Eduardo Chillida

Eduardo Chillida, Ikaraundi, 1957, bronzo, 48x41x68 cm. Museo Chillida Leku I Ph. Alex Abril

 

Dal 23 Ottobre 2024 al 11 Gennaio 2025

Roma

Luogo: Instituto Cervantes

Indirizzo: Piazza Navona 91

Orari: da martedì a venerdì dalle 14.00 alle 20.00; sabato dalle 10.00 alle 14.00 e dalle 15.00 alle 20.00

Curatori: Javier Molins

Enti promotori:

  • Museo Chillida Leku con la collaborazione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 06 6861871

Sito ufficiale: http://roma.cervantes.es/it


In occasione del centenario della nascita del grande scultore spagnolo,
la mostra personale “Eduardo Chillida” (1924 – 2002) ospitata
dall’Instituto Cervantes di Roma nella sede della Sala Dalí dal 23
ottobre 2024 all’11 gennaio 2025, organizzata dall’Instituto Cervantes
di Roma e promossa dal Museo Chillida Leku con la collaborazione della
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, a cura di
Javier Molins, propone, per la prima volta nella capitale dopo trentadue
anni, quarantuno opere dell’artista tra disegni, sculture e
“gravitazioni” datate dal 1948 al 1997. Un’occasione veramente unica per
ripercorrere l’evoluzione dell’opera dello scultore basco dalla
figurazione all’astrazione.

“Questa mostra rappresenta anche un'opportunità irripetibile per vedere
l'opera di questo maestro del XX secolo in dialogo con quella di un
maestro del Barocco, Gian Lorenzo Bernini, poiché la posizione
privilegiata della sala dell’Instituto Cervantes a Piazza Navona
consentirà di ammirare le due opere in un gioco di rimandi. Non dobbiamo
dimenticare che l’arte è sempre un dialogo con il passato”. (J. Molins).
Eccezionalmente esposte le quattro opere che valsero all’artista il
Premio per la scultura alla Biennale di Venezia del 1958, tra le quali
Gesto, proveniente dalla collezione della Galleria Nazionale d'Arte
Moderna e Contemporanea di Roma.

L’esposizione sarà inaugurata mercoledì 23 ottobre 2024 alle ore 18.00

“Sono uno di quelli che ritengono, per me è molto importante, che noi
esseri umani apparteniamo sempre a qualche luogo. L’ideale è essere ed
avere le radici in un luogo ma, contemporaneamente, penso che le nostre
braccia devono stringere il mondo intero e che qualsiasi cultura è
perfetta per colui che riesce ad adattarcisi. Io nel mio paese basco mi
sento al mio posto, come un albero adatto al suo territorio. Un albero
sul suo terreno ma con le braccia rivolte al mondo intero. Tento di
realizzare l’opera di un uomo, la mia. Poiché sono io, quest’opera avrà
sfumature particolari, una luce nera, che però è anche la nostra. Sono
come un albero, con le radici in un solo paese e i rami che si aprono
sul mondo.” (E. Chillida).

Da quando si è fatto conoscere sulla scena internazionale negli anni
Cinquanta, il lavoro di Chillida è stato ospitato nei principali musei e
collezioni d'arte in Europa e negli Stati Uniti. Le sue opere sono state
commentate e analizzate da insigni storici e critici d'arte, oltre che
da poeti e filosofi. Vincitore di innumerevoli premi ed esposto in
numerosi musei e retrospettive, il suo lavoro costituisce un patrimonio
di riferimento ineludibile nel panorama artistico contemporaneo. E’
considerato uno dei più grandi scultori del Novecento. Le sue opere sono
presenti in più di 20 musei in tutto il mondo. Le sue sculture sono
collocate di fronte al mare, come a San Sebastián il celebre Pettine del
vento (1977), formato da tre monumentali ganci in acciaio massiccio
inseriti tra le rocce della costa quasi a raccogliere il vento e i
flutti dell’oceano, in un angolo magico che fonde elementi naturali con
materiali industriali creando un potente dialogo tra l’artificiale e
l’organico. “Guardando infrangersi il mare talvolta furioso che riesce
ad ammansire un po’ le rocce, che simili a noi... un po’ erose ma
impavide, difendono la terra e anche l'anima delle cose.” (E. Chillida).
Altre sculture sono collocate in montagna, come in Giappone, e in città
come Washington, Parigi, Lund, Munster, Madrid, Palma di Maiorca,
Guernica, Berlino e Monaco di Baviera. Sulla sua opera hanno scritto
architetti e filosofi come Martin Heidegger, Emil Cioran, Félix Duque e
poeti come Octavio Paz.

La mostra romana vuole essere una retrospettiva della carriera artistica
di Chillida attraverso i due principali mezzi con cui lavorò: il disegno
e la scultura.

Il percorso dell’esposizione inizia con una serie di disegni figurativi
del primo periodo dove già emergono quelle forme e linee curve che
caratterizzeranno il suo lavoro successivo. Colpiscono i disegni che si
concentrano sulle mani, uno dei temi che ossessiona Chillida. Non
bisogna dimenticare, infatti, che l'artista in gioventù è il portiere
della squadra di calcio della Real Sociedad, attività caratterizzata
dall'uso delle mani e sport che deve abbandonare a causa di un
infortunio al ginocchio. Chillida una volta disse “quello che so fare
l'ho sicuramente già fatto, quindi devo sempre fare quello che non so
fare. [...] Non sarà forse l'arte la conseguenza di una necessità, bella
e difficile, che ci porta a tentare di fare quello che non sappiamo
fare?” Ecco perché molte di queste opere sono disegnate con la mano
sinistra, pur essendo destrimano: Chillida vuole rivivere l'avventura di
imparare con la mano sinistra qualcosa che sapeva fare solo con la mano
destra.

In mostra 17 “gravitazioni”, rilievi di diversi strati di carte,
tagliate e in parte dipinte a china nera, legate e appese mediante delle
corde. Chillida espone per la prima volta Gravitazioni nel 1988 alla
Galleria Theo di Madrid. Sono delicate opere bidimensionali in bianco e
nero, che esplorano le qualità e i limiti dello spazio, sovrapponendo
strati di carta uniti da fili e sospesi per consentire la circolazione
dell’aria.

La stratificazione e la diversa densità dei piani bidimensionali rimanda
ad una profondità e ad una articolazione spaziale altra che fornisce una
fortissima suggestione per definire un’articolazione plastica
dell’architettura che alterna volumi in rilievo e campi scavati.
Il rapporto di Chillida con l'Italia è stato molto intenso. Alla
Biennale di Venezia del 1958 vince il premio come miglior scultore
all'età di 34 anni e la mostra all’Instituto Cervantes di Roma vuole
rendere omaggio a questo importante riconoscimento riunendo quattro
opere presenti in quella Biennale. Si tratta di un rilievo del 1951 e di
tre sculture in ferro che hanno segnato il percorso che la scultura di
Chillida avrebbe avuto in seguito. Una di queste sculture, Gesto (1957),
proviene dalla collezione della Galleria Nazionale d'Arte Moderna e
Contemporanea di Roma, che l'ha eccezionalmente prestata per
l'occasione, mentre le altre provengono dal Museo Chillida Leku.

Una caratteristica di queste sculture e dell'opera scultorea di Chillida
è l'assenza dell'angolo retto. E’ lo stesso artista ad affermare
“l’angolo retto mi è sembrato il più bello di tutti gli angoli, ma è un
po’ intollerante, non ammette dialogo se non con i suoi pari”. Chillida
non utilizzerà mai angoli retti, bensì angoli dati dall'ombra.
Le sculture di Chillida evocano spesso tensione ed equilibrio, invitando
gli spettatori a contemplare il rapporto tra massa e vuoto. La sua
padronanza del materiale e della forma gli permette di creare
composizioni dinamiche che sfidano la percezione dello spazio. Ogni
scultura diventa, infatti, una meditazione sulla presenza e l'assenza,
invitando gli spettatori a sperimentare l'interazione tra luce e ombra.

Le sculture di Chillida non sono semplicemente oggetti statici ma
piuttosto entità dinamiche che interagiscono con l'ambiente circostante
ed evocano un senso di dialogo con chi le osserva. “Lo spazio è
l’elemento più vivo di tutto quel che ci circonda. È come uno spirito.
[…] Dallo spazio con suo fratello il tempo, sotto la gravità insistente,
sentendo la materia come uno spazio più lento, mi chiedo con stupore ciò
che non so” perché “io non rappresento, domando.” (E. Chillida).

Eduardo Chillida, di origine basca, nasce a San Sebastián il 10 gennaio
1924. Il padre, militare, ha grandi inclinazioni artistiche ed ama il
disegno e la pittura. Il senso del ritmo e la musicalità, nel suo
lavoro, li eredita dalla madre, la soprano Carmen Juantegui: “quando
entrai per la prima volta nello spazio dell’Hagia Sofia di Istanbul,
ebbi l’impressione di entrare nei polmoni di Bach, perché avvertii la
stessa forza espansiva. Bach è un architetto, come Masaccio e Mantegna.
Lavora con il tempo e gli accordi; sono come elementi di
un’architettura. La musica occupa uno spazio importante nel mio lavoro,
si stabilisce un rapporto dialettico attraverso una particolare
sensibilità che mi permette di rimanere in comunicazione con l’opera
mentre creo.”
Dopo gli studi in architettura all'Università di Madrid, che lasciano in
lui la capacità di modellare lo spazio attraverso linee e segni
architettonici trattandoli quasi come materia concreta, inizia a
concentrarsi sul disegno e la scultura. Trasferitosi a Parigi nel 1948,
stringe amicizia con Pablo Palazuelo, con il quale espone al Salon de
Mai del 1949. Nel 1950 sposa Pilar Belzunce, suo punto di riferimento
dall’età di 15 anni, dalla quale avrà otto figli e alla quale rimane
legato tutta la vita autodefinendosi “un solitario, un solitario con
Pili”. Nel 1955 la città di San Sebastián gli commissiona un monumento
ad Alexander Fleming. Vince il Premio per la scultura alla Biennale di
Venezia del 1958 e, nello stesso anno, compie la sua prima visita negli
Stati Uniti, dove incontra James Johnson Sweeney, Mies van der Rohe e il
compositore Edgar Varèse. Nel 1960 gli viene assegnato il Premio
Kandinsky. Nel 1966 incontra il filosofo Martin Heidegger, del quale
illustrerà il libro Der Kunst und der Raum. Due anni dopo inizia una
scultura per il palazzo dell’UNESCO a Parigi. Nel 1971 è Visiting
professor al Carpenter Centre di Cambridge, Massachusetts. Nel 1979
condivide con Willem de Kooning il Premio Andrew W. Mellon, a cui fa
seguito un’importante mostra al Museum of Art del Carnegie Institute di
Pittsburgh. Nel 1980 espone al Museo Solomon R. Guggenheim, New York.
Nel 1990 la Biennale di Venezia gli dedica una personale a Ca’ Pesaro.
L’anno successivo riceve il Praemium Imperiale dalla Japan Art
Association.
Nel 2000 viene inaugurato il Museo Chillida Leku ad Hernani, vicino a
San Sebastián. “Un giorno ho sognato un’utopia: trovare uno spazio dove
le mie sculture potessero riposare e le persone potessero camminare tra
di esse come in una foresta.” Chillida Leku è un museo unico, fatto di
per sé come una grande opera d'arte, ospita il corpus più completo di
opere dell'artista e comprende un parco di sculture e uno spazio
espositivo all'interno del caserío Zabalaga, una tradizionale casa di
campagna basca risalente al XVI secolo. La casa e il terreno adiacente
sono stati acquistati negli anni ‘80 da Chillida e sua moglie, che hanno
dedicato i successivi quindici anni a restaurarlo con sensibilità. A
Chillida Leku l'artista ha creato un luogo ("Leku" si traduce come
"luogo" in lingua basca) dove le generazioni future potranno vivere il
suo lavoro come lui lo intendeva, e in una cornice senza pari. In esso,
la fusione tra arte e natura avviene in modo naturale. Le sculture sono
integrate nel paesaggio come se ne avessero sempre fatto parte. Nel
giardino faggi, querce e magnolie convivono con le monumentali sculture
in acciaio e granito poste in perfetto dialogo con l'ambiente
circostante. Sebbene le opere presentino un aspetto di monumentalità, il
luogo è realizzato a misura d'uomo, che è la scala con cui l'artista ha
sempre lavorato, ponendo la persona come misura del suo lavoro.
Muore a 78 anni nella sua residenza sul monte Igueldo il 19 agosto del
2002.

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