Performativity

Francesco Gennari, Autoritratto Su Menta (con camicia bianca). Collezione De Iorio

 

Dal 22 Giugno 2019 al 27 Luglio 2019

Dro | Trento

Luogo: Centrale Fies art work space

Indirizzo: Loc. Fies 1

Orari: dal 22/06 al 18/07 dal mercoledì alla domenica dalle 11 alle 13 e dalle 14:30 alle 17:30; durante le giornate di festival la mostra sarà aperta in orario serale

Enti promotori:

  • Provincia Autonoma di Trento
  • Regione Autonoma Trentino Alto Adige/Sudtirol
  • MiBAC - Direzione Generale Spettacolo
  • Comune di Dro

Costo del biglietto: ingresso gratuito

E-Mail info: info@centralefies.it

Sito ufficiale: http://www.centralefies.it



Marion Baruch (RO/IT) Alessandro Di Pietro (IT) Sara Enrico (IT) Philipp Gehmacher (AT) Francesco Gennari (IT) Esther Kläs (DE) Andrea Kvas (IT) Nicola Martini (IT) Tania Pérez Córdova (MX) Alessandra Spranzi (IT) Davide Stucchi (IT) Franz Erhard Walther (DE)

Centrale Fies art work space inaugura venerdì 21 giugno nella Galleria Trasformatori Performativity, mostra collettiva a cura di Denis Isaia e Sara Enrico, aperta al pubblico gratuitamente dal 22 giugno al 27 luglio.
Performativity è il primo capitolo di una trilogia sui rapporti fra la performance art e l’oggetto artistico, che verrà completata dai futuri appuntamenti sulla “performabilità” (Performability) e sulla “performanza” (Performing), rispettivamente dedicati alla performabilità di un oggetto artistico e alla sua stessa capacità di performare. La collettiva, lungi dal proporsi come una mostra storica, si concentra sul lavoro di alcuni artisti dei nostri giorni, evidenziando la vocazione performativa delle loro poetiche.
 
La mostra s’inserisce nelle attività di produzione e ricerca che Centrale Fies art work space dedica alle arti live e al loro potenziale trasformativo nelle interazioni con altre discipline e altri linguaggi. L’esposizione si propone di osservare le interazioni fra due pratiche paradigmaticamente opposte - la prima basata sul tempo e la seconda sullo spazio - mettendo a fuoco le complicità proposte dagli artisti visivi.
«Nel percorso espositivo - afferma il curatore Denis Isaia - il livello di complicità fra gli oggetti e la performance è variabile: a volte rimanda a un’azione precedente, altre volte è raccolto nel processo, altre ancora evoca una coreografia latente o precisa l’oggetto della riflessione. Gettando un nuovo sguardo su lavori scultorei, pittorici o fotografici, Performativity ambisce a riconoscere il potere trasformativo della performance e il suo contributo nella lettura dei nostri giorni». Prosegue l’artista e curatrice Sara Enrico: «Quando Denis mi ha parlato di alcune riflessioni che stava facendo sulla performatività, coinvolgendomi poi nel progetto, ho immaginato di percorrere uno spazio, facendo incontri con delle opere che sarebbero state ideali in questo senso: forme la cui presenza non si limitasse al dato materiale ma manifestasse quel tanto di vitale in esse contenuto, seppur in maniera latente, nascosta, talvolta difficile da afferrare nella sua interezza».
 
Il progetto per Centrale Fies osserva alcuni esempi che rimandano a questi concetti: performatività, performabilità e performanza, ossia la capacità degli oggetti di mostrare la loro connessione originaria con un’azione (sia essa agita, simulata o evocata), la possibilità che vengano essi stessi performati e la loro stessa capacità di performare.
La mostra suggerisce degli sconfinamenti, alcuni più palesi, come nel caso dell’opera di Franz Erhald Walter che richiama a un’interazione diretta con il corpo, o come nel lavoro di Alessandro Di Pietro - inerte seppur caricata di energia elettrostatica - o come nell’installazione di Andrea Kvas che argomenta la pittura lasciando che essa invada lo spazio tridimensionale o come ancora nell’autoritratto di Francesco Gennari, che è indissolubilmente legato a un’azione o nell’opera di Sara Enrico che emerge da un intreccio di traduzioni. Altre ricerche narrano invece una performatività latente che in alcuni casi prende le forme di un corpo o di una relazione fra corpi, come per Davide Stucchi e Tania Pérez Córdova o di una coreografia come nel caso di Esther Kläs, o della memoria di una precedente o di una possibile performance come per Marion Baruch o Philipp Gehmacher, un’azione in vitro come per Nicola Martini o come nel caso di Alessandra Spranzi.
    
Performativity ribadisce la peculiare porosità della performance, quale pratica che sfugge alla sua stessa definizione e allo stesso tempo come nutriente poetico e formale per gli artisti visivi, creando una connessione diretta con la vita, nonché un ponte che permette di uscire dalle restrizioni di un linguaggio artistico, sia esso pittura, fotografia oppure scultura.
 

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