra i lavori di Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza da Volpedo e quelli dei padri fondatori del movimento Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Mario Sironi. Se gli esiti modernissimi della pittura analitica di Giacomo Balla di impostazione fotografica, di spietata oggettività emergono dal sublime Autospalla, l’allucinato Autoritratto di Russolo, che irrompe all’oscurità tra teschi, assomiglia a un lucido specchio interiore in cui l’immagine surreale dell’artista si rivela attraverso l’azione del pennello.
Se lo “Spiritualismo” si fa strada con le sue punte di diamante, Stati d’animo di Boccioni del 1911-1912 e Mercurio transita davanti al sole di Balla del 1914, la mostra trova il suo fulcro nel “Dinamismo”, inteso come slancio verso le istanze della modernità, ma anche come stimolo a fondare una nuova visione del mondo basata su coordinate spazio-temporali non convenzionali.


Luigi Russolo, Autoritratto con teschi, 1909, Olio su tela, 50 x 67 cm, Milano Museo del Novecento

Qui opere come Vortice + paesaggio di Giacomo Balla, Cavallo e cavaliere di Carrà, Natura morta di terraglie, posate e frutti di Umberto Boccioni si fronteggiano con la Piccola descrizione asolana di Gino Rossi o con il Dinamismo meccanico e animale di Gino Galli.

La "Vita moderna" percorsa dal “vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche”, popolata di “stazioni ingorde, officine appese alle nuvole, ponti, piroscafi, locomotive, aeroplani” irrompe sul tram di Carlo Carrà dove “le persone stanno ferme e si muovono, vanno e vengono, rimbalzano sulla strada, divorate da una zona di sole, indi tornano a sedersi, simboli persistenti della vibrazione universale”. E ancora si insinua nel Veglione alla Scala di Aroldo Bonzagni, nella Città nuova immaginata - e mai realizzata - dai disegni da Sant’Elia, che ha il potente respiro di un meccanismo in movimento, oppure tra i Ritmi di ballerina+clowns di Depero.
L’idea dell’opera d’arte svincolata dal suo supporto bidimensionale e proiettata nel caotico flusso della realtà quotidiana costituisce una delle più feconde intuizioni del Futurismo. Se Sviluppo di una bottiglia nello spazio di Boccioni, i complessi plastici di Balla appositamente ricreati per la mostra a Palazzo Zabarella - poiché gli originali sono andati perduti - e ancora le Marionette dei balli plastici di Depero indagano i temi della “Tridimensionalità” della scultura e del “Polimaterismo”, la “Simultaneità” - una nuova idea di rappresentazione della realtà costruita sull’unione di componenti desunte dalla verifica del mondo fisico e stimoli legati all’io interiore - si fa spazio tra lavori come La danza dell’orso di Gino Severini o Il ponte della velocità di Balla.

Ma Futurismo è anche esplosione di parole in libertà. La sezione dedicata alle “Parolibere” vede in Filippo Tommaso Marinetti l’artefice di un processo rivoluzionario di rifondazione del linguaggio, che abolisce ogni costruzione grammaticale e sintattica. La scrittura futurista si fa segno e forma, rappresenta ora il suono, ora l’odore di una frase, ma soprattutto la simultaneità delle sensazioni visive, sonore e sinestetiche, degli stati d’animo. Il tema della “Guerra”, concepita dai Futuristi come mezzo per sbarazzarsi del noioso passato e far prevalere la gioventù, conduce all’ultima sezione del percorso.



Leonardo Dudreville, Vetrina di fioraio, 1915, pastello su carta, 90 x 70 cm

Chiude la mostra “Ricostruzione Futurista dell’Universo”, con il concetto di “arte totale” che travolge il mondo degli uomini e delle cose e che trova proprio con i futuristi la prima, piena configurazione in seno ai movimenti d’avanguardia.

“Noi - affermarono Balla e Depero autodefinendosi in calce al manifesto astrattisti futuristi - vogliamo ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione”. Queste convinzioni spinsero Balla, dopo il 1915, a compiere sperimentazioni nel campo delle arti applicate, della scenografia dell’arredamento, della decorazione murale. Saranno forse queste parole a proclamare l’inizio della grande fortuna del movimento?

“L’influenza che il Futurismo avrà sul Novecento - conclude Benzi - è evidente nel 1915 proprio con il Manifesto della Ricostruzione futurista dell’Universo che è la sortita dell’estetica dal dipinto all’universo circostante. Tutta quell’arte del Novecento, ma anche quella recente, che non si esprime attraverso il quadro ma attraverso performance, modulazioni del territorio, trasformazioni della realtà, il design, nasce proprio con il futurismo”.

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