DUE (S)OGGETTI NON POSSONO OCCUPARE IL MEDESIMO SPAZIO
Dal 10 Aprile 2022 al 29 Luglio 2022
Pistoia
Luogo: Galleria ME Vannucci
Indirizzo: Via Gorizia 122
Orari: da mercoledì a sabato 09.30-12.00 / 16.30-19.30. Domenica, lunedì e martedì su appuntamento. Per garantire la massima sicurezza è necessario comunicare la visita alla mostra
Curatori: Alberto Zanchetta
Telefono per informazioni: +39 057320066 / 3356745185
E-Mail info: info@vannucciartecontemporanea.com
Sito ufficiale: http://www.vannucciartecontemporanea.com
Inaugura domenica 10 aprile la mostra DUE (S)OGGETTI NON POSSONO OCCUPARE IL MEDESIMO SPAZIO a cura di Alberto Zanchetta alla Galleria ME Vannucci di Pistoia.
Premesso che un concetto può traslarsi in un oggetto, ma più difficilmente in un soggetto, l’opera d’arte tende a concettualizzare gli oggetti e a oggettualizzare i concetti. Proprio per questo motivo, l’esposizione ricorre ai linguaggi della scultura, della pittura e della fotografia intendendo dimostrare come, a prescindere da tutto, l’opera d’arte sia sempre un oggetto fisico.
Le opere di questa mostra occupano – di peso e con forza – lo spazio espositivo della galleria; è questo il caso dell’installazione di Paolo Grassino (Torino, 1967) che vorrebbe edificare sugli errori e gli orrori della storia, riducendo pur tuttavia l’identità degli individui a una lapidaria “rovina”. Nelle sculture di Aron Demetz (Selva di Val Gardena, 1972) vediamo come l’essenzialità entri nelle pieghe del corpo e del tempo, offrendoci delle forme che ibridano la geologia con la morfologia umana. Anche l’imponente impalcatura di Giovanni Termini (Assoro, 1972) chiama in causa la componente antropica e la fragilità dell’esistenza, fattori che vengono condensati in un enigma visivo che non intende svelarsi e di-spiegarsi completamente. Un rumore di fondo permea le opere di Jacopo Mazzonelli (Trento, 1983) il quale trasforma strumenti musicali in materia muta e sorda. E malgrado la scultura si sforzi di essere “cosa” – e non rappresentazione – ci sono oggetti impossibili che non possono esistere nella realtà; ce lo dimostra Igor Eskinja (Rijeka- Croazia, 1975) con le sue anamorfosi che solo l’otturatore fotografico riesce a fissare nel tempo e nello spazio. Sul versante della pittura, Marco Tirelli (Roma, 1956) “scolpisce” attraverso la luce [s]oggetti che illanguidiscono in una surrettizia tridimensionalità mentre Giorgio Griffa (Torino, 1936) rinuncia al serraglio del telaio per liberare la pittura e farne un oggetto fisico, oltre che un soggetto autoreferenziale.
Come scriveva Stanislas Fumet: «In arte, l’oggetto è tutto, è vero, ma non si oppone per nulla al soggetto; più spesso, al contrario, lo provoca. [...] L’oggetto è lo scopo autentico che l’artista persegue. È l’oggetto che, con il suo essere elevato o infimo, determina, di conseguenza, il livello dell’opera».
Premesso che un concetto può traslarsi in un oggetto, ma più difficilmente in un soggetto, l’opera d’arte tende a concettualizzare gli oggetti e a oggettualizzare i concetti. Proprio per questo motivo, l’esposizione ricorre ai linguaggi della scultura, della pittura e della fotografia intendendo dimostrare come, a prescindere da tutto, l’opera d’arte sia sempre un oggetto fisico.
Le opere di questa mostra occupano – di peso e con forza – lo spazio espositivo della galleria; è questo il caso dell’installazione di Paolo Grassino (Torino, 1967) che vorrebbe edificare sugli errori e gli orrori della storia, riducendo pur tuttavia l’identità degli individui a una lapidaria “rovina”. Nelle sculture di Aron Demetz (Selva di Val Gardena, 1972) vediamo come l’essenzialità entri nelle pieghe del corpo e del tempo, offrendoci delle forme che ibridano la geologia con la morfologia umana. Anche l’imponente impalcatura di Giovanni Termini (Assoro, 1972) chiama in causa la componente antropica e la fragilità dell’esistenza, fattori che vengono condensati in un enigma visivo che non intende svelarsi e di-spiegarsi completamente. Un rumore di fondo permea le opere di Jacopo Mazzonelli (Trento, 1983) il quale trasforma strumenti musicali in materia muta e sorda. E malgrado la scultura si sforzi di essere “cosa” – e non rappresentazione – ci sono oggetti impossibili che non possono esistere nella realtà; ce lo dimostra Igor Eskinja (Rijeka- Croazia, 1975) con le sue anamorfosi che solo l’otturatore fotografico riesce a fissare nel tempo e nello spazio. Sul versante della pittura, Marco Tirelli (Roma, 1956) “scolpisce” attraverso la luce [s]oggetti che illanguidiscono in una surrettizia tridimensionalità mentre Giorgio Griffa (Torino, 1936) rinuncia al serraglio del telaio per liberare la pittura e farne un oggetto fisico, oltre che un soggetto autoreferenziale.
Come scriveva Stanislas Fumet: «In arte, l’oggetto è tutto, è vero, ma non si oppone per nulla al soggetto; più spesso, al contrario, lo provoca. [...] L’oggetto è lo scopo autentico che l’artista persegue. È l’oggetto che, con il suo essere elevato o infimo, determina, di conseguenza, il livello dell’opera».
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