Giuditta e l’ideale femminile secessionista
Klimt Kokoschka Schiele
19/10/2001
“Giuditta I”, la celebre icona klimtiana, non a caso appare sul manifesto dell’esposizione al Vittoriano; la sensualità, la bellezza, lo sguardo della sua figura (che ritrae la modella Adele Bloch-Bauer, forse anche amante del pittore), sembrano distrarre l’occhio dal terribile bottino tenuto sottobraccio, relegato al margine inferiore del quadro, la testa decapitata di Oloferne. Un gelido alone di morte incombe sull’oro, sui gioielli, sui sinuosi lineamenti della figura, sulle raffinatezze bizantineggianti del dipinto. La biblica eroina che sedusse ed uccise il gigante per salvare la città di Betulia non è più, come da tradizione, simbolo di virtù, ma diventa immagine dell’ambivalenza femminile.
Molte sono le figure femminili simili alla Giuditta klimtiana che hanno polarizzato l’immaginario tardo ottocentesco. Per limitarci alle arti visive oltre alla Secessione austriaca, anche Preraffaeliti e Simbolisti hanno spesso raffigurato questa tipologia femminile. Sono donne eteree, incastonate come gemme, lucide, gelide e riflettenti, impenetrabili. Dagli occhi chiari, dalla pelle d’avorio, immerse in atmosfere notturne e sognanti. Immobili come icone medievali, fatte di pura essenza, quindi prive di esistenza, di vita, del pulsare del sangue. Sono donne-vampiro che si nutrono dell’amante sedotto, come letteralmente ha raffigurato Edvard Munch, in un celebre dipinto intitolato “Il vampiro” del 1893.
Klimt non sarà mai così diretto ed esplicito. Sarà il potere del simbolo e di ciò che è ambiguo a parlare nella sua arte, come nei due dipinti allegorici, affiancati nella mostra, la “Speranza” (1903) e “Le tre età della donna” (1905), che evocano intrecci di vita e di morte attorno alla figura della Grande Madre generatrice.
Stretto, profondo e morboso è invece il legame di Egon Schiele con le donne. Le sue modelle, giovanissime, dai magri corpi, rispondono all’esigenza di esibire, il più apertamente possibile, le forze dell’Eros, dominatrici dell’animo umano. Attraverso l’arte di Schiele si può scoprire una Vienna che sembra essere il laboratorio ideale per le teorie di Sigmund Freud. Desiderio, trasgressione, frustrazione, infatti, si alternavano nei due volti, diurno e notturno, della capitale austriaca, ossessionata dall’istintualità. L’occhio di Schiele vede tutto questo e lo cerca, scavando nella fisicità di quei corpi femminili, trovando vuoto e solitudine, oltre l’Eros, insieme con l’Eros.
Abbiamo chiesto il parere di Jane Kallir, curatrice della mostra, autrice del catalogo ragionato di Schiele.
Come è rappresentata la donna da Klimt e Schiele?
J.K. “Da una parte la donna ritratta da Klimt è esaltata nella sua bellezza; questo procurò al pittore austriaco un grande successo come ritrattista, tutte le donne volevano essere ritratte da lui, come delle bellissime dee. Al contrario, lo stile pittorico di Schiele tende e deformare i tratti del soggetto. Non era quindi così richiesto lo Schiele ritrattista, perché lasciava insoddisfatte le sue modelle. Per i disegni, invece, il discorso è un altro…”
C’e’ forse un intento più conoscitivo, di ricerca?
J.K. “Il fatto è che il processo pittorico è lungo, meditativo e richiede più sedute, e quello che ne veniva fuori non poteva avere l’immediatezza, l’estemporaneità di un disegno. Solo così Schiele può instaurare un discorso più diretto, più intimo con le modelle.”
Quale rapporto instaura, invece, Klimt con le donne?
J.K. “Le raffinate donne di Klimt restano distanti, fredde, diventano un oggetto di rappresentazione. Questo potrebbe essere causato da un rapporto difficile di Klimt con il sesso femminile, ma se andiamo a vedere alcuni disegni tardi, qui presenti alla mostra, i nudi femminili, si può notare un grosso cambiamento”.
Questa splendida serie di ritratti mostra, infatti, un inedito Klimt ritrattista, essenziale, semplice, che sembra cogliere l’intimità dei corpi femminili con molta naturalezza. Qualcosa è cambiato nella vita di Klimt nel suo rapporto con le donne, come ipotizza la Kallir?
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