Matteo Peretti. L’Ironia del Sapere (volume Uno e volume Due)
Dal 27 Giugno 2015 al 27 Settembre 2015
Spoleto | Perugia
Luogo: Palazzo Collicola Arti Visive
Indirizzo: piazza Collicola 1
Orari: 10.30-13 / 15.30 - 19; chiuso martedì
Curatori: Gianluca Marziani
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0743 46434
E-Mail info: info@palazzocollicola.it
Sito ufficiale: http://www.palazzocollicola.it
L’Ironia del Sapere (volume Uno e volume Due) è il titolo della doppia retrospettiva dedicata alla produzione di Matteo Peretti, presentata presso Palazzo Collicola Arti Visive di Spoleto, dal 27 giugno al 27 settembre, a cura di Gianluca Marziani, e dal 8 luglio al 31 luglio presso il museo PAN, Palazzo delle Arti di Napoli, a cura di Alfredo Cramerotti. Un unico catalogo raccoglierà l’intera produzione dell’artista, incluso il progetto di performance dal titolo “Samarcanda”, realizzato a Venezia durante la Biennale Internazionale d’Arte del 2015. Il libro verrà presentato il prossimo autunno in alcune sedi museali delle principali città italiane.
L’Ironia del Sapere è un percorso cognitivo nel quale diversi linguaggi interagiscono, minando le basi cognitive preesistenti e creando nuova conoscenza negli spettatori. È necessaria la piena comprensione del termine inglese sociology of knowledge (sociologia della conoscenza) per cogliere la linea portante del pensiero dietro il titolo. La sociologia della conoscenza è lo studio del rapporto tra il pensiero umano e il contesto sociale nel quale esso prende vita, nonché degli effetti che le idee prevalenti o paradigmi dominanti hanno sulle società contemporanee, affrontando così i condizionamenti che la società può avere sulle vite di ciascun individuo.
È quindi la società contemporanea il traino che orienta l’opera di Peretti: un’attitudine che si incentra sulla costante raccolta di oggetti di vita quotidiana, residui di azioni comuni. Un vero cannibalismo scultoreo, funzionale ad una narrazione della crisi attuale, giocato su apparenze ludiche, di stampo pop, che offrono un’acuta critica sulla società delle apparenze. Le serie Playground e Synthetic Brains, opere volumetriche da cui straripano flussi di oggetti e informazioni, paiono domandare allo spettatore: quale delle nostre cose è realmente necessaria?
La reazione dell’artista azzera la percezione: oggetti e giocattoli vengono così coperti da una colata lavica di colore che tutto appiattisce e annulla. L’eleganza formale e lo studio dei codici iconografici travalica la semplice provocazione, sulla scia degli assemblaggi dadaisti, per costituirsi come una riflessione densa, e giocosa al tempo stesso, sulla vita umana e le sue innumerevoli sfaccettature.
Ironia deriva dal greco eironeia, dissimulazione, ovvero, incongruità con il significato immediato delle cose, un andare oltre la semplice evidenza del termine. Diventa, dunque, strumento indispensabile per scardinare i processi cognitivi sedimentati, e creare un nuovo sguardo sul mondo. L’opera di Peretti osserva la quotidianità di tutti noi con un sorriso ironico: gioca con la vita, l’arte gioca con noi e noi giochiamo con lei, perché, alla fine, solo giocando s’impara. L’estrapolazione diretta degli oggetti provenienti dal vivere quotidiano, senza sostanziali alterazioni, provoca una rottura più diretta dei dominant paradigms, cortocircuiti tra pe rcezione e realtà per creare inedite associazioni. L’amaca di 62 kg, peso dell’artista, s’infrange con una condizione non quantificabile, la libertà umana in Se la Libertà avesse un Peso; le 1764 bottiglie di acqua minerale di Volumes:Water incatenano un elemento libero e non commercializzabile. Affermazione e il suo contrario, il processo ironico implica alterazione e negazione dei codici imposti, dove l’aspetto ludico nasconde una verità più amara, implicazioni non solo sociali o politiche ma umane, individuali. Nelle performances la fruizione implica un secondo sguardo dietro l’approccio superficiale, come avviene nel processo ironico: il black bloc di Fede Incontrollabile non è colto nell’attimo dell’azione violenta ma prega, immobile, spinto dalla fede nel cambiamento del mondo in cui vive. È pentito delle sue azioni oppure cerca nella propria spiritualità un incentivo all’azione? Altre opere richiamano le esperienze personali dell’artista, i suoi sogni e i suoi ricordi, spesso legati alla sua infanzia. La dimensione ludica è in tal caso funzionale all’espressione di una condizione infantile: ma l’ironia lascia spazio alla nostalgia, a una riflessione su temi più ampi quali la crescita e l’educazione dei bambini. La serie dei Giacigli si riferisce a momenti storici specifici, legati all’esistenza dell’artista: non sono oggetti ma luoghi di riposo nei quali l’infanzia dell’artista viene richiamata da piccoli monili come la coperta dei Puffi, un vecchio baule, una fototessera di lui bambino. Tali oggetti assurgono a simboli di una generazione, parlano di sogni e speranze, delle difficoltà che incontrano nel cammino; come avviene in The End of Myth, opera che si concentra su un trauma decisivo, la consapevolezza della crescita: e allora ecco il tenero Winnie the Pooh brutalmente inchiodato, crocefisso, divenuto icona di un tempo ormai finito.
Matteo Peretti nasce a Roma nel 1975. Dopo la Laurea in Arti Visive presso l’Università di Oberlin, sotto la guida di John Pearson ed Athena Tacha, nel 1998 tiene la sua prima personale a New York, città dove opera per oltre un anno. Si sposta quindi a Londra ottenendo un Master in Fine Arts presso la Central Saint Martins School of Art nel 200, realizza due personali e partecipa alla Biennale di Venezia 2003 in un progetto curato da Angela Vettese. Nel 2005 è socio-fondatore del GIGA (Gruppo Italiano Giovani Artisti). Diverse le mostre personali in spazi privati e istituzionali (Palazzo Reale a Milano, Ex-Aurum a Pescara, Palazzo Venezia a Roma, Castel dell’Ovo a Napoli). Negli ultimi anni le sue opere sono entrate in collezioni italiane e internazionali. Una sua installazione è presente nella Collezione 2.0 di Palazzo Collicola Arti Visive.
L’Ironia del Sapere è un percorso cognitivo nel quale diversi linguaggi interagiscono, minando le basi cognitive preesistenti e creando nuova conoscenza negli spettatori. È necessaria la piena comprensione del termine inglese sociology of knowledge (sociologia della conoscenza) per cogliere la linea portante del pensiero dietro il titolo. La sociologia della conoscenza è lo studio del rapporto tra il pensiero umano e il contesto sociale nel quale esso prende vita, nonché degli effetti che le idee prevalenti o paradigmi dominanti hanno sulle società contemporanee, affrontando così i condizionamenti che la società può avere sulle vite di ciascun individuo.
È quindi la società contemporanea il traino che orienta l’opera di Peretti: un’attitudine che si incentra sulla costante raccolta di oggetti di vita quotidiana, residui di azioni comuni. Un vero cannibalismo scultoreo, funzionale ad una narrazione della crisi attuale, giocato su apparenze ludiche, di stampo pop, che offrono un’acuta critica sulla società delle apparenze. Le serie Playground e Synthetic Brains, opere volumetriche da cui straripano flussi di oggetti e informazioni, paiono domandare allo spettatore: quale delle nostre cose è realmente necessaria?
La reazione dell’artista azzera la percezione: oggetti e giocattoli vengono così coperti da una colata lavica di colore che tutto appiattisce e annulla. L’eleganza formale e lo studio dei codici iconografici travalica la semplice provocazione, sulla scia degli assemblaggi dadaisti, per costituirsi come una riflessione densa, e giocosa al tempo stesso, sulla vita umana e le sue innumerevoli sfaccettature.
Ironia deriva dal greco eironeia, dissimulazione, ovvero, incongruità con il significato immediato delle cose, un andare oltre la semplice evidenza del termine. Diventa, dunque, strumento indispensabile per scardinare i processi cognitivi sedimentati, e creare un nuovo sguardo sul mondo. L’opera di Peretti osserva la quotidianità di tutti noi con un sorriso ironico: gioca con la vita, l’arte gioca con noi e noi giochiamo con lei, perché, alla fine, solo giocando s’impara. L’estrapolazione diretta degli oggetti provenienti dal vivere quotidiano, senza sostanziali alterazioni, provoca una rottura più diretta dei dominant paradigms, cortocircuiti tra pe rcezione e realtà per creare inedite associazioni. L’amaca di 62 kg, peso dell’artista, s’infrange con una condizione non quantificabile, la libertà umana in Se la Libertà avesse un Peso; le 1764 bottiglie di acqua minerale di Volumes:Water incatenano un elemento libero e non commercializzabile. Affermazione e il suo contrario, il processo ironico implica alterazione e negazione dei codici imposti, dove l’aspetto ludico nasconde una verità più amara, implicazioni non solo sociali o politiche ma umane, individuali. Nelle performances la fruizione implica un secondo sguardo dietro l’approccio superficiale, come avviene nel processo ironico: il black bloc di Fede Incontrollabile non è colto nell’attimo dell’azione violenta ma prega, immobile, spinto dalla fede nel cambiamento del mondo in cui vive. È pentito delle sue azioni oppure cerca nella propria spiritualità un incentivo all’azione? Altre opere richiamano le esperienze personali dell’artista, i suoi sogni e i suoi ricordi, spesso legati alla sua infanzia. La dimensione ludica è in tal caso funzionale all’espressione di una condizione infantile: ma l’ironia lascia spazio alla nostalgia, a una riflessione su temi più ampi quali la crescita e l’educazione dei bambini. La serie dei Giacigli si riferisce a momenti storici specifici, legati all’esistenza dell’artista: non sono oggetti ma luoghi di riposo nei quali l’infanzia dell’artista viene richiamata da piccoli monili come la coperta dei Puffi, un vecchio baule, una fototessera di lui bambino. Tali oggetti assurgono a simboli di una generazione, parlano di sogni e speranze, delle difficoltà che incontrano nel cammino; come avviene in The End of Myth, opera che si concentra su un trauma decisivo, la consapevolezza della crescita: e allora ecco il tenero Winnie the Pooh brutalmente inchiodato, crocefisso, divenuto icona di un tempo ormai finito.
Matteo Peretti nasce a Roma nel 1975. Dopo la Laurea in Arti Visive presso l’Università di Oberlin, sotto la guida di John Pearson ed Athena Tacha, nel 1998 tiene la sua prima personale a New York, città dove opera per oltre un anno. Si sposta quindi a Londra ottenendo un Master in Fine Arts presso la Central Saint Martins School of Art nel 200, realizza due personali e partecipa alla Biennale di Venezia 2003 in un progetto curato da Angela Vettese. Nel 2005 è socio-fondatore del GIGA (Gruppo Italiano Giovani Artisti). Diverse le mostre personali in spazi privati e istituzionali (Palazzo Reale a Milano, Ex-Aurum a Pescara, Palazzo Venezia a Roma, Castel dell’Ovo a Napoli). Negli ultimi anni le sue opere sono entrate in collezioni italiane e internazionali. Una sua installazione è presente nella Collezione 2.0 di Palazzo Collicola Arti Visive.
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