Marco Lodola. Ponticino
Dal 07 Settembre 2014 al 21 Settembre 2014
Pavia
Luogo: Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto
Indirizzo: piazza Cavagneria
Orari: da martedì a venerdì 17-30-20.30; mercoledì fino alle 23; sabato e domenica 11-13 / 17.30-20.30
Enti promotori:
- Comune di Pavia - Settore Cultura
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0382 399424
E-Mail info: chiara.argenteri@comune.pv.it
Sito ufficiale: http://www.comune.pv.it
Un artista: l’eclettico Marco Lodola, maestro della luce. Un’idea: rifare il maquillage al Ponte dell’Impero di Pavia, un ponte come una tela bianca, sulla quale lavorare, con la luce e l’aria. La sua realizzazione: Ponticino, un ponte che appoggia il concetto tipicamente futurista che si possa ridisegnare la percezione del tempo e dello spazio.
Domenica 7 settembre 2014, dalle ore 18, in piazza Cavagneria e poi nello Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto di Pavia, Marco Lodola racconta alla città il suo nuovo progetto di arte pubblica: l’installazione luminosa per il Ponte dell’Impero di Pavia. Ponticino – così ha scelto di chiamarlo l’artista – è un omaggio al Fiume blu ma anche al ponte che sovrasta le acque turbolente, e che acquista una sua identità, tutta particolare.
La serata si apre, sul palco allestito in Piazza Cavagneria, con il concerto dei Fluon e di Beatrice Antolini, e continua, dopo un’introduzione di Giacomo Galazzo, Assessore alla Cultura del Comune di Pavia, con una conversazione tra l’artista Marco Lodola, Red Ronnie ed Enzo Iacchetti. A seguire, l’inaugurazione della mostra fotografica, nello Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto, che illustra le diverse fasi di lavorazione del progetto luminoso, accompagnata dalla performance pittorica del Gruppo Fu*Turista (IUCU, Lele Picà, Alessandro D’Aquila), che dipingerà una riproduzione del ponte. Ponticino sarà acceso la sera stessa, prima del gran finale della Festa del Ticino 2014, con il consueto spettacolo pirotecnico. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira, realizzato grazie alla Fondazione Banca del Monte, con testi di presentazione di Chiara Argenteri e Susanna Zatti, e gli interventi di Achille Bonito Oliva, Gillo Dorfles, Vittorio Sgarbi, Luca Beatrice, Mino Milani e degli artisti Max Pezzali, Ron e Drupi.
Esposti fino al 21 settembre 2014, e inseriti in un allestimento in chiave futurista (curato dall’architetto Carlo Golgi), sono una trentina di scatti fotografici realizzati da Marcella Milani, Graziano Perotti e Bianca Lodola che illustrano, attraverso l’occhio del fotografo-artista, le diverse fasi di lavorazione di Ponticino. Accanto, come trait d’union con il passato e la memoria storica, sono inserite alcune immagini d’epoca del Ponte dell’Impero, tratte dall’Archivio Chiolini, testimone “ufficiale” delle realizzazioni urbanistiche pavesi del Ventennio e poi fotografo principe della vita cittadina, e conservate presso la Fototeca storica dei Musei civici del Castello Visconteo.
Nato con il trionfalistico nome di Ponte dell’Impero, ribattezzato con la beneaugurante intitolazione alla Libertà, sino ad ora chiamato correntemente dai pavesi Ponte Nuovo – in contrapposizione con quello trecentesco e malgrado il tracciato della tangenziale nord ancora di recente abbia scavalcato il fiume-, ecco ora il “ponticino” – scrive Susanna Zatti nel testo di presentazione al catalogo –. Un termine che ne sintetizza con grande efficacia i caratteri essenziali – è un ponte ed è sul fiume Ticino- e che, con quel diminutivo e quasi vezzeggiativo, rende familiare un manufatto altrimenti piuttosto anonimo e poco significante per i pavesi: i quali, quando pensano ad un ponte, pensano a quello coperto, il ponte per antonomasia, simbolo indiscusso della storia e dell’iconografia cittadine. Sia per l’ornato architettonico e la monumentalità, sia per le dimensioni, questo è un ponte modesto, che ha sofferto di un complesso d’inferiorità a fronte del ben più caratteristico e prediletto dirimpettaio: così Lodola lo ha voluto riscattare dall’indifferenza e dal grigiore e gli ha attribuito una spiccata personalità ironica e giocosa, sottolineandolo e rendendolo evidente grazie ai colori fluorescenti. E’ un’operazione condotta in pieno spirito pop – e anche futurista: ma si sa quanto i popists nostrani abbiano ripreso quell’avanguardia italiana, di cui condividevano appieno il tono dissacrante- , non esente da quel tanto di kitsch che spesso si accompagna a rivisitazioni estetiche un po’ scanzonate, che mirano a calamitare l’occhio, colpire l’attenzione del passante, obbligandolo non soltanto a vedere ma finalmente a guardare.
Marco Lodola, creatore di storie che brillano, artista e novelliere, scultore e prosatore è abituato alle grandi scommesse con la public art – scrive Chiara Argenteri nel testo di presentazione al catalogo –. Negli anni, ha allestito la facciata dell’Ariston e del Casinò per il 58esimo Festival di Sanremo, ha creato dal nulla Rock’n’Music Planet, in Piazza del Duomo a Milano, il primo museo rock d’Europa itinerante, con 25 sculture a rappresentare i miti musicali. E ha addirittura personalizzato una casa veneziana alla 54esima edizione della Biennale, con il progetto Cà Lodola (a cura di Vittorio Sgarbi). Senza dimenticare l’oca luminosa per il Polo Intermodale di Mortara, l’installazione “Balletto plastico” dedicata al Teatro Futurista, alla 53esima Biennale di Venezia, e la personale “Lodolandia” al Castello Sforzesco di Milano, dove accanto ai lavori esposti nelle sale l’artista aveva progettato una ventina di sculture luminose di grande formato (realizzate in lamiera di metallo e lastre di policarbonato), sparse per la città. Le opere disegnavano un percorso tra piazze e strade, nell’intento di dialogare col capoluogo meneghino e di illuminare la città in un programma di “cosmesi urbana”, dove l’arte può arrivare a tutti, entrare concretamente nel quotidiano. (...) Oggi, per il ponte pavese, Lodola ha scelto un paio d’ali (con un’anima in metallo), simbolo di libertà e firma dell’artista, lampo di luce colorata che brilla (all’inizio del ponte) di un fucsia intenso, come dire a chi sta per attraversare: “Attenzione, qui si rischia di incorrere nella libertà e vanno indossate un paio d’ali!”. Il fucsia si contrappone all’atmosfera impalpabile, fluida, leggerissima che avvolge l’intera architettura: libero e leggero da ogni zavorra, sembra come fluttuare e danzare sospeso; una sorta di materia immateriale tutta giocata sul blu (nei lati) e il giallo (sotto le arcate). Il blu, come diceva Kandinsky, è il colore che più di tutti regala il senso di profondità e rappresenta l’immensità, gli abissi, e dunque l’acqua del Ticino che, come il tempo, scorre inesorabile. Il giallo è invece il sole, quello di Van Gogh, che fa risplendere qualsiasi cosa sfiori. Blu e giallo, inoltre, sono tonalità complementari e nel gioco di luci di Lodola ci sono punti in cui si incontrano e si mischiano insieme e danno il verde, che è il colore della terra, quella dove si atterra dopo questo viaggio sul “ponticino”.
Domenica 7 settembre 2014, dalle ore 18, in piazza Cavagneria e poi nello Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto di Pavia, Marco Lodola racconta alla città il suo nuovo progetto di arte pubblica: l’installazione luminosa per il Ponte dell’Impero di Pavia. Ponticino – così ha scelto di chiamarlo l’artista – è un omaggio al Fiume blu ma anche al ponte che sovrasta le acque turbolente, e che acquista una sua identità, tutta particolare.
La serata si apre, sul palco allestito in Piazza Cavagneria, con il concerto dei Fluon e di Beatrice Antolini, e continua, dopo un’introduzione di Giacomo Galazzo, Assessore alla Cultura del Comune di Pavia, con una conversazione tra l’artista Marco Lodola, Red Ronnie ed Enzo Iacchetti. A seguire, l’inaugurazione della mostra fotografica, nello Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto, che illustra le diverse fasi di lavorazione del progetto luminoso, accompagnata dalla performance pittorica del Gruppo Fu*Turista (IUCU, Lele Picà, Alessandro D’Aquila), che dipingerà una riproduzione del ponte. Ponticino sarà acceso la sera stessa, prima del gran finale della Festa del Ticino 2014, con il consueto spettacolo pirotecnico. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira, realizzato grazie alla Fondazione Banca del Monte, con testi di presentazione di Chiara Argenteri e Susanna Zatti, e gli interventi di Achille Bonito Oliva, Gillo Dorfles, Vittorio Sgarbi, Luca Beatrice, Mino Milani e degli artisti Max Pezzali, Ron e Drupi.
Esposti fino al 21 settembre 2014, e inseriti in un allestimento in chiave futurista (curato dall’architetto Carlo Golgi), sono una trentina di scatti fotografici realizzati da Marcella Milani, Graziano Perotti e Bianca Lodola che illustrano, attraverso l’occhio del fotografo-artista, le diverse fasi di lavorazione di Ponticino. Accanto, come trait d’union con il passato e la memoria storica, sono inserite alcune immagini d’epoca del Ponte dell’Impero, tratte dall’Archivio Chiolini, testimone “ufficiale” delle realizzazioni urbanistiche pavesi del Ventennio e poi fotografo principe della vita cittadina, e conservate presso la Fototeca storica dei Musei civici del Castello Visconteo.
Nato con il trionfalistico nome di Ponte dell’Impero, ribattezzato con la beneaugurante intitolazione alla Libertà, sino ad ora chiamato correntemente dai pavesi Ponte Nuovo – in contrapposizione con quello trecentesco e malgrado il tracciato della tangenziale nord ancora di recente abbia scavalcato il fiume-, ecco ora il “ponticino” – scrive Susanna Zatti nel testo di presentazione al catalogo –. Un termine che ne sintetizza con grande efficacia i caratteri essenziali – è un ponte ed è sul fiume Ticino- e che, con quel diminutivo e quasi vezzeggiativo, rende familiare un manufatto altrimenti piuttosto anonimo e poco significante per i pavesi: i quali, quando pensano ad un ponte, pensano a quello coperto, il ponte per antonomasia, simbolo indiscusso della storia e dell’iconografia cittadine. Sia per l’ornato architettonico e la monumentalità, sia per le dimensioni, questo è un ponte modesto, che ha sofferto di un complesso d’inferiorità a fronte del ben più caratteristico e prediletto dirimpettaio: così Lodola lo ha voluto riscattare dall’indifferenza e dal grigiore e gli ha attribuito una spiccata personalità ironica e giocosa, sottolineandolo e rendendolo evidente grazie ai colori fluorescenti. E’ un’operazione condotta in pieno spirito pop – e anche futurista: ma si sa quanto i popists nostrani abbiano ripreso quell’avanguardia italiana, di cui condividevano appieno il tono dissacrante- , non esente da quel tanto di kitsch che spesso si accompagna a rivisitazioni estetiche un po’ scanzonate, che mirano a calamitare l’occhio, colpire l’attenzione del passante, obbligandolo non soltanto a vedere ma finalmente a guardare.
Marco Lodola, creatore di storie che brillano, artista e novelliere, scultore e prosatore è abituato alle grandi scommesse con la public art – scrive Chiara Argenteri nel testo di presentazione al catalogo –. Negli anni, ha allestito la facciata dell’Ariston e del Casinò per il 58esimo Festival di Sanremo, ha creato dal nulla Rock’n’Music Planet, in Piazza del Duomo a Milano, il primo museo rock d’Europa itinerante, con 25 sculture a rappresentare i miti musicali. E ha addirittura personalizzato una casa veneziana alla 54esima edizione della Biennale, con il progetto Cà Lodola (a cura di Vittorio Sgarbi). Senza dimenticare l’oca luminosa per il Polo Intermodale di Mortara, l’installazione “Balletto plastico” dedicata al Teatro Futurista, alla 53esima Biennale di Venezia, e la personale “Lodolandia” al Castello Sforzesco di Milano, dove accanto ai lavori esposti nelle sale l’artista aveva progettato una ventina di sculture luminose di grande formato (realizzate in lamiera di metallo e lastre di policarbonato), sparse per la città. Le opere disegnavano un percorso tra piazze e strade, nell’intento di dialogare col capoluogo meneghino e di illuminare la città in un programma di “cosmesi urbana”, dove l’arte può arrivare a tutti, entrare concretamente nel quotidiano. (...) Oggi, per il ponte pavese, Lodola ha scelto un paio d’ali (con un’anima in metallo), simbolo di libertà e firma dell’artista, lampo di luce colorata che brilla (all’inizio del ponte) di un fucsia intenso, come dire a chi sta per attraversare: “Attenzione, qui si rischia di incorrere nella libertà e vanno indossate un paio d’ali!”. Il fucsia si contrappone all’atmosfera impalpabile, fluida, leggerissima che avvolge l’intera architettura: libero e leggero da ogni zavorra, sembra come fluttuare e danzare sospeso; una sorta di materia immateriale tutta giocata sul blu (nei lati) e il giallo (sotto le arcate). Il blu, come diceva Kandinsky, è il colore che più di tutti regala il senso di profondità e rappresenta l’immensità, gli abissi, e dunque l’acqua del Ticino che, come il tempo, scorre inesorabile. Il giallo è invece il sole, quello di Van Gogh, che fa risplendere qualsiasi cosa sfiori. Blu e giallo, inoltre, sono tonalità complementari e nel gioco di luci di Lodola ci sono punti in cui si incontrano e si mischiano insieme e danno il verde, che è il colore della terra, quella dove si atterra dopo questo viaggio sul “ponticino”.
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