Riapertura dell'Armeria e della Collezione De Ciccio al Museo e Real Bosco di Capodimonte
Dal 11 Ottobre 2021 al 11 Ottobre 2021
Napoli
Luogo: Museo e Real Bosco di Capodimonte
Indirizzo: Via Miano 2
Lunedì 11 ottobre 2021 riaprono al pubblico due importanti sezioni al primo piano del Museo e Real Bosco di Capodimonte: l'Armeria Farnesiana e Borbonica dopo l'intensa campagna di digitalizzazione che ha interessato le collezioni di armi dei Farnese e dei Borbone con le armature, i fucili, le pistole, gli scudi e gli elmi, e la sezione della collezione De Ciccio che riunisce 1300 pezzi tra galanterie, vetri, bronzetti, avori e smalti medioevali, paramenti sacri, tessuti e ricami, argenti di uso liturgico, bronzetti, ceroplastiche, pastori siciliani, una importante selezione di oggetti archeologici e uno sceltissimo gruppo di maioliche e di porcellane.
L'Armeria
L’armeria di Capodimonte è una delle più notevoli d’Europa. Costituita dalle armi che appartenevano alla famiglia Farnese tra la fine del XV e il XVII secolo, fu ricevuta in eredità da Carlo di Borbone, che vi aggiunse nel Settecento la sua raccolta di armi da fuoco, alcuni doni diplomatici ed altre armi prodotte dalla Real Fabbrica di Napoli. Nell’Ottocento Ferdinando IV arricchì la collezione con alcuni pregiati manufatti cinquecenteschi, recuperati durante il suo esilio a Palermo. L’armeria di Capodimonte è quindi una storia completa delle armi europee d’epoca moderna. Come nelle regge di Dresda, Torino o Madrid, la funzione di un’armeria era più di rappresentanza che militare. Un’arma, infatti, non è solamente uno strumento per difendersi, ferire o uccidere ma anche un oggetto di lusso. Simbolo di potere e ricchezza durante le cerimonie di parata ed i tornei, le armi avevano per gli uomini la stessa funzione sociale dei gioielli per le donne. Come un abito simbolico, un’armatura rifletteva il casato, il gusto e lo status sociale del suo proprietario, nonché le abilità artigianali del suo creatore.
L’armeria Farnese
Prima di essere una delle più importanti famiglie di collezionisti del Rinascimento, i Farnese erano soldati e militari, come il Duca Pierluigi Farnese, figlio naturale di papa Paolo III. Non è dunque sorprendente annoverare, tra i capolavori della loro collezione, anche armi e armature. L’armeria Farnese conta oggi circa 600 pezzi provenienti dalla cosiddetta “armeria secreta” del palazzo Farnese di Parma. Questo nucleo è composto da armi realizzate dalle più importanti botteghe d’Europa: armi da fuoco, taglio e difesa, armi bianche, spade e pugnali, risalenti tutte tra la fine del XV e quella del XVII secolo. La raccolta era esposta con la serie di dipinti che rappresentano gli imperatori romani in armatura antica e moderna, copie coeve da Tiziano. Le armature più pregiate di casa Farnese erano commissionate a Pompeo della Cesa (1537-1610), uno dei più abili armorari italiani del XVI secolo. Egli creò un insieme omogeneo di pezzi intercambiabili che potevano trasformare un’armatura da piede in armatura da cavallo o da giostra. La sua mano è riconoscibile dall’intaglio estremamente raffinato della decorazione ricca di simboli, come nelle armature dette “Volat” e “del Giglio”, capolavori della sezione.
L’armeria Borbonica
Nel 1758 Carlo III di Borbone istituì la Fabbrica d’Armi a Torre Annunziata, nella periferia a sud di Napoli. Dalla fabbrica di Torre dipendeva l’attività di altri opifici militari, che introdussero diverse migliorie tecniche su oggetti di altre manifatture europee. Dal 1782 venne fondata inoltre la Fabbrica degli Acciai, per la produzione di oggetti di uso comune ma anche di armi bianche, e fu ubicata nella Palazzina dei Principi all’interno del Bosco di Capodimonte. Le fabbriche borboniche erano sorte per le esigenze dell’esercito, ma in parallelo crearono raffinate armi da caccia per la corte, arricchite da intarsi in avorio e foderi in pelle. Gli esemplari napoletani guardavano ai modelli spagnoli, anche se la decorazione era più leggera, volta alla valorizzazione degli acciai, spesso bruniti. La sezione conserva inoltre le armi da fuoco madrilene portate a Napoli da Carlo di Borbone e quelle donate a Carlo e Ferdinando di manifattura sassone, viennese, spagnola e francese. Infine, sono presenti un nucleo importante di armi orientali e una serie di modellini da guerra ad uso della scuola di artiglieria.
Per la riapertura dell'Armeria si è anche provveduto alla pulitura e al restauro del lampadario con struttura in ottone, ottone dorato e ferro, pendenti e catene in cristallo di Manifattura francese degli inizi del XIX secolo. La Collezione De Ciccio
La Collezione, donata da Mario De Ciccio allo Stato italiano nel 1958 è costituita da 1.300 pezzi, soprattutto oggetti d’arte applicata di differenti epoche e tipologia, raccolti dal collezionista nell’arco di oltre 50 anni prima a Palermo, sua città natale, poi a Napoli, sua patria d’adozione dal 1906, ed anche sui più quotati mercati d’arte internazionale. Con un gusto eclettico di matrice ancora tardo-ottocentesca (era nato nel 1868 ed aveva iniziato molto presto la sua carriera di collezionista ed antiquario) De Ciccio formò la sua raccolta con alcuni dipinti, qualche scultura, smalti limosini del Cinquecento, galanterie (ventagli, tabacchiere, astucci e orologi), vetri, bronzetti, avori e smalti medioevali, paramenti sacri, tessuti e ricami, argenti di uso liturgico, ceroplastiche, una importante selezione di oggetti archeologici e, soprattutto, uno sceltissimo gruppo di maioliche e di porcellane. I fastosi piatti “da pompa” in ceramica hispano-moresca decorata a lustro metallico, le ceramiche persiane due e trecentesche, le preziose maioliche italiane decorate con scene “istoriate”, a “quartieri”, a grottesche, i fragili vetri veneziani o “alla façon de Venise”, lo sceltissimo gruppo di porcellane cinesi e giapponesi, di Meissen, Vienna, Ginori,soprattutto di Capodimonte (con gridi e scene galanti) e di Napoli (col busto in biscuit di Tolomeo Sotere e le celebri panchine). I ventagli e gli orologi da taschino, gli smaglianti parati d’altare ricamati ma anche gli oggetti di fattura più corrente come i mortai in bronzo e i piatti da elemosina in rame sbalzato costituiscono, con la loro scenografica e variegata esposizione nelle vetrine, un utilissimo completamento delle raccolte storiche del museo e delle porcellane di provenienza borbonica con una componente di matrice collezionistica ed antiquariale.
L'Armeria
L’armeria di Capodimonte è una delle più notevoli d’Europa. Costituita dalle armi che appartenevano alla famiglia Farnese tra la fine del XV e il XVII secolo, fu ricevuta in eredità da Carlo di Borbone, che vi aggiunse nel Settecento la sua raccolta di armi da fuoco, alcuni doni diplomatici ed altre armi prodotte dalla Real Fabbrica di Napoli. Nell’Ottocento Ferdinando IV arricchì la collezione con alcuni pregiati manufatti cinquecenteschi, recuperati durante il suo esilio a Palermo. L’armeria di Capodimonte è quindi una storia completa delle armi europee d’epoca moderna. Come nelle regge di Dresda, Torino o Madrid, la funzione di un’armeria era più di rappresentanza che militare. Un’arma, infatti, non è solamente uno strumento per difendersi, ferire o uccidere ma anche un oggetto di lusso. Simbolo di potere e ricchezza durante le cerimonie di parata ed i tornei, le armi avevano per gli uomini la stessa funzione sociale dei gioielli per le donne. Come un abito simbolico, un’armatura rifletteva il casato, il gusto e lo status sociale del suo proprietario, nonché le abilità artigianali del suo creatore.
L’armeria Farnese
Prima di essere una delle più importanti famiglie di collezionisti del Rinascimento, i Farnese erano soldati e militari, come il Duca Pierluigi Farnese, figlio naturale di papa Paolo III. Non è dunque sorprendente annoverare, tra i capolavori della loro collezione, anche armi e armature. L’armeria Farnese conta oggi circa 600 pezzi provenienti dalla cosiddetta “armeria secreta” del palazzo Farnese di Parma. Questo nucleo è composto da armi realizzate dalle più importanti botteghe d’Europa: armi da fuoco, taglio e difesa, armi bianche, spade e pugnali, risalenti tutte tra la fine del XV e quella del XVII secolo. La raccolta era esposta con la serie di dipinti che rappresentano gli imperatori romani in armatura antica e moderna, copie coeve da Tiziano. Le armature più pregiate di casa Farnese erano commissionate a Pompeo della Cesa (1537-1610), uno dei più abili armorari italiani del XVI secolo. Egli creò un insieme omogeneo di pezzi intercambiabili che potevano trasformare un’armatura da piede in armatura da cavallo o da giostra. La sua mano è riconoscibile dall’intaglio estremamente raffinato della decorazione ricca di simboli, come nelle armature dette “Volat” e “del Giglio”, capolavori della sezione.
L’armeria Borbonica
Nel 1758 Carlo III di Borbone istituì la Fabbrica d’Armi a Torre Annunziata, nella periferia a sud di Napoli. Dalla fabbrica di Torre dipendeva l’attività di altri opifici militari, che introdussero diverse migliorie tecniche su oggetti di altre manifatture europee. Dal 1782 venne fondata inoltre la Fabbrica degli Acciai, per la produzione di oggetti di uso comune ma anche di armi bianche, e fu ubicata nella Palazzina dei Principi all’interno del Bosco di Capodimonte. Le fabbriche borboniche erano sorte per le esigenze dell’esercito, ma in parallelo crearono raffinate armi da caccia per la corte, arricchite da intarsi in avorio e foderi in pelle. Gli esemplari napoletani guardavano ai modelli spagnoli, anche se la decorazione era più leggera, volta alla valorizzazione degli acciai, spesso bruniti. La sezione conserva inoltre le armi da fuoco madrilene portate a Napoli da Carlo di Borbone e quelle donate a Carlo e Ferdinando di manifattura sassone, viennese, spagnola e francese. Infine, sono presenti un nucleo importante di armi orientali e una serie di modellini da guerra ad uso della scuola di artiglieria.
Per la riapertura dell'Armeria si è anche provveduto alla pulitura e al restauro del lampadario con struttura in ottone, ottone dorato e ferro, pendenti e catene in cristallo di Manifattura francese degli inizi del XIX secolo. La Collezione De Ciccio
La Collezione, donata da Mario De Ciccio allo Stato italiano nel 1958 è costituita da 1.300 pezzi, soprattutto oggetti d’arte applicata di differenti epoche e tipologia, raccolti dal collezionista nell’arco di oltre 50 anni prima a Palermo, sua città natale, poi a Napoli, sua patria d’adozione dal 1906, ed anche sui più quotati mercati d’arte internazionale. Con un gusto eclettico di matrice ancora tardo-ottocentesca (era nato nel 1868 ed aveva iniziato molto presto la sua carriera di collezionista ed antiquario) De Ciccio formò la sua raccolta con alcuni dipinti, qualche scultura, smalti limosini del Cinquecento, galanterie (ventagli, tabacchiere, astucci e orologi), vetri, bronzetti, avori e smalti medioevali, paramenti sacri, tessuti e ricami, argenti di uso liturgico, ceroplastiche, una importante selezione di oggetti archeologici e, soprattutto, uno sceltissimo gruppo di maioliche e di porcellane. I fastosi piatti “da pompa” in ceramica hispano-moresca decorata a lustro metallico, le ceramiche persiane due e trecentesche, le preziose maioliche italiane decorate con scene “istoriate”, a “quartieri”, a grottesche, i fragili vetri veneziani o “alla façon de Venise”, lo sceltissimo gruppo di porcellane cinesi e giapponesi, di Meissen, Vienna, Ginori,soprattutto di Capodimonte (con gridi e scene galanti) e di Napoli (col busto in biscuit di Tolomeo Sotere e le celebri panchine). I ventagli e gli orologi da taschino, gli smaglianti parati d’altare ricamati ma anche gli oggetti di fattura più corrente come i mortai in bronzo e i piatti da elemosina in rame sbalzato costituiscono, con la loro scenografica e variegata esposizione nelle vetrine, un utilissimo completamento delle raccolte storiche del museo e delle porcellane di provenienza borbonica con una componente di matrice collezionistica ed antiquariale.
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