Vincenzo Latina. Una costellazione in terra Il memoriale delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa

Vincenzo Latina. Una costellazione in terra Il memoriale delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, Museo Nazionale di Ravenna

 

Dal 21 June 2025 al 21 September 2025

Ravenna

Luogo: Museo Nazionale di Ravenna

Indirizzo: Via San Vitale 17

Orari: martedì, mercoledì, sabato e domenica, dalle 8:30 alle 14:00; giovedì e venerdì: dalle 8:30 alle 19:30; prima domenica del mese: dalle 8.30 alle 19.30

Enti promotori:

  • Ravenna Festival
  • Istituto Nazionale di Architettura-Sezione Emilia-Romagna

Costo del biglietto: Ingresso singolo € 6 (biglietto di ingresso al Museo Nazionale di Ravenna + mostra) Evento gratuito per gli abbonati (abbonamento annuale € 10, in vendita presso la biglietteria) e per tutte le altre gratuità di Legge

Telefono per informazioni: +39 0544 213902

E-Mail info: prenotazioni@ravennantica.org,


In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, venerdì 20 giugno è stata inaugurata al Museo Nazionale di Ravenna la mostra dal titolo “Vincenzo Latina. Una costellazione in terra - Il memoriale delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa”, promossa da Ravenna Festival e dall’Istituto Nazionale di Architettura-Sezione Emilia-Romagna, in collaborazione con i Musei nazionali di Ravenna e l’Ordine degli Architetti PPC di Ravenna, con il patrocinio del Comune di Lampedusa e Linosa e il contributo di Botticino Stone District e Rotary Club Valle Sabbia Centenario.
L’esposizione, aperta fino al 21 settembre, accompagna il pubblico alla scoperta del progetto di “risanamento” delle cave di pietra nella parte più meridionale dell’isola di Lampedusa, voluto per commemorare la tragedia che coinvolse 368 persone, bambini, donne e uomini, che persero la vita nel naufragio che avvenne a mezzo miglio dalla costa dell’isola il 3 ottobre 2013. A cura di Gioia Gattamorta, Presidente di IN/Arch Emilia-Romagna, la mostra si sviluppa lungo le due gallerie al primo piano dell’ex monastero benedettino di San Vitale, e racconta il progetto di restauro e riqualificazione che Vincenzo Latina ha compiuto su un’area degradata dell’isola, negli anni ridotta a discarica e oggi trasformata in teatro collettivo delle migrazioni, delle aspirazioni e delle tragedie, ma anche in una piazza delle culture che celebra l’incontro tra i popoli.

Ad aprire la conferenza di inaugurazione nella sala del refettorio gremita di autorità, architetti, storici e cittadini, è stata Serena Ciliani, architetto e direttore di sito del Museo Nazionale di Ravenna: «Sono felice che il museo abbia per la prima volta potuto ospitare una mostra dedicata all’architettura. Il progetto di Vincenzo Latina non restituisce solo uno spazio alle persone, ma un senso profondo al nostro fare»Luca Frontali, presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Ravenna, ha ringraziato dell’accoglienza augurandosi che l’Ordine possa tornare ancora in questa sede per eventi altrettanto significativi legati all’architettura contemporanea. Quindi ha preso parola Gioia Gattamorta, curatrice della mostra, che ha presentato la figura di Vincenzo Latina, docente all'Università di Catania, saggista, autore di pregevoli innesti di architettura contemporanea nei tessuti urbani antichi che gli hanno valso riconoscimenti nazionali e internazionali: «Vincenzo Latina si autodefinisce un architetto “traduttore” la cui finalità non è tanto quella di inventare ma di trasformare-traducendo ciò che la storia (architetture e città) e la natura chiedono all’architetto consapevole e rispettoso dei loro rispettivi valori: ri-produrre producendo il nuovo. Ne è l’esempio il restauro della Cava di Lampedusa ove natura e “rovina” – intesa come esito dell’azione dell’uomo – fanno un tutt’uno. La Cava così trasformata è una dimostrazione di come il fare architettura non sia, e non debba essere, una produzione di “archi-scultura”, cioè di opere autonome e autoreferenziali, ma la realizzazione di un fine sociale. In questo si riconoscono il pensiero e l’azione dell’architetto Bruno Zevi, fondatore di IN/Arch: un Istituto culturale riconosciuto con decreto del Presidente della Repubblica che ancora oggi si impegna per la salvaguardia del valore collettivo, umano ed umanistico, del fare Architettura». La curatrice ha quindi lasciato la parola a Carlo Quintelli, professore ordinario all’Università di Parma, che nel suo intervento Theatrum Memoriae ha parlato del «memoriale come uno dei temi più difficili da affrontare in architettura, che da un lato è memoria e dall’altro è ammonimento, da un lato sollecita l’emotività, mentre dall’altro stimola il ragionamento. Questo è un memoriale per le vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 ma è anche un memoriale delle migrazioni. Latina va alla ricerca di un luogo, non per inserire il proprio gesto, ma per disvelare qualcosa. Non a caso sostiene che questa cava è un luogo parlante ed egli lo ascolta, riuscendo a realizzare un intervento dove non c’è nulla di più e nulla di meno di ciò che serve. C’è un simbolismo arcaico in quella che lui definisce una “mitragliata” lungo la parete della cava che rappresenta il numero delle vittime, 368 fori, che restituisce il senso di una costellazione di anime, che si sono perdute e che si possono ritrovare nel rituale di collocazione delle fiammelle».

Il pubblico ha quindi potuto ascoltare le parole di Vincenzo Latina, che ha raccontato come la prima volta che visitò il sito non volle toccare nulla: «Ho avuto il coraggio di fare un passo indietro, eliminare il furore dell’architetto verso il costruire. Tre sono stati i temi su cui ho lavorato. Il primo è la ricomposizione, perché l’architettura attinge dalle discipline artistiche più varie e, un fallimento dopo l’altro, appare l’invenzione straordinaria. Il secondo è il viaggio. Ho immaginato Ulisse che affronta le sue prove proprio come accade ancora oggi a molti che si avventurano nel Mar Mediterraneo: qui le persone perdono la capacità di essere tali e diventano vittime o carnefici. La parete è la siepe di Leopardi, non permette di vedere oltre attivando il pensiero, quella finzione che è fondamentale in ogni progetto. E infine, mentre aria, terra e mare c’erano, il fuoco è il terzo e ultimo tema di progetto. La comunità è stata chiamata e si ritrova in quello che è un rito al contempo laico e religioso, l’accensione dei lumi che danno vita alla costellazione in terra».

Ha concluso la presentazione Cristina Mazzavillani Muti, presidente onorario del Ravenna Festival, ricordando il concerto de Le Vie dell’Amicizia diretto dal Maestro Muti al memoriale di Lampedusa nel luglio 2024: «Vedere tanti lampedusani accendere quelle fiammelle e commuoversi, fare musica insieme e ascoltare Vincenzo recitare “L’infinito” di Leopardi è stata un’esperienza unica. Incontri che durano una notte, ma sono per la vita».

Andrea Sardo
, direttore dei Musei nazionali di Ravenna, ha introdotto infine la visita alla mostra spiegando che «allestire al Museo Nazionale l’esposizione dedicata al memoriale delle migrazioni è un’occasione per riflettere sui legami tra il nostro patrimonio culturale e le storie di uomini e donne in movimento. Ecco perché abbiamo voluto esporre all’ingresso della mostra le stele dei classiari, marinai della flotta imperiale romana stanziati a Ravenna. Su queste lastre, datate dal II secolo d.C., parole essenziali raccontano vite: nomi, origini, ruoli, speranze. Uomini spesso poveri, “forestieri” provenienti da Egitto, Siria, Asia Minore, arruolati nella speranza di una vita migliore».

Articolato nelle due gallerie del primo piano, l’allestimento accoglie con il pannello Occhi che guardano, opera di Vincenzo Latina, due camere d’aria usate come salvagente e ritrovate sulle spiagge di Lampedusa, primo invito a smuovere le nostre coscienze e a riflettere sul senso del memoriale. La rappresentazione di Lampedusa e del Mar Mediterraneo insieme ad alcuni testi, tratti dall’Eneide di Virgilio e daL’infinito di Leopardi, contestualizzano l’intervento offrendone un’immediata lettura. Una sequenza di scatti fotografici a grande scala accompagna quindi nell’esplorazione della cava: l’intervento riutilizza i “detriti”, i resti dei blocchi già presenti, per realizzare una grande rampa di accesso all’area e ricavare un ampio “teatro marittimo” sui dislivelli già preposti naturalmente ad accogliere la platea, avendo come scena e fondale il mare. Una barca, recuperata tra i relitti giunti con i migranti sbarcati nell’isola è lì posata dopo aver subito un trattamento a fuoco, tecnica di antica tradizione per la conservazione del legno. Il rilievo fotografico della parete memoriale concentra l’attenzione sui dettagli in cui può perdersi chi accede alla cava: dai segni verticali delle lavorazioni della pietra alla natura che rinasce dalle sue ferite e soprattutto al muro di calcare, che impedisce la vista del mare, concentrando l’attenzione del visitatore sui 368 fori che ricordano le vittime del naufragio del 3 ottobre 2013, ma anche tutte le tragedie delle migrazioni. Mimetizzati tra le tante tracce di giorno, di notte questi fori accendono l’intera parete di luci tremule, fiammelle che appaiono come una costellazione immaginaria. Se il foro è perdita e assenza, di notte le luci diventano presenza e speranza per continuare a riflettere sull’esistenza, sulla storia e sui legami tra le persone, affinché ilMediterraneo possa diventare un mare di pace.

La mostra non manca poi di valorizzare il significato di spazio di rinascita collettiva, invitando i lampedusani a tornare in un’area un tempo preclusa, che oggi dalla tragedia è stato restituito al mondo quale luogo delle arti. A testimonianza di questo, le immagini delle manifestazioni che il sito ha ospitato negli anni, come il recital del pianista di fama mondiale Takahiro Yoshikawa nell’ottobre 2022 e il concerto di Riccardo Muti con l’Orchestra Cherubini nel luglio 2024 nell’ambito della manifestazione itinerante dedicata alla fratellanza tra i popoli Le Vie dell’Amicizia. Opere d’arte e video aiutano infine il visitatore a immergersi nel contesto e a comprendere che un nuovo spazio pubblico lì ha preso vita. Luogo d’incontro, cultura, festa ma anche di meditazione e di preghiera religiosa e laica aperto a tutti, il percorso mostra come un’opera di architettura possa comunicare il ricordo di una tragedia attraverso il brulicare della vita.

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