Giuseppe Pellizza da Volpedo. Studi e bozzetti dalla Collezione Bellotti ai Musei Civici di Pavia
Dal 10 Maggio 2014 al 02 Giugno 2014
Pavia
Luogo: Castello Visconteo
Indirizzo: viale XI Febbraio 35
Orari: da martedì a venerdì 10-13 / 15-18. Sabato, domenica e festivi 10-19
Enti promotori:
- Comune di Pavia
- Pavia Cultura
Costo del biglietto: intero € 8, ridotto € 6 / € 3
Telefono per informazioni: +39 0382 399770
E-Mail info: chiara.argenteri@comune.pv.it
Sito ufficiale: http://www.museicivici.pavia.it
Riflettori accesi su Pellizza da Volpedo: sabato 10 maggio 2014, al Castello Visconteo di Pavia inaugura Giuseppe Pellizza da Volpedo. Studi e bozzetti dalla Collezione Bellotti ai Musei Civici di Pavia. Studi e bozzetti dalla Collezione Bellotti, che presenta fino al 2 giugno 2014 un’accurata selezione di opere provenienti dalla collezione romana di Bianca Bellotti e raramente esposte prima d’ora.
Disegni, schizzi, chine e qualche olio: dopo un primo omaggio al grande artista piemontese con la mostra Pissarro l’anima dell’Impressionismo, allestita nelle Scuderie del Castello Visconteo, e il confronto tra il maestro impressionista e la sua Carità cristiana divisionista, di proprietà dei Musei ed esposta nella Quadreria dell’Ottocento, Giuseppe Pellizza da Volpedo ai Musei Civici di Pavia. Studi e bozzetti dalla Collezione Bellotti continua il viaggio nell’universo di Pellizza, fatto di pennelli e tavolozza ma anche e soprattutto di semplice quotidianità, con la famiglia, gli affetti, la campagna e il lavoro agricolo. E riporta alla luce le originali cromie e le minuziosità tecniche dell’artista.
L’alto livello qualitativo si nota nei lavori ad olio, come “Orizzonte”, in cui il processo di veduta documentaria assume un’enfasi personalissima, evocativa dell’interpretazione poetica del motivo naturale e al contempo ricca di forti connotazioni psicologiche ed emozionali – scrive Giosuè Allegrini nel testo di presentazione alla mostra –. Un naturalismo narrativo espresso come momento di analisi e sintesi di una realtà vissuta anche attraverso il ricordo, e in cui la luminosità del colore-luce domina emozionalmente la scena. Ne è un esempio “Vaso di fiori”, con la delicata cromia della composizione, le trasparenze dell’acqua e l’equilibrio compositivo del soggetto narrato che si staglia su uno sfondo monocromo.
In “Effetto di sole verso mezzogiorno – 29 febbraio 1892” ed “Effetto di sole”, realizzati in pieno periodo divisionista, Pellizza si dedica alle problematiche della rifrazione della luce scomposta nell’elemento naturale. Opere di rara immediatezza narrativa oltre che di forte connotazione psicologica, come se l’artista intendesse trasferirsi da un piano descrittivo, meramente fisico e materiale, ad uno intimamente ed emozionalmente immateriale. Un po’ come accade nella “Parete del mio studio / Volpedo 9 ½ del 29 - 8 - 1906”, una delle ultime opere composte da Pellizza, in cui l’artista si ritrae appoggiato al muro esattamente nella posizione in cui dieci mesi dopo sarà ritrovato privo di vita per aver consumato l’atto estremo. Le opere su carta si concentrano sulle figure: bambini, giovani, donne e uomini, sembianze lievemente accennate, oppure tracciate e cariche di profondo pathos espressivo. Dai particolari anatomici – nello specifico lo studio delle mani – Pellizza passa ai raffinati scorci vedutisti, agli animali domestici, alle armi, ai bozzetti caricaturali di militari, fino ai frutti della natura e agli alberi. Un infinito naturale che si sviluppa attraverso un gioco di velature, di toni densi e sfumature che conducono ad una lieve dissoluzione della forma.
Le opere su carta della collezione Bellotti – scrive Francesca Porreca nel testo di presentazione alla mostra – sono in questo senso importantissime per comprendere la maniera in cui Pellizza si approcciava al dato reale, fin dal periodo della formazione e poi oltre, traducendo l’esperienza quotidiana in una serie infinita di disegni: emerge subito la capacità di esaltare i profili dei volti attraverso un segno fitto e minuto, la modellazione per campiture luminose e lo studio sistematico degli elementi di figura - in special modo le mani, rese in moltissime varianti - ma anche le pieghe dei tessuti, nonché la fascinazione per gli effetti di controluce.
L’acuta osservazione della realtà, che poteva colpire l’attenzione dell’artista per un particolare atteggiamento delle figure o per un caratteristico effetto di luce, era sempre accompagnata dalla rigorosa disciplina formale con cui Pellizza studiava le proprie composizioni, senza accontentarsi dell’impressione immediata ma ricostruendo situazioni e gesti con l’aiuto di amici e modelle (oltre che attraverso il mezzo fotografico), con l’obiettivo di penetrare più a fondo il vero e comprenderne appieno l’intima struttura. L’esercizio quotidiano del disegno e il paziente ritorno sui medesimi soggetti era considerato da Pellizza fondamentale per appropriarsi della realtà e restituirla nel modo più vero.
Fitti di disegni sono i suoi taccuini, di cui in mostra si presentano alcuni fogli di pregio datati tra il 18 dicembre 1884 e il 9 maggio 1885, riconducibili ai primi anni di esercitazioni dal vero presso l’atelier di Puricelli: il giovane pittore predilige la ripresa di volti e di parti significative delle figura umana come le mani, che da questo momento in poi, abbandonata la più classica interpretazione accademica della mano che impugna il rotolo o la penna, diventano temi ricorrenti nella sua produzione grafica. Distintivo dei lavori di questi anni è anche l’utilizzo dell’inchiostro viola, che probabilmente attrasse Pellizza per la sua particolare resa cromatica e per la capacità di animare in modo efficace anche oggetti di uso quotidiano e drappi, studiati nei minimi dettagli delle pieghe e secondo varianti chiaroscurali e prospettiche in grado di dare profondità e forza espressiva al panneggio di un tessuto così come alla gestualità di una mano.
I forti contrasti luminosi sono ottenuti grazie ad un’attenta differenziazione tra zone scure definite da un tratto fittissimo e parti in luce delineate con segni più leggeri - peculiarità che, per le caratteristiche costruttive del segno, suggeriscono consonanze con la tecnica dell’acquaforte. Rispetto a questo nucleo di opere piuttosto omogeneo, il piccolo disegno raffigurante un paesaggio bergamasco è invece di qualche anno più tardo, riferibile al 1889, e testimonia la predilezione di Pellizza per paesaggi di vasto respiro anche nelle piccole dimensioni, con un taglio fortemente orizzontale che privilegia il netto stagliarsi del profilo delle montagne e la presenza delle nuvole in movimento. Lo stesso taglio si riscontra nella tavoletta Orizzonte o Paese (datata 1891), dipinta a olio con poche e veloci pennellate, probabilmente per cogliere l’impressione vivace del paesaggio e la straordinaria scansione di piani che riunisce in una sola ripresa la pianura, le montagne e le nuvole bianche. La volontà di catturare un preciso dettaglio atmosferico e determinate condizioni di luce accomuna infine i due bozzetti dedicati allo studio di differenti effetti di sole, in cui la composizione appare quasi astratta e il dato naturale risolto essenzialmente nell’impressione luminosa, ancora una volta parte di un percorso di analisi del vero destinata a confluire in una sintesi complessa.
La collezione Bellotti
Severino Bellotti (1900-1964), scrittore e critico d’arte bergamasco, oltre che pittore legato alle istanze del movimento “Novecento” – ossia a quel “Ritorno all’Ordine” veicolato da Margherita Sarfatti e alla corrente del “Realismo Magico” –, nel 1944 realizzò un approfondito saggio biografico su Giuseppe Pellizza da Volpedo per la collana “I maestri del colore” edito dall’Istituto Italiano D’Arti Grafiche di Bergamo, ed entrò in stretto contatto con le figlie Nerina e Maria Pellizza, di cui rimase fraterno amico. Da tale rapporto amicale e dalla lunga frequentazione nacque il corpus di opere di Pellizza raccolte da Bellotti. La collezione originaria, che contava 70 lavori fra olii, chine e disegni, alla scomparsa del Bellotti fu equamente ripartita tra le due figlie, Bianca e Antonia, prendendo percorsi e destini differenti. Le opere presenti in mostra al Castello Visconteo di Pavia provengono dalla collezione di Bianca Bellotti e sono di grande interesse documentario, perché raramente esposte al pubblico – anche se riportate nell’esaustivo catalogo generale dedicato a Giuseppe Pellizza da Volpedo, a cura di Aurora Scotti – .
Giuseppe Pellizza nasce il 28 luglio 1868 a Volpedo (AL). Nell’autunno del 1883 si trasferisce a Milano, dove visita spesso lo studio del pittore Giuseppe Puricelli. Nel gennaio dell’anno seguente si iscrive all’Accademia di Brera, dove frequenta i corsi di disegno, prospettiva e chiaroscuro, ottenendo varie segnalazioni e premi. Nel 1884, sempre a Milano, studia alla Scuola superiore d’arte e nel 1885 è presente per la prima volta all’annuale esposizione di Brera. L’anno seguente il giovane artista sperimenta l’acquaforte e la litografia alla Famiglia Artistica. Nel 1887 decide di recarsi a Roma all’Accademia di San Luca. Insoddisfatto del livello degli insegnanti accademici, nel gennaio 1888 si trasferisce a Firenze per seguire le lezioni di Giovanni Fattori all’Accademia di Belle Arti. Conosce Silvestro Lega e Telemaco Signorini, che lo portano a conoscere i principi della pittura di macchia e dello studio dal vero. Nel 1888 decide di frequentare l’Accademia Carrara di Bergamo dove segue gli insegnamenti di Cesare Tallone. Verso la fine del 1890 si reca a Genova per iscriversi all’Accademia Ligustica: al soggiorno genovese risale l’esecuzione di alcune marine eseguite tra Sturla e Quarto. L’ambiente però non lo soddisfa e, pertanto, decide di fare rientro definitivamente a Volpedo. Nel 1892 all’Esposizione Colombiana di Genova, dove vince la medaglia d’oro con la grande tela dal titolo Mammine, incontra Nomellini, già seguace del Divisionismo, che lo incoraggia a seguire questa nuova tecnica pittorica al fine di conferire una maggiore luminosità alle sue opere. Tali incoraggiamenti sono ben accolti, al punto che nel 1893 inizia a sperimentare la tecnica divisionista. Nell’ultimo decennio dell’800 espone a Firenze, Milano, Venezia, Roma, Torino e San Pietroburgo e stringe amicizia con Segantini e Morbelli. Nel 1901, dopo aver partecipato alla IV Triennale di Milano, all’Esposizione Universale di Parigi ed essere stato premiato con la medaglia d’oro all’Esposizione di Monaco di Baviera, porta a compimento il quadro Il Quarto Stato. Il dipinto è inviato alla Quadriennale di Torino del 1902, senza però ottenere i riconoscimenti sperati. Nel 1906 espone alla Società Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma e all’Esposizione Internazionale di Milano. Nel febbraio 1907 muore il figlio terzogenito poco dopo essere nato. Al parto non sopravvive neanche la moglie Teresa. Provato nel profondo da tali perdite, il mattino del 14 giugno 1907 decide di togliersi la vita impiccandosi nel proprio studio di Volpedo.
Disegni, schizzi, chine e qualche olio: dopo un primo omaggio al grande artista piemontese con la mostra Pissarro l’anima dell’Impressionismo, allestita nelle Scuderie del Castello Visconteo, e il confronto tra il maestro impressionista e la sua Carità cristiana divisionista, di proprietà dei Musei ed esposta nella Quadreria dell’Ottocento, Giuseppe Pellizza da Volpedo ai Musei Civici di Pavia. Studi e bozzetti dalla Collezione Bellotti continua il viaggio nell’universo di Pellizza, fatto di pennelli e tavolozza ma anche e soprattutto di semplice quotidianità, con la famiglia, gli affetti, la campagna e il lavoro agricolo. E riporta alla luce le originali cromie e le minuziosità tecniche dell’artista.
L’alto livello qualitativo si nota nei lavori ad olio, come “Orizzonte”, in cui il processo di veduta documentaria assume un’enfasi personalissima, evocativa dell’interpretazione poetica del motivo naturale e al contempo ricca di forti connotazioni psicologiche ed emozionali – scrive Giosuè Allegrini nel testo di presentazione alla mostra –. Un naturalismo narrativo espresso come momento di analisi e sintesi di una realtà vissuta anche attraverso il ricordo, e in cui la luminosità del colore-luce domina emozionalmente la scena. Ne è un esempio “Vaso di fiori”, con la delicata cromia della composizione, le trasparenze dell’acqua e l’equilibrio compositivo del soggetto narrato che si staglia su uno sfondo monocromo.
In “Effetto di sole verso mezzogiorno – 29 febbraio 1892” ed “Effetto di sole”, realizzati in pieno periodo divisionista, Pellizza si dedica alle problematiche della rifrazione della luce scomposta nell’elemento naturale. Opere di rara immediatezza narrativa oltre che di forte connotazione psicologica, come se l’artista intendesse trasferirsi da un piano descrittivo, meramente fisico e materiale, ad uno intimamente ed emozionalmente immateriale. Un po’ come accade nella “Parete del mio studio / Volpedo 9 ½ del 29 - 8 - 1906”, una delle ultime opere composte da Pellizza, in cui l’artista si ritrae appoggiato al muro esattamente nella posizione in cui dieci mesi dopo sarà ritrovato privo di vita per aver consumato l’atto estremo. Le opere su carta si concentrano sulle figure: bambini, giovani, donne e uomini, sembianze lievemente accennate, oppure tracciate e cariche di profondo pathos espressivo. Dai particolari anatomici – nello specifico lo studio delle mani – Pellizza passa ai raffinati scorci vedutisti, agli animali domestici, alle armi, ai bozzetti caricaturali di militari, fino ai frutti della natura e agli alberi. Un infinito naturale che si sviluppa attraverso un gioco di velature, di toni densi e sfumature che conducono ad una lieve dissoluzione della forma.
Le opere su carta della collezione Bellotti – scrive Francesca Porreca nel testo di presentazione alla mostra – sono in questo senso importantissime per comprendere la maniera in cui Pellizza si approcciava al dato reale, fin dal periodo della formazione e poi oltre, traducendo l’esperienza quotidiana in una serie infinita di disegni: emerge subito la capacità di esaltare i profili dei volti attraverso un segno fitto e minuto, la modellazione per campiture luminose e lo studio sistematico degli elementi di figura - in special modo le mani, rese in moltissime varianti - ma anche le pieghe dei tessuti, nonché la fascinazione per gli effetti di controluce.
L’acuta osservazione della realtà, che poteva colpire l’attenzione dell’artista per un particolare atteggiamento delle figure o per un caratteristico effetto di luce, era sempre accompagnata dalla rigorosa disciplina formale con cui Pellizza studiava le proprie composizioni, senza accontentarsi dell’impressione immediata ma ricostruendo situazioni e gesti con l’aiuto di amici e modelle (oltre che attraverso il mezzo fotografico), con l’obiettivo di penetrare più a fondo il vero e comprenderne appieno l’intima struttura. L’esercizio quotidiano del disegno e il paziente ritorno sui medesimi soggetti era considerato da Pellizza fondamentale per appropriarsi della realtà e restituirla nel modo più vero.
Fitti di disegni sono i suoi taccuini, di cui in mostra si presentano alcuni fogli di pregio datati tra il 18 dicembre 1884 e il 9 maggio 1885, riconducibili ai primi anni di esercitazioni dal vero presso l’atelier di Puricelli: il giovane pittore predilige la ripresa di volti e di parti significative delle figura umana come le mani, che da questo momento in poi, abbandonata la più classica interpretazione accademica della mano che impugna il rotolo o la penna, diventano temi ricorrenti nella sua produzione grafica. Distintivo dei lavori di questi anni è anche l’utilizzo dell’inchiostro viola, che probabilmente attrasse Pellizza per la sua particolare resa cromatica e per la capacità di animare in modo efficace anche oggetti di uso quotidiano e drappi, studiati nei minimi dettagli delle pieghe e secondo varianti chiaroscurali e prospettiche in grado di dare profondità e forza espressiva al panneggio di un tessuto così come alla gestualità di una mano.
I forti contrasti luminosi sono ottenuti grazie ad un’attenta differenziazione tra zone scure definite da un tratto fittissimo e parti in luce delineate con segni più leggeri - peculiarità che, per le caratteristiche costruttive del segno, suggeriscono consonanze con la tecnica dell’acquaforte. Rispetto a questo nucleo di opere piuttosto omogeneo, il piccolo disegno raffigurante un paesaggio bergamasco è invece di qualche anno più tardo, riferibile al 1889, e testimonia la predilezione di Pellizza per paesaggi di vasto respiro anche nelle piccole dimensioni, con un taglio fortemente orizzontale che privilegia il netto stagliarsi del profilo delle montagne e la presenza delle nuvole in movimento. Lo stesso taglio si riscontra nella tavoletta Orizzonte o Paese (datata 1891), dipinta a olio con poche e veloci pennellate, probabilmente per cogliere l’impressione vivace del paesaggio e la straordinaria scansione di piani che riunisce in una sola ripresa la pianura, le montagne e le nuvole bianche. La volontà di catturare un preciso dettaglio atmosferico e determinate condizioni di luce accomuna infine i due bozzetti dedicati allo studio di differenti effetti di sole, in cui la composizione appare quasi astratta e il dato naturale risolto essenzialmente nell’impressione luminosa, ancora una volta parte di un percorso di analisi del vero destinata a confluire in una sintesi complessa.
La collezione Bellotti
Severino Bellotti (1900-1964), scrittore e critico d’arte bergamasco, oltre che pittore legato alle istanze del movimento “Novecento” – ossia a quel “Ritorno all’Ordine” veicolato da Margherita Sarfatti e alla corrente del “Realismo Magico” –, nel 1944 realizzò un approfondito saggio biografico su Giuseppe Pellizza da Volpedo per la collana “I maestri del colore” edito dall’Istituto Italiano D’Arti Grafiche di Bergamo, ed entrò in stretto contatto con le figlie Nerina e Maria Pellizza, di cui rimase fraterno amico. Da tale rapporto amicale e dalla lunga frequentazione nacque il corpus di opere di Pellizza raccolte da Bellotti. La collezione originaria, che contava 70 lavori fra olii, chine e disegni, alla scomparsa del Bellotti fu equamente ripartita tra le due figlie, Bianca e Antonia, prendendo percorsi e destini differenti. Le opere presenti in mostra al Castello Visconteo di Pavia provengono dalla collezione di Bianca Bellotti e sono di grande interesse documentario, perché raramente esposte al pubblico – anche se riportate nell’esaustivo catalogo generale dedicato a Giuseppe Pellizza da Volpedo, a cura di Aurora Scotti – .
Giuseppe Pellizza nasce il 28 luglio 1868 a Volpedo (AL). Nell’autunno del 1883 si trasferisce a Milano, dove visita spesso lo studio del pittore Giuseppe Puricelli. Nel gennaio dell’anno seguente si iscrive all’Accademia di Brera, dove frequenta i corsi di disegno, prospettiva e chiaroscuro, ottenendo varie segnalazioni e premi. Nel 1884, sempre a Milano, studia alla Scuola superiore d’arte e nel 1885 è presente per la prima volta all’annuale esposizione di Brera. L’anno seguente il giovane artista sperimenta l’acquaforte e la litografia alla Famiglia Artistica. Nel 1887 decide di recarsi a Roma all’Accademia di San Luca. Insoddisfatto del livello degli insegnanti accademici, nel gennaio 1888 si trasferisce a Firenze per seguire le lezioni di Giovanni Fattori all’Accademia di Belle Arti. Conosce Silvestro Lega e Telemaco Signorini, che lo portano a conoscere i principi della pittura di macchia e dello studio dal vero. Nel 1888 decide di frequentare l’Accademia Carrara di Bergamo dove segue gli insegnamenti di Cesare Tallone. Verso la fine del 1890 si reca a Genova per iscriversi all’Accademia Ligustica: al soggiorno genovese risale l’esecuzione di alcune marine eseguite tra Sturla e Quarto. L’ambiente però non lo soddisfa e, pertanto, decide di fare rientro definitivamente a Volpedo. Nel 1892 all’Esposizione Colombiana di Genova, dove vince la medaglia d’oro con la grande tela dal titolo Mammine, incontra Nomellini, già seguace del Divisionismo, che lo incoraggia a seguire questa nuova tecnica pittorica al fine di conferire una maggiore luminosità alle sue opere. Tali incoraggiamenti sono ben accolti, al punto che nel 1893 inizia a sperimentare la tecnica divisionista. Nell’ultimo decennio dell’800 espone a Firenze, Milano, Venezia, Roma, Torino e San Pietroburgo e stringe amicizia con Segantini e Morbelli. Nel 1901, dopo aver partecipato alla IV Triennale di Milano, all’Esposizione Universale di Parigi ed essere stato premiato con la medaglia d’oro all’Esposizione di Monaco di Baviera, porta a compimento il quadro Il Quarto Stato. Il dipinto è inviato alla Quadriennale di Torino del 1902, senza però ottenere i riconoscimenti sperati. Nel 1906 espone alla Società Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma e all’Esposizione Internazionale di Milano. Nel febbraio 1907 muore il figlio terzogenito poco dopo essere nato. Al parto non sopravvive neanche la moglie Teresa. Provato nel profondo da tali perdite, il mattino del 14 giugno 1907 decide di togliersi la vita impiccandosi nel proprio studio di Volpedo.
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