Aspettando "Dalìland", al cinema dal 25 maggio
Dalì - Ritratto di un genio
DALÍLAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
Francesca Grego
18/05/2023
“A sei anni volevo essere un cuoco. A sette volevo essere Napoleone. Da allora la mia ambizione è andata crescendo costantemente”, raccontava Salvador Dalí. Il pittore catalano ha mantenuto le sue promesse, diventando uno degli artisti più amati, celebrati e chiacchierati al mondo già quando era in vita.
Vulcanico, eccessivo, visionario, geniale, il maestro di Figueres è pronto a tornare sulla breccia grazie a Dalíland, biopic diretto da Mary Harron (regista di American Psycho) nelle sale italiane dal 25 maggio, con il Premio Oscar Ben Kingsley nel ruolo del protagonista, accanto a Barbara Sukowa, Ezra Miller, Christopher Briney, Charlotte Rampling. Tra luci e ombre, miserie e grandezza, il lungometraggio punta i riflettori su un periodo spesso trascurato nella carriera di Dalí, quando il maestro ormai anziano è all’apice della fama - “il più celebre degli artisti viventi”, lo definisce un telegiornale d’epoca inserito nel film - ma preda delle proprie fragilità e dell’avidità altrui. Ritratto intimo dell’artista e panoramica sul movimentato circo che gli ruota attorno, Dalíland ne mette a nudo le contraddizioni, sbirciando dietro le quinte della vita di un genio attraverso gli occhi di James, suo giovane assistente in America.
DALÍLAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
Al di là dell’aura mitica che lo circonda, chi era veramente Dalí? Nato a Figueres nel 1904 da una famiglia dell’alta borghesia catalana, Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí i Domènech vive fin dall’infanzia all’ombra di un’ossessione: è convinto di essere la reincarnazione di un fratellino morto per meningite nove mesi prima della sua nascita, anche lui chiamato Salvador.
I suoi talenti artistici emergono molto presto: a Madrid, dove studia all’Accademia di Belle Arti, si fa notare per il look stravagante - basette e capelli lunghi, abiti da esteta inglese del XIX secolo - ma soprattutto per i suoi dipinti, dove l’influsso rivoluzionario delle avanguardie incontra i grandi maestri della tradizione europea. I vistosi baffi che accompagneranno Dalí per tutta la vita sono un omaggio al pittore seicentesco Diego Velàsquez.
Luis Buñuel e Federico Garcìa Lorca sono tra gli amici più cari, Picasso un riferimento imprescindibile. A poco più di vent’anni Dalí è già un personaggio bizzarro e originale: “La sola differenza tra me e un pazzo è che io non sono pazzo”, dirà in seguito di se stesso.
Dopo una tappa a Barcellona, la favolosa Parigi degli anni Venti lo accoglierà in un’atmosfera di irripetibile fermento artistico. Qui Dalí sarà conquistato dalle idee dei Surrealisti, congeniali al suo gusto e alla sua personalità: l’importanza data al sogno e all’inconscio, il richiamo alla psicanalisi freudiana, il superamento di ogni freno inibitore gli permettono di dare sfogo alla sua straripante immaginazione. Per esplorare il subconscio l’artista sviluppa un metodo tutto suo, che chiama paranoico-critico, mentre stilisticamente resterà sempre fedele alla rappresentazione realista, supportato da eccellenti doti di disegnatore. “Un giorno la pittura astratta sarà sicuramente considerata un disastro”, lo sentiremo dire dal grande schermo, in una critica aperta a Jackson Pollock.
Una scena del film DALìLAND, diretto da Mary Harron. Da sinistra: Andrea Pejic (Amanda Lear), Ben Kinglsley (Salvador Dalì), Barbara Sukowa (Gala Dalì) I Courtesy Plaion Pictures
È negli ambienti del Surrealismo che Dalí incontra Elena Ivanovna Diakonova, la moglie russa del poeta Paul Eluard, in seguito nota come Gala: diventerà la musa e compagna di una vita, in un legame dai risvolti controversi che scopriremo nel film. Legati all’universo Surrealista sono anche i numerosi simboli che costellano l’opera di Dalí: l’uovo, l’elefante, la chiocciola, gli insetti di varie specie, ma soprattutto l’orologio molle, protagonista del suo quadro più famoso, La persistenza della memoria (1931). “Il Surrealismo sono io”, dichiarerà l’artista senza falsa modestia, ma alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale si consumerà la rottura definitiva con il movimento di Breton.
Senz’altra etichetta al di fuori del proprio nome, Dalí proseguirà a briglia sciolta, mescolando deliri e ispirazioni, misticismo e teorie scientifiche di ultima generazione, che si riflettono in una produzione artistica davvero poliedrica. Al suo genio dobbiamo infatti oggetti iconici come il Telefono aragosta e il Divano - labbra di Mae West, stereoscopie e ologrammi che indagano la quarta dimensione e la natura complessa dell’universo, e poi gioielli sfarzosi, illustrazioni, incisioni, opere letterarie, scenografie teatrali, abiti e accessori per stilisti come Elsa Schiaparelli e Christian Dior, fotografie realizzate a quattro mani con giganti dell’obiettivo come Man Ray, Brassaï, Cecil Beaton. La labirintica dimora dell’artista nel borgo marinaro di Port Lligat, il Castello di Pùbol, incredibile dono per Gala, e soprattutto il grandioso Teatro-Museo di Figueres sono ognuno a proprio modo opere d’arte totali, dove il genio di Dalí si esprime in ogni dettaglio.
Una scena del film DALìLAND, diretto da Mary Harron: Ezra Miller nel ruolo del giovane Dalì I Courtesy Plaion Pictures
Orgoglioso della propria anima spagnola e catalana, Dalí divenne presto un’icona globale, forse la prima star dell’arte in senso moderno. Merito probabilmente dei lunghi soggiorni a New York, dove trascorse l’inverno per quarant’anni, in una suite privata del Saint Regis Hotel sulla East 55th che aveva attrezzato anche come studio. Nel 1934, ancora a bordo della nave transatlantica, annunciò l’arrivo negli States con un articolo dal titolo “New York mi saluta”, sfoggiando un talento da pubblicitario allora non comune. “Con le braccia tese, l’elegante bastone, i baffi puntati verso il cielo, nessuno poteva fare un ingresso più grandioso in America”, scrissero i giornali, e poco dopo fan e turisti si accalcavano davanti al St Regis sperando di vederlo comparire, pronti a cantare insieme “Dalí is here” (“Dalí è qui”).
Non è un caso, insomma, che Dalíland abbia come teatro proprio la Grande Mela: qui l’artista conobbe Andy Warhol che, affascinato dalla sua aura, ne fece il soggetto di alcune serigrafie, ed è qui che l’immagine di Dalí diventerà una specie di brand, scatenando in egual misura polemiche e ammirazione. Nel film lo vediamo impegnato insieme a Gala in una vorticosa ed eccentrica vita mondana, tra bellezze ambigue come Amanda Lear (la sua nuova musa) e giovani musicisti trasgressivi come Alice Cooper e Jeff Fenholt, all’epoca amante di Gala e protagonista del musical Jesus Christ Superstar, poi passato all’heavy metal con i Black Sabbath.
DALìLAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
Ma è a Figueres che l’artista si ritirò per trascorrere gli ultimi anni della sua esistenza, quando la scomparsa di Gala, più vecchia di lui di 11 anni, lo privò di ogni energia vitale. Qui Dalí si spense il 23 gennaio del 1989 in seguito a un attacco di cuore, mentre ascoltava il suo disco preferito, Tristano e Isotta di Wagner, e un mese dopo aver ricevuto la visita di re Juan Carlos che gli rivelò di essere da sempre un suo fervente ammiratore.
Nel racconto dei molteplici talenti e interessi di Dalí abbiamo finora volontariamente omesso la sua passione per il cinema. Affascinato fin da giovanissimo dalla settima arte, il genio catalano la riteneva un mezzo perfetto per materializzare sogni e fantasie surreali. Possiamo osservarlo nel celebre cortometraggio Un chien andalou (1929), realizzato a quattro mani con Buñuel, o nell’altrettanto scandaloso L'âge d’or (1930), prodotto ancora con l’amico regista, ma anche nelle collaborazioni con Alfred Hitchcock - famosissima la sequenza del sogno in Io ti salverò - e con Walt Disney per il cartone animato Destino (1945-46), che rimase incompiuto per le ristrettezze seguite alla guerra, ma riscosse comunque un enorme successo nei festival e fu anche candidato agli Oscar. Senza dubbio, insomma, Dalí di cinema se ne intendeva. Chissà quale sarebbe stato il suo commento dopo la visione di Dalìland.
DALÍLAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
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• Il Teatro-Museo di Figueres, un sogno firmato Dalì
Vulcanico, eccessivo, visionario, geniale, il maestro di Figueres è pronto a tornare sulla breccia grazie a Dalíland, biopic diretto da Mary Harron (regista di American Psycho) nelle sale italiane dal 25 maggio, con il Premio Oscar Ben Kingsley nel ruolo del protagonista, accanto a Barbara Sukowa, Ezra Miller, Christopher Briney, Charlotte Rampling. Tra luci e ombre, miserie e grandezza, il lungometraggio punta i riflettori su un periodo spesso trascurato nella carriera di Dalí, quando il maestro ormai anziano è all’apice della fama - “il più celebre degli artisti viventi”, lo definisce un telegiornale d’epoca inserito nel film - ma preda delle proprie fragilità e dell’avidità altrui. Ritratto intimo dell’artista e panoramica sul movimentato circo che gli ruota attorno, Dalíland ne mette a nudo le contraddizioni, sbirciando dietro le quinte della vita di un genio attraverso gli occhi di James, suo giovane assistente in America.
DALÍLAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
Al di là dell’aura mitica che lo circonda, chi era veramente Dalí? Nato a Figueres nel 1904 da una famiglia dell’alta borghesia catalana, Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí i Domènech vive fin dall’infanzia all’ombra di un’ossessione: è convinto di essere la reincarnazione di un fratellino morto per meningite nove mesi prima della sua nascita, anche lui chiamato Salvador.
I suoi talenti artistici emergono molto presto: a Madrid, dove studia all’Accademia di Belle Arti, si fa notare per il look stravagante - basette e capelli lunghi, abiti da esteta inglese del XIX secolo - ma soprattutto per i suoi dipinti, dove l’influsso rivoluzionario delle avanguardie incontra i grandi maestri della tradizione europea. I vistosi baffi che accompagneranno Dalí per tutta la vita sono un omaggio al pittore seicentesco Diego Velàsquez.
Luis Buñuel e Federico Garcìa Lorca sono tra gli amici più cari, Picasso un riferimento imprescindibile. A poco più di vent’anni Dalí è già un personaggio bizzarro e originale: “La sola differenza tra me e un pazzo è che io non sono pazzo”, dirà in seguito di se stesso.
Dopo una tappa a Barcellona, la favolosa Parigi degli anni Venti lo accoglierà in un’atmosfera di irripetibile fermento artistico. Qui Dalí sarà conquistato dalle idee dei Surrealisti, congeniali al suo gusto e alla sua personalità: l’importanza data al sogno e all’inconscio, il richiamo alla psicanalisi freudiana, il superamento di ogni freno inibitore gli permettono di dare sfogo alla sua straripante immaginazione. Per esplorare il subconscio l’artista sviluppa un metodo tutto suo, che chiama paranoico-critico, mentre stilisticamente resterà sempre fedele alla rappresentazione realista, supportato da eccellenti doti di disegnatore. “Un giorno la pittura astratta sarà sicuramente considerata un disastro”, lo sentiremo dire dal grande schermo, in una critica aperta a Jackson Pollock.
Una scena del film DALìLAND, diretto da Mary Harron. Da sinistra: Andrea Pejic (Amanda Lear), Ben Kinglsley (Salvador Dalì), Barbara Sukowa (Gala Dalì) I Courtesy Plaion Pictures
È negli ambienti del Surrealismo che Dalí incontra Elena Ivanovna Diakonova, la moglie russa del poeta Paul Eluard, in seguito nota come Gala: diventerà la musa e compagna di una vita, in un legame dai risvolti controversi che scopriremo nel film. Legati all’universo Surrealista sono anche i numerosi simboli che costellano l’opera di Dalí: l’uovo, l’elefante, la chiocciola, gli insetti di varie specie, ma soprattutto l’orologio molle, protagonista del suo quadro più famoso, La persistenza della memoria (1931). “Il Surrealismo sono io”, dichiarerà l’artista senza falsa modestia, ma alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale si consumerà la rottura definitiva con il movimento di Breton.
Senz’altra etichetta al di fuori del proprio nome, Dalí proseguirà a briglia sciolta, mescolando deliri e ispirazioni, misticismo e teorie scientifiche di ultima generazione, che si riflettono in una produzione artistica davvero poliedrica. Al suo genio dobbiamo infatti oggetti iconici come il Telefono aragosta e il Divano - labbra di Mae West, stereoscopie e ologrammi che indagano la quarta dimensione e la natura complessa dell’universo, e poi gioielli sfarzosi, illustrazioni, incisioni, opere letterarie, scenografie teatrali, abiti e accessori per stilisti come Elsa Schiaparelli e Christian Dior, fotografie realizzate a quattro mani con giganti dell’obiettivo come Man Ray, Brassaï, Cecil Beaton. La labirintica dimora dell’artista nel borgo marinaro di Port Lligat, il Castello di Pùbol, incredibile dono per Gala, e soprattutto il grandioso Teatro-Museo di Figueres sono ognuno a proprio modo opere d’arte totali, dove il genio di Dalí si esprime in ogni dettaglio.
Una scena del film DALìLAND, diretto da Mary Harron: Ezra Miller nel ruolo del giovane Dalì I Courtesy Plaion Pictures
Orgoglioso della propria anima spagnola e catalana, Dalí divenne presto un’icona globale, forse la prima star dell’arte in senso moderno. Merito probabilmente dei lunghi soggiorni a New York, dove trascorse l’inverno per quarant’anni, in una suite privata del Saint Regis Hotel sulla East 55th che aveva attrezzato anche come studio. Nel 1934, ancora a bordo della nave transatlantica, annunciò l’arrivo negli States con un articolo dal titolo “New York mi saluta”, sfoggiando un talento da pubblicitario allora non comune. “Con le braccia tese, l’elegante bastone, i baffi puntati verso il cielo, nessuno poteva fare un ingresso più grandioso in America”, scrissero i giornali, e poco dopo fan e turisti si accalcavano davanti al St Regis sperando di vederlo comparire, pronti a cantare insieme “Dalí is here” (“Dalí è qui”).
Non è un caso, insomma, che Dalíland abbia come teatro proprio la Grande Mela: qui l’artista conobbe Andy Warhol che, affascinato dalla sua aura, ne fece il soggetto di alcune serigrafie, ed è qui che l’immagine di Dalí diventerà una specie di brand, scatenando in egual misura polemiche e ammirazione. Nel film lo vediamo impegnato insieme a Gala in una vorticosa ed eccentrica vita mondana, tra bellezze ambigue come Amanda Lear (la sua nuova musa) e giovani musicisti trasgressivi come Alice Cooper e Jeff Fenholt, all’epoca amante di Gala e protagonista del musical Jesus Christ Superstar, poi passato all’heavy metal con i Black Sabbath.
DALìLAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
Ma è a Figueres che l’artista si ritirò per trascorrere gli ultimi anni della sua esistenza, quando la scomparsa di Gala, più vecchia di lui di 11 anni, lo privò di ogni energia vitale. Qui Dalí si spense il 23 gennaio del 1989 in seguito a un attacco di cuore, mentre ascoltava il suo disco preferito, Tristano e Isotta di Wagner, e un mese dopo aver ricevuto la visita di re Juan Carlos che gli rivelò di essere da sempre un suo fervente ammiratore.
Nel racconto dei molteplici talenti e interessi di Dalí abbiamo finora volontariamente omesso la sua passione per il cinema. Affascinato fin da giovanissimo dalla settima arte, il genio catalano la riteneva un mezzo perfetto per materializzare sogni e fantasie surreali. Possiamo osservarlo nel celebre cortometraggio Un chien andalou (1929), realizzato a quattro mani con Buñuel, o nell’altrettanto scandaloso L'âge d’or (1930), prodotto ancora con l’amico regista, ma anche nelle collaborazioni con Alfred Hitchcock - famosissima la sequenza del sogno in Io ti salverò - e con Walt Disney per il cartone animato Destino (1945-46), che rimase incompiuto per le ristrettezze seguite alla guerra, ma riscosse comunque un enorme successo nei festival e fu anche candidato agli Oscar. Senza dubbio, insomma, Dalí di cinema se ne intendeva. Chissà quale sarebbe stato il suo commento dopo la visione di Dalìland.
DALÍLAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
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