Aeroporto Rovesciato di Corrado Levi
Dal 16 Dicembre 2021 al 31 Gennaio 2022
Milano
Luogo: Aeroporto di Milano Malpensa
Indirizzo: Porta di Milano
Curatori: Beppe Finessi
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 232323
Un’installazione digitale innovativa perché mostra ciò che in un aeroporto non è visibile ai passeggeri. Da qui il nome: “Aeroporto Rovesciato” per indicare ciò che si trova “sotto” la normalità di un percorso che nasce al check-in e arriva fino all’imbarco del proprio volo.
La mostra, inaugurata alla Porta di Milano dell’aeroporto di Malpensa, consiste in una sequenza di scatti che raccontano ciò che di norma non si vede, ma è parte del sistema complesso che fa funzionare l’aeroporto: dalle sale di controllo, agli ambienti dedicati alla preparazione dei pasti, ma anche le segnaletiche orizzontali, i depositi e i mezzi in riparazione e banchi di lavoro con chiavi inglesi e maschere da saldatore.
Il maestro Levi ha scelto una sessantina di scatti di Macagnino che illustrano mestieri meno noti di cui è rimasto affascinato.
Con questa iniziativa, SEA ribadisce il proprio rapporto privilegiato con l’arte, iniziato oltre un decennio fa con la costruzione de “La Soglia Magica”, un’opera che è diventata la Porta di Milano, il luogo d’eccellenza dove ospitare eventi espositivi che salutano i passeggeri in arrivo e in partenza dal Terminal 1. Di qui sono passati grandi maestri quali Fausto Melotti, Marino Marini, Gio Ponti, Giuseppe Pellizza da Volpedo, e autori appartenenti al panorama artistico contemporaneo, quali Helidon Xhixha, Carlo Bernardini, Alessandro Busci, Daniele Sigalot e altri.
“La fotografia è un’arte che ha il dono di far vedere il mondo attraverso gli occhi di altri, il più delle volte mostrando ciò che non si sarebbe colto – afferma Alessandro Fidato, Chief Operating Officer di SEA. Con questa mostra si va oltre, proprio dove gli occhi del passeggero non sarebbero potuti arrivare. Alla scoperta di persone e luoghi che fanno parte del mondo aeroportuale uscendo dai percorsi canonici, si intrattiene per qualche minuto il passeggero che passando dalla Porta di Milano si ferma ad ammirare un’opera unica.”
“Ancora una volta Corrado Levi ha cercato di sollecitare i nostri sguardi e i nostri pensieri – dichiara Beppe Finessi - E ancora una volta si è messo nei panni degli altri, immedesimandosi nei gesti quotidiani di chi lavora per permetterci di viaggiare: per onorare i nostri impegni spostandoci velocemente da una città all’altra, ma anche per rallentare, svagarci e alleggerire e a volte scappare altrove”.
“E con quei suoi occhi ha cercato di vedere quello che non aveva mai potuto incontrare direttamente – continua Finessi. E per farlo, da regista (leggi progettista) navigato, Levi ha incaricato un fotografo sensibile e capace, Roberto, delegandolo a scattare per lui queste immagini di un “Aeroporto rovesciato”, utilizzando così uno dei suoi modi preferiti di agire, quello di avallare e poi riconoscere le azioni altrui, dopo averle sapientemente istruite”.
Corrado Levi
figura poliedrica e multidisciplinare dell’arte e della cultura italiana.
Nato a Torino (1936), artista, architetto, scrittore e critico, Corrado Levi ha sfidato e continua a sfidare le regole restrittive delle singole discipline, aprendo di volta in volta nuove possibilità espressive nella cultura contemporanea. Come egli stesso si definisce: “Sono un italiano di plurima formazione: allievo, come architetto, di Franco Albini e Carlo Mollino, come scrittore di Karl Kraus e di Erik Satie, come artista di molte generazioni di artisti, dall’Arte Povera di cui imparo il linguaggio, alla Transavanguardia a cui rubo la libertà, ai graffiti di cui invidio la strada, e molti altri”.
Come Alberto Savinio, come Fortunato Depero, come Bruno Munari, maestri troppo liberi per essere inquadrati in ristretti ambiti professionali, in orti disciplinari e consuetudini storiografiche.
Riconosciuto nella realtà degli anni Ottanta come il «movimentatore massimo di gran parte della scena artistica milanese» (cit. Marco Meneguzzo), Corrado Levi è una figura poliedrica che si occupa di arte tout court rivestendo il ruolo di critico, di curatore, di collezionista e d’artista, tutto vissuto in una chiave personale e unica nel suo genere.
Avvicinatosi all’arte grazie al padre collezionista che gli trasmette l’amore per l’arte visiva, si appassiona alla costruzione laureandosi in architettura. Sarà l’assistente dell’architetto Franco Albini, dal quale erediterà e metterà in pratica il motto “Non esistono oggetti brutti, basta saperli esporre”.
Fondamentale è il viaggio a New York dove trova una situazione di fermento artistico con una grande libertà e facilità sia nel fare arte che nell’esporla, dove le botteghe dell’East Village si improvvisano gallerie. Vede in Milano una situazione opportuna per ricreare lo stesso spirito di innovazione artistica newyorkese e la commistione con altre discipline, portando l’arte di frontiera, così chiamata da Francesca Alinovi, in superficie e attivando un corso che ribalterà la tradizionale gerarchia artistica. In veste di professore Corrado Levi è «anomalo quanto efficace» (cit. Angela Vettese): il suo non è un tipico corso accademico di Progettazione Architettonica del Politecnico, ma una piattaforma di confronto con i propri limiti. Invita persone molto diverse tra loro a tenere delle conferenze, dai più affermati Richard Long e Alighiero Boetti fino al disk jockey più richiesto in quegli anni, Nicola Guiducci, creando un ponte tra la generazione dei grandi maestri e i giovani contemporanei. Corrado Levi include nel proprio insegnamento tutto ciò che vive nella realtà di quel periodo senza discriminazioni. Grazie a queste premesse i suoi allievi decidono di occupare la Brown Boveri, fabbrica abbandonata in cui si crea un collettivo cui partecipa anche Levi, poiché egli ritiene di appartenere a quella generazione, artisticamente parlando. Levi è convinto che l’artista non è raro, l’importante è la presenza di un ambiente culturalmente accogliente; il mondo dell’arte non ha infatti i fondi necessari per finanziare numerosi artisti e per questo si concentra su poche personalità tentando di aumentarne il valore. Sente allora la necessità di aprire uno spazio proprio, lo studio di via San Gottardo che incarna l’idea di un laboratorio di idee e una palestra per i talentuosi, riuscendo a trasmettere ai giovani con la tipica leggerezza post-industriale degli anni Ottanta un nuovo modo di guardare l’arte, mettendo in attiva discussione i canoni tradizionali dell’arte e i loro sistemi ufficiali.
Instancabile sperimentatore, da molti anni conduce un laboratorio di progettazione per la facoltà di Architettura di Milano ed è produttore di arte e di architettura.
La mostra, inaugurata alla Porta di Milano dell’aeroporto di Malpensa, consiste in una sequenza di scatti che raccontano ciò che di norma non si vede, ma è parte del sistema complesso che fa funzionare l’aeroporto: dalle sale di controllo, agli ambienti dedicati alla preparazione dei pasti, ma anche le segnaletiche orizzontali, i depositi e i mezzi in riparazione e banchi di lavoro con chiavi inglesi e maschere da saldatore.
Il maestro Levi ha scelto una sessantina di scatti di Macagnino che illustrano mestieri meno noti di cui è rimasto affascinato.
Con questa iniziativa, SEA ribadisce il proprio rapporto privilegiato con l’arte, iniziato oltre un decennio fa con la costruzione de “La Soglia Magica”, un’opera che è diventata la Porta di Milano, il luogo d’eccellenza dove ospitare eventi espositivi che salutano i passeggeri in arrivo e in partenza dal Terminal 1. Di qui sono passati grandi maestri quali Fausto Melotti, Marino Marini, Gio Ponti, Giuseppe Pellizza da Volpedo, e autori appartenenti al panorama artistico contemporaneo, quali Helidon Xhixha, Carlo Bernardini, Alessandro Busci, Daniele Sigalot e altri.
“La fotografia è un’arte che ha il dono di far vedere il mondo attraverso gli occhi di altri, il più delle volte mostrando ciò che non si sarebbe colto – afferma Alessandro Fidato, Chief Operating Officer di SEA. Con questa mostra si va oltre, proprio dove gli occhi del passeggero non sarebbero potuti arrivare. Alla scoperta di persone e luoghi che fanno parte del mondo aeroportuale uscendo dai percorsi canonici, si intrattiene per qualche minuto il passeggero che passando dalla Porta di Milano si ferma ad ammirare un’opera unica.”
“Ancora una volta Corrado Levi ha cercato di sollecitare i nostri sguardi e i nostri pensieri – dichiara Beppe Finessi - E ancora una volta si è messo nei panni degli altri, immedesimandosi nei gesti quotidiani di chi lavora per permetterci di viaggiare: per onorare i nostri impegni spostandoci velocemente da una città all’altra, ma anche per rallentare, svagarci e alleggerire e a volte scappare altrove”.
“E con quei suoi occhi ha cercato di vedere quello che non aveva mai potuto incontrare direttamente – continua Finessi. E per farlo, da regista (leggi progettista) navigato, Levi ha incaricato un fotografo sensibile e capace, Roberto, delegandolo a scattare per lui queste immagini di un “Aeroporto rovesciato”, utilizzando così uno dei suoi modi preferiti di agire, quello di avallare e poi riconoscere le azioni altrui, dopo averle sapientemente istruite”.
Corrado Levi
figura poliedrica e multidisciplinare dell’arte e della cultura italiana.
Nato a Torino (1936), artista, architetto, scrittore e critico, Corrado Levi ha sfidato e continua a sfidare le regole restrittive delle singole discipline, aprendo di volta in volta nuove possibilità espressive nella cultura contemporanea. Come egli stesso si definisce: “Sono un italiano di plurima formazione: allievo, come architetto, di Franco Albini e Carlo Mollino, come scrittore di Karl Kraus e di Erik Satie, come artista di molte generazioni di artisti, dall’Arte Povera di cui imparo il linguaggio, alla Transavanguardia a cui rubo la libertà, ai graffiti di cui invidio la strada, e molti altri”.
Come Alberto Savinio, come Fortunato Depero, come Bruno Munari, maestri troppo liberi per essere inquadrati in ristretti ambiti professionali, in orti disciplinari e consuetudini storiografiche.
Riconosciuto nella realtà degli anni Ottanta come il «movimentatore massimo di gran parte della scena artistica milanese» (cit. Marco Meneguzzo), Corrado Levi è una figura poliedrica che si occupa di arte tout court rivestendo il ruolo di critico, di curatore, di collezionista e d’artista, tutto vissuto in una chiave personale e unica nel suo genere.
Avvicinatosi all’arte grazie al padre collezionista che gli trasmette l’amore per l’arte visiva, si appassiona alla costruzione laureandosi in architettura. Sarà l’assistente dell’architetto Franco Albini, dal quale erediterà e metterà in pratica il motto “Non esistono oggetti brutti, basta saperli esporre”.
Fondamentale è il viaggio a New York dove trova una situazione di fermento artistico con una grande libertà e facilità sia nel fare arte che nell’esporla, dove le botteghe dell’East Village si improvvisano gallerie. Vede in Milano una situazione opportuna per ricreare lo stesso spirito di innovazione artistica newyorkese e la commistione con altre discipline, portando l’arte di frontiera, così chiamata da Francesca Alinovi, in superficie e attivando un corso che ribalterà la tradizionale gerarchia artistica. In veste di professore Corrado Levi è «anomalo quanto efficace» (cit. Angela Vettese): il suo non è un tipico corso accademico di Progettazione Architettonica del Politecnico, ma una piattaforma di confronto con i propri limiti. Invita persone molto diverse tra loro a tenere delle conferenze, dai più affermati Richard Long e Alighiero Boetti fino al disk jockey più richiesto in quegli anni, Nicola Guiducci, creando un ponte tra la generazione dei grandi maestri e i giovani contemporanei. Corrado Levi include nel proprio insegnamento tutto ciò che vive nella realtà di quel periodo senza discriminazioni. Grazie a queste premesse i suoi allievi decidono di occupare la Brown Boveri, fabbrica abbandonata in cui si crea un collettivo cui partecipa anche Levi, poiché egli ritiene di appartenere a quella generazione, artisticamente parlando. Levi è convinto che l’artista non è raro, l’importante è la presenza di un ambiente culturalmente accogliente; il mondo dell’arte non ha infatti i fondi necessari per finanziare numerosi artisti e per questo si concentra su poche personalità tentando di aumentarne il valore. Sente allora la necessità di aprire uno spazio proprio, lo studio di via San Gottardo che incarna l’idea di un laboratorio di idee e una palestra per i talentuosi, riuscendo a trasmettere ai giovani con la tipica leggerezza post-industriale degli anni Ottanta un nuovo modo di guardare l’arte, mettendo in attiva discussione i canoni tradizionali dell’arte e i loro sistemi ufficiali.
Instancabile sperimentatore, da molti anni conduce un laboratorio di progettazione per la facoltà di Architettura di Milano ed è produttore di arte e di architettura.
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