CAPOLAVORI ANNI ’70
Enrico Baj
03/12/2001
L’esposizione romana ha un forte impatto sul visitatore, che viene coinvolto ancor prima di entrare nelle sale. Il primo impatto con l’opera di Baj, infatti, lo si ha già percorrendo lo scalone interno del Palazzo delle Esposizioni, dove giganteggia a tutta parete la grande Apocalisse. E’ un’opera aperta, un lavoro in fieri dal 1978, che può essere letta come una summa dell’arte di Baj: ci sono le macchie nucleari dei primi anni, il dripping, ma anche i riferimenti all’espressionismo e a Picasso, senza dimenticare la tradizione iconografica del tema apocalittico. A tal propostito non si può fare a meno di notare che alcune figure ricordano gli essere mostruosi ideati da Coppo di Marcovaldo per la cupola del Battistero di Firenze (seconda metà del XIII secolo).
Evidente risulta anche l’influenza di una lunga serie di letture sociologiche e antropologiche, prima fra tutte “Gli otto peccati capitali” di Konrad Lorenz.
Umberto Eco ha dedicato un saggio all’opera, “Enrico Baj – Apocalisse”, (Milano 1979), in cui questa viene definita “Apocalisse non millenaristica, ma critica” riconoscendole la “capacità di leggere i segni della distruzione”. Nel sottolineare tali aspetti il semiologo piemontese vede l’opera di Baj calata nella realtà: non impossibili ritorni all’età dell’oro, ma, appunto, critica, finalizzata a risvegliare le coscienze.
A circa metà percorso della mostra ci si trova di fronte ad un altro grande capolavoro di Enrico Baj: “I funerali dell’anarchico Pinelli” del 1972. In questa grande composizione l’artista svolge la funzione di testimone. La commemorazione è relativa alla morte del ferroviere Giuseppe Pinelli, militante anarchico, avvenuta il 15 dicembre del 1969. L’uomo, fermato in relazione alla strage di Piazza Fontana, morì precipitando da una finestra de quarto piano della Questura di Milano. Le circostanze di quella morte non furono mai chiarite, generando inevitabilmente una moltitudine di interpretazioni cui gli artisti del momento non rimasero estranei.
L’opera di Baj può essere vista come una grande scenografia con tanto di proscenio: nella parte antistante, infatti, poggiate su un piano fatto di fiori, sono le sagome della moglie e delle figlie che piangono la vittima. Il pannello dipinto che fa da sfondo alla scena vede al centro Pinelli che cade in avanti a testa in giù, quasi come un novello Fetonte, circondato da manifestanti sulla sinistra e dai carnefici sulla destra. Questi ultimi sono ancora i militari-automi di Baj con le medaglie, ma che in questo caso brandiscono anche coltelli e fucili. In alto è sistemata una cimasa, piccolo pannello con colonne e timpano, sorta di altarino all’interno del quale si vedono delle mani sormontate da un lampadario, ripreso in ogni particolare da Guernica di Picasso. La facile simbologia del destino degli uomini comuni, letteralmente “manovrato” dall’alto, trova nella cimasa il suo luogo deputato: è lì che nell’arte medievale trovava posto la figura del Dio Padre, chiaramente sostituito da mani molto più terrestri.
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