Evgeny Antufiev. Fusion and Absorption
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Evgeny Antufiev. Fusion and Absorption
Dal 14 Novembre 2015 al 06 Febbraio 2016
Roma
Luogo: z2o Sara Zanin Gallery
Indirizzo: via della Vetrina 21
Orari: da martedì a sabato 12 - 19 (o su appuntamento)
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 06 704 522 61
E-Mail info: info@z2ogalleria.it
Sito ufficiale: http://www.z2ogalleria.it
...Mi sembra molto ragionevole la credenza celtica secondo cui le anime di quelli che abbiamo perduto sono prigioniere entro qualche essere inferiore, una bestia, un vegetale, una cosa inanimata, perdute di fatto per noi fino al giorno, che per molti non giunge mai, che ci troviamo a passare accanto all'albero, che veniamo in possesso dell'oggetto che le tiene prigioniere. Esse trasaliscono allora, ci chiamano e non appena le abbiamo riconosciute, l'incanto è rotto. Liberate da noi, hanno vinto la morte e ritornano a vivere con noi. Così è per il nostro passato. È inutile cercare di rievocarlo, tutti gli sforzi della nostra intelligenza sono vani. Esso si nasconde fuori del suo campo e del suo raggio d'azione in qualche oggetto materiale che noi non supponiamo. Quest'oggetto, vuole il caso che lo incontriamo prima di morire, o che non lo incontriamo mai...
(M. Proust, Du côté de chez Swann)
Un’opera pone sempre domande.
Non dà risposte.
Le risposte possiamo cercarle dentro di noi.
Un’opera è un po’ come uno specchio, un catalizzatore di memorie, di stati cognitivi, di emozioni che non possiamo prefigurare a priori. E’ un incontro con noi stessi, con la nostra identità e con le nostre radici.
Questa mostra ha l’ambizione di interrogare e interrogarsi su tante cose: sul possibile rapporto dell’arte di oggi con quella antica; sulla relazione tra arte e natura e sull’esistenza o meno di un confine tra loro; sulla memoria collettiva di cui siamo portatori nella cultura in cui ci inscriviamo e sulla nostra percezione di identità singolare; sul nostro bisogno di riconoscimento; sul rapporto che l’arte innesca col tempo e sulla sua capacità di condurci in una dimensione in cui vita e morte non si elidono, ma convivono senza soluzione di continuità e per questo forse possiamo spendere,in modo peculiare, la parola “immortalità”.
Così l’artefatto, i materiali di cui è costituito, possono inscriversi in una dimensione regolata dalle leggi che potremmo definire naturali? Tendiamo a riempire l’apparenza fisica dell’oggetto, la sua consistenza materica di tutta la conoscenza e la memoria che possediamo e che possiamo così ritrovare e riconoscere ogni volta che avviene l’incontro.
(M. Proust, Du côté de chez Swann)
Un’opera pone sempre domande.
Non dà risposte.
Le risposte possiamo cercarle dentro di noi.
Un’opera è un po’ come uno specchio, un catalizzatore di memorie, di stati cognitivi, di emozioni che non possiamo prefigurare a priori. E’ un incontro con noi stessi, con la nostra identità e con le nostre radici.
Questa mostra ha l’ambizione di interrogare e interrogarsi su tante cose: sul possibile rapporto dell’arte di oggi con quella antica; sulla relazione tra arte e natura e sull’esistenza o meno di un confine tra loro; sulla memoria collettiva di cui siamo portatori nella cultura in cui ci inscriviamo e sulla nostra percezione di identità singolare; sul nostro bisogno di riconoscimento; sul rapporto che l’arte innesca col tempo e sulla sua capacità di condurci in una dimensione in cui vita e morte non si elidono, ma convivono senza soluzione di continuità e per questo forse possiamo spendere,in modo peculiare, la parola “immortalità”.
Così l’artefatto, i materiali di cui è costituito, possono inscriversi in una dimensione regolata dalle leggi che potremmo definire naturali? Tendiamo a riempire l’apparenza fisica dell’oggetto, la sua consistenza materica di tutta la conoscenza e la memoria che possediamo e che possiamo così ritrovare e riconoscere ogni volta che avviene l’incontro.
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