Sotto un'alta lente: Occhiali da Doge

Occhiali e astuccio del Doge Alvise IV Giovanni Mocenigo,

 

Dal 25 Luglio 2014 al 24 Settembre 2014

Pieve di Cadore | Belluno

Luogo: Museo dell'Occhiale

Indirizzo: via Arsenale 15

Orari: luglio e Agosto tutti i giorni 9.30-12.30 / 16.-19

Curatori: Roberto Vascellari

Enti promotori:

  • Comitto Venezia
  • Museo dell'Occhiale
  • Biblioteca Nazionale Marciana
  • Stazione sperimentale del Vetro

Costo del biglietto: intero € 4, ridotto € 3

Telefono per informazioni: +39 0435 32953

E-Mail info: museo.occhiale@alice.it

Sito ufficiale: http://www.museodellocchiale.it


Lettura ad arte della mostra Occhiali da Doge. Occhiali da sole nella Venezia del 700 in calendario al Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore dal 24 luglio al 24 settembre 2014. Della mostra nata dalla collaborazione tra Comitato Venezia, la Biblioteca Nazionale Marciana, la Fondazione Museo dell’Occhiale Onlus e la Stazione Sperimentale del Vetro sono già stati ampiamente indagati gli aspetti storico-scientifici, e questo senza prescindere del parlare dei verieri de Muran e della loro magnifica inventiva che li ha portati a creare, inconsapevolmente, oggetti che mettevano in pratica scoperte largamente successive. L’arrivo della mostra al Museo di Pieve, dove certo non mancano spunti per confronti utili ad allargarne e approfondirne i contenuti, permette di guardare la mostra sotto un’altra lente, quella artistica, che a Venezia più che altrove era strettamente legata con i riti del vivere sociale, della moda e del costume. In pieno Settecento, la Serenissima - crocevia di un mondo cosmopolita fatto di viaggiatori, mercanti, artisti, ambasciatori che giungevano dai Paesi del Nord come da Oriente – era investita, in un evolversi continuo, da ventate di novità. Una vitalità sociale, politica, culturale che costituisce il punto di partenza per esperienze artistiche di alto livello, dalla riforma della commedia goldoniana fino al variegato mondo delle arti, che nella loro funzione di contorno si adeguano perfettamente allo spirito dei tempi: carnevali, teatri, il gioco del Ridotto, balli e feste… rammentando un quotidiano raffinato ed allegro. Velluti, sete, oro, specchi, stucchi e lacche per un universo di forme e colori che fa dell’alchemica mescolanza tra esito estetico e funzione pratica la sua regola aurea. Così non c’è distinzione tra trumeau o specchiere e servizi da toilette o vassoi per il rito della cioccolata, come non c’è tra l’esser destinati ai palazzi di città o alle ville di campagna. E’ il gioco del gusto e della moda ai cui nulla si sottrae, occhiali ed astucci compresi, perché la loro utilità doveva essere abilmente celata dietro alla graziosità dell’ornamento. Alla stregua degli arredi più ricchi erano decorati in lacca alla maniera d’Oriente, lacca povera, in cui l’effetto di brillantezza era dato dalle innumerevoli mani di sandracca, una vernice molto lucida tramandata nelle botteghe secondo ricette che si piccavano di “riprodurre formule” portate dai Gesuiti al loro ritorno dal Paese del Catai. E’ il caso dei vetri da gondola per dame, incorniciati da montature di legno laccato e decorato con un repertorio che prende spunto dal mondo dei giardini come da quello dei salotti, alternando piccoli fiori e graziosi bouquets a figure galanti. In mostra, su uno a fondo rosso sono dipinte piccole rose color crema, su un altro a fondo crema sono applicate con la tecnica del decoupage una damina e dei rami fioriti; è questo un virtuosismo tecnico tanto d’effetto e apprezzato che persino la rinomata stamperia bassanese dei Remondini produceva, oltre alle stampe artistiche, fogli esclusivamente “da ritaglio”. In lacca povera è anche l’astuccio creato per gli occhiali del Doge Alvise IV Giovanni Mocenigo che, su fondo azzurro all’interno di una cornice a rabeschi dorati, riporta lo stemma della famiglia sormontato dal Corno dogale. Al suo intero un paio di occhiali ad aste tempiali decorate a traforo con il medesimo stemma che, per le tracce di pittura residua, all’epoca doveva essere policromo. Pittura che andava a sovrapporsi alla maculatura della tartarugata ottenuta dipingendo a china il corno biondo: un artificio che ovviava al costo del raro materiale esotico senza nulla togliere all’estetica. Tra i cinquanta pezzi esposti sono diversi gli occhiali dalla maculatura artificiale, e molti anche gli astucci che nascevano in pelle, cuoio, cartoncino pressato rivesti in carta… ma tutti ugualmente maculati ad arte e rivestiti all’interno con broccatelli di seta o “carte a mano” a piccoli disegni o motivi cachemire: medesimi “interni” di trumeau, cassettoni. Il legame è senza soluzione di continuità, basti guardare gli astucci in legno, come uno esposto a forma di conchiglia, stilema desunto dalle rocaille che decoravano consolle e specchiere, o quelli intagliati: uno con scene di matrimonio e un altro con scene galanti, circondate da ghirlande e capricci naturalistici. Tutti in bosso un legno durissimo dalle sfumature chiare, che costituisce una delle cifre distintive della scultura veneziana del ‘700. Sotto tutti i punti di vista questa è una mostra che parla d’arte, viene dunque naturale ricordare lo stuolo di artigiani, ordinati in rigide corporazioni, al seguito di questo meraviglioso mondo. Lo spunto viene da un altro paio di occhiali racchiusi in un astuccio di forma allungata in pelle maculata, raffigurato nell’insegna della corporazione dei vagineri – produttori di foderi, custodie e astucci – così come ci mostra un dipinto della collezione del Museo Correr. Nello spirito del secolo e di un mondo che tutto tollera fuorché la noia, sono i curiosi occhiali a lente poliedrica. Così come a carnevale, nei balli o nelle feste era un rito celarsi dietro mascherine, ventole e ventagli, con ogni probabilità era un “capriccioso” divertimento anche il gioco ottico che queste lenti “…multiplicanti bizzarramente gli oggetti…” consentivano. Un breve compendio di quanto sarà esposto, a partire dal prossimo 24 luglio, per tutta l’estate al Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore, dove è possibile visitare anche la casa natale di Tiziano Vecelio e la Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore.

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