Fotografia futurista

 

28/07/2001

L’avvicinamento del futurismo alla fotografia nasce da un rifiuto: rinnegando la validità di un atto mirato a riprodurre passivamente le cose, il futurismo si propose di reinterpretare in senso metapercettivo la fotografia. La “sensazione” del movimento e la percezione dell’energia vitale divennero i due obiettivi verso cui la fotografia futurista mirò, riuscendo così a trasformare quella che veniva ritenuta una funzione meramente meccanica in un’interpretazione soggettiva e profondamente innovativa del dato reale. Partendo dall’accusa di Boccioni alla fotografia come medium freddo, distaccato, indipendente dalla creatività dell’artista, si puntò, attraverso l’obiettivo, all’approfondimento del processo psichico della percezione dinamica della realtà. Il primo passo che segna questa ricerca è però frutto di uno studio compiuto inizialmente al di fuori dall’ambito futurista: con l’invenzione della fotodinamica ad opera di Anton Giulio Bragaglia, notissimo negli anni seguenti come regista cinematografico e teatrale, e di suo fratello Arturo, si crearono le premesse indispensabili per l’annessione futurista alla tecnica della fotografia. All’inizio del secondo decennio del ‘900 si collocano le prime conferenze sul fotodinamismo, seguite da un volumetto di Bragaglia intitolato “Fotodinamismo futurista” (1913); in esso si stabilirono i principi della nuova ricerca: fissare la realtà nel suo dinamismo smaterializzandone le forme apparenti e ricercando “la vita colta nel suo apparire rapido e fugace”. Marinetti diede quindi il proprio consenso al finanziamento delle ricerche sul fotodinamismo ma solo nel 1930 formulò con Tato il “Manifesto della fotografia futurista”. Nuovi sviluppi la coinvolgeranno negli anni Venti e Trenta: tecniche originali e innovative quali il fotocollaggio (integrazione tra fotografia ritagliata e disegno) e il fotomontaggio apriranno strade che a distanza di poco tempo verranno percorse dalle avanguardie straniere. Un contributo particolare fu quello di Filippo Masoero, che con le sue aerofotografie spostò il dinamismo dall’oggetto rappresentato all’atto percettivo: l’obiettivo aperto durante la caduta libera registrava non solo tutto ciò che si trovava davanti ma l’atto stesso compiuto dall’artista. Vera e propria forma di “action painting” fotografica, la fotografia aerea godeva di una forte connotazione soggettiva e di una notevole portata sperimentale. Il movimento, l’energia in atto, l’intensità vitale delle cose potevano essere riprodotti attraverso un’immagine immanente del divenire, creata e sentita in prima persona dall’artista futurista.