La memoria infedele. La seduzione delle immagini da de Chirico a Schifano

Leonor Fini, La mémoire infidèle, 1979. Olio su tela, cm. 73x100. Ferrara, Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea © by SIAE 2022
Dal 02 Luglio 2022 al 27 Dicembre 2022
Ferrara
Luogo: Castello Estense
Indirizzo: L.go Castello 1
Orari: Dalle 10.00 alle 18.00, chiuso il martedì (la biglietteria chiude 45 minuti prima)
Curatori: Chiara Vorrasi
Enti promotori:
- ervizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara
- Fondazione Ferrara Arte
- Con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna
Telefono per informazioni: +39 0532 419180
E-Mail info: castelloestense@comune.fe.it
Sito ufficiale: http://www.castelloestense.it
Dal 2luglio al 27 dicembre 2022 la Sala dei Comuni del Castello Estense ospita un nuovo allestimento dal titolo La memoria infedele. La seduzione delle immagini da de Chirico a Schifano. La mostra dossier, realizzata dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara e dalla Fondazione Ferrara Arte, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, a cura di Chiara Vorrasi, è un nuovo appuntamento di un programma espositivo dedicato al patrimonio museale cittadino attraverso focus su artisti e nuclei tematici, che ha visto sinora protagonisti Boldini e De Pisis. L’attenzione si concentra ora sulle opere delle collezioni civiche che rievocano il clima postmoderno di fine Novecento e la rinnovata fascinazione per le arti figurative.
La selezione di 12 lavori, tra dipinti, sculture e opere su carta, comprende 9 dei quasi duecento pezzi della collezione privata di Franco Farina (direttore della Civica Galleria d’Arte Moderna e del polo espositivo di Palazzo dei Diamanti dagli anni Sessanta agli anni Novanta) che nel 2019 è stata donata alla città dalla vedova, Lola Bonora. Il progetto si pone inoltre in connessione con l’estesa rassegna dedicata, sempre in Castello, all’artista ferrarese trapiantato a Berlino Adelchi Riccardo Mantovani, la cui parabola prende avvio proprio in quella variegata stagione artistica e culturale.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, molti artisti si riappropriano delle tradizionali pratiche della pittura e della scultura che erano state messe al bando dalle avanguardie. La storia delle immagini tornaad essere interrogata come un immenso repertorio di modelli figurativi da cui attingere nuove chiavi interpretative per rappresentare la complessità dell’esistenza nell’era della comunicazione di massa.
Precursore e artefice di ogni moderno “ritorno al mestiere” e ai segreti dei grandi maestri, sin dal 1916 Giorgio de Chirico aveva propugnato una visione del tempo circolare, dove il passato e il futuro si saldano in un eterno presente, in sintonia con il pensiero di filosofi antichi e contemporanei, da Eraclito a Nietzsche. L’«artista moderno per eccellenza» è pertanto l’«uomo cosciente che sente l’eredità di secoli e secoli d’arte e di pensiero, che vede chiaramente nel passato, nel presente e in se stesso» (1945).Il percorso espositivo prende quindi avvio dalle opere “citazioniste” degli anni Cinquanta-Settanta in cui de Chirico ha preso a prestito l’esuberanza pittorica del barocco o ha rivisitato con tecniche diverse i manichini della sua stessa produzione metafisica degli anni Dieci. Il suo esempio s’impone all’attenzione delle generazioni più giovani, come nel caso di un protagonista internazionale della stagione pop quale Mario Schifano. Con le sue iconiche riletture delle effigi della nostra civiltà – che siano i monumenti equestri, le ninfee care a Monet, o i proclami futuristi – Schifano vuole riaffermare il potere di suggestionedell’arte di fronte all’egemonia dell’immagine massmediale. L’allestimento presenta due suoi dipinti (Senza titolo, 1978, Acquatico, 1988) assieme a lavori di artisti che, con percorsi diversi ma intenti affini, hanno reinterpretato con ironia e sottigliezza i vari generi della tradizione: la Scultura calda (1965) di Remo Bianco è un torso classico rivestito di una moderna patina cromata e riscaldato elettricamente, per invitare il fruitore a riprendere materialmente contatto con l’opera d’arte; a sua volta Carlo Mattioli negli anni Ottanta condensa il paesaggio nella sua essenza vitale di albero stilizzato, facendo risaltare dense chiome materiche su sfondi indefiniti; mentre Paola Bonora in un enigmatico ritratto degli anni Novanta si affida alla gestualità del corpo per svelare la personalità del soggetto, il cui volto è tagliato fuori dall’inquadratura.
È infine La memoria infedele di Leonor Fini, che ha dato il titolo al percorso, a evidenziare il distacco critico che accompagna lo sguardo retrospettivo postmoderno. Un misterioso damerino in costume settecentesco osserva un dipinto della stessa autrice (Crepuscolo del mattino) che è riprodotto con diverse varianti all’interno dell’opera, a sua volta denso di citazioni all’arte rinascimentale, barocca e simbolista: di fatto ogni rievocazione del passato è destinata a riscriverne il significato.
Ripercorrendo l’universo dei linguaggi della storia dell’arte con la consapevolezza del presente emerge inevitabilmente la natura seducente quanto illusoria di ogni codice di rappresentazione.
La selezione di 12 lavori, tra dipinti, sculture e opere su carta, comprende 9 dei quasi duecento pezzi della collezione privata di Franco Farina (direttore della Civica Galleria d’Arte Moderna e del polo espositivo di Palazzo dei Diamanti dagli anni Sessanta agli anni Novanta) che nel 2019 è stata donata alla città dalla vedova, Lola Bonora. Il progetto si pone inoltre in connessione con l’estesa rassegna dedicata, sempre in Castello, all’artista ferrarese trapiantato a Berlino Adelchi Riccardo Mantovani, la cui parabola prende avvio proprio in quella variegata stagione artistica e culturale.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, molti artisti si riappropriano delle tradizionali pratiche della pittura e della scultura che erano state messe al bando dalle avanguardie. La storia delle immagini tornaad essere interrogata come un immenso repertorio di modelli figurativi da cui attingere nuove chiavi interpretative per rappresentare la complessità dell’esistenza nell’era della comunicazione di massa.
Precursore e artefice di ogni moderno “ritorno al mestiere” e ai segreti dei grandi maestri, sin dal 1916 Giorgio de Chirico aveva propugnato una visione del tempo circolare, dove il passato e il futuro si saldano in un eterno presente, in sintonia con il pensiero di filosofi antichi e contemporanei, da Eraclito a Nietzsche. L’«artista moderno per eccellenza» è pertanto l’«uomo cosciente che sente l’eredità di secoli e secoli d’arte e di pensiero, che vede chiaramente nel passato, nel presente e in se stesso» (1945).Il percorso espositivo prende quindi avvio dalle opere “citazioniste” degli anni Cinquanta-Settanta in cui de Chirico ha preso a prestito l’esuberanza pittorica del barocco o ha rivisitato con tecniche diverse i manichini della sua stessa produzione metafisica degli anni Dieci. Il suo esempio s’impone all’attenzione delle generazioni più giovani, come nel caso di un protagonista internazionale della stagione pop quale Mario Schifano. Con le sue iconiche riletture delle effigi della nostra civiltà – che siano i monumenti equestri, le ninfee care a Monet, o i proclami futuristi – Schifano vuole riaffermare il potere di suggestionedell’arte di fronte all’egemonia dell’immagine massmediale. L’allestimento presenta due suoi dipinti (Senza titolo, 1978, Acquatico, 1988) assieme a lavori di artisti che, con percorsi diversi ma intenti affini, hanno reinterpretato con ironia e sottigliezza i vari generi della tradizione: la Scultura calda (1965) di Remo Bianco è un torso classico rivestito di una moderna patina cromata e riscaldato elettricamente, per invitare il fruitore a riprendere materialmente contatto con l’opera d’arte; a sua volta Carlo Mattioli negli anni Ottanta condensa il paesaggio nella sua essenza vitale di albero stilizzato, facendo risaltare dense chiome materiche su sfondi indefiniti; mentre Paola Bonora in un enigmatico ritratto degli anni Novanta si affida alla gestualità del corpo per svelare la personalità del soggetto, il cui volto è tagliato fuori dall’inquadratura.
È infine La memoria infedele di Leonor Fini, che ha dato il titolo al percorso, a evidenziare il distacco critico che accompagna lo sguardo retrospettivo postmoderno. Un misterioso damerino in costume settecentesco osserva un dipinto della stessa autrice (Crepuscolo del mattino) che è riprodotto con diverse varianti all’interno dell’opera, a sua volta denso di citazioni all’arte rinascimentale, barocca e simbolista: di fatto ogni rievocazione del passato è destinata a riscriverne il significato.
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