Intervista a Remo Anzovino, autore della colonna sonora del film
Hitler contro Picasso e gli altri: nel suono della storia
Remo Anzovino, photo Gianluca Moro
Francesca Grego
07/03/2018
La storia è fatta anche di suoni. Oltre la guerra e la Shoah, la musica riempie le piazze tedesche al pari della folla oceanica delle parate naziste, i teatri, che Hitler vuole gremiti quando si suonano Wagner e Beethoven, e perfino i campi di sterminio, dove le SS non rinunciano all’allegria di una banda.
Lo sa bene Remo Anzovino, autore della colonna sonora di “Hitler contro Picasso e gli altri”, il documentario di Nexo Digital e 3D Produzioni che il 13 e il 14 marzo racconterà nei cinema italiani gli oscuri intrecci tra il Nazionalsocialismo e l’arte: geni assoluti interdetti dall’esercizio del proprio lavoro, quadri razziati dai musei di mezza Europa, opere estorte in cambio o insieme alla vita dei loro proprietari, e la passione divorante dei nazisti per i capolavori dell’antichità.
Vicende apparentemente destinate all’oblio, che tornano alla ribalta quasi per caso o per la testarda volontà degli eredi di chi c’era, dando origine a mostre, dibattiti, controversie giudiziarie.
Parliamo con Remo del progetto cinematografico a cui ha preso parte e di come è riuscito a risvegliare, per sé e per il pubblico, il canto di storie sepolte.
“Quando mi hanno chiesto di scrivere la colonna sonora di “Hitler contro Picasso e gli altri”, mi sono subito reso conto di essere di fronte a un soggetto davvero potente. Il racconto si sviluppava su più piani: un pezzo di storia del Nazismo, la Shoah e un’importante pagina di storia dell’arte, tutte osservate da un punto di vista nuovo e ravvicinato. Una notevole opportunità e una responsabilità altrettanto grande. Ho pensato che un film come questo avesse bisogno di una musica che si sposasse con la sceneggiatura e con il linguaggio delle immagini, ma che avesse anche una personalità forte e autonoma, una vita propria oltre lo schermo.
Ho avuto la fortuna di poter seguire il progetto fin dalla sua nascita, questo mi ha permesso di immergermi nel racconto e immaginare gradualmente tutte le parti del film, pensando allo stile, all’organico, al suono che avrei voluto creare. Infine, come ogni volta che affronto un lavoro legato a un preciso periodo storico, ho cercato di calarmi nelle atmosfere dell’epoca ascoltando della musica che fosse legata a quelle vicende”.
Ti sei ispirato anche ai capolavori e agli artisti di cui si parla nel film? A Picasso, a Chagall, a Kandinskij o ad altri protagonisti delle avanguardie?
“Prima di tutto ho cercato di saperne di più sulla grande mostra sull’arte ‘degenerata’, scoprendo che lì dentro c’erano i più grandi artisti di sempre. A guidarmi nella composizione è stata una frase di Picasso: ‘La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti, ma è uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico’. Così ho sentito di dover scrivere una musica che fosse capace di arrivare alla pancia e al cuore degli spettatori.
Poi ho cercato di capire cosa fosse per Hitler e i suoi la musica ‘degenerata’, perché esisteva anche quella. Tra gli artisti più odiati dal regime c’era Dmitrij Šostakovič, uno dei miei compositori prediletti. Davanti al pentagramma mi sono detto: nel mio piccolo devo essere un po’ ‘degenerato’ anch’io! Sono andato a riascoltare Šostakovič, Ligeti e altri maestri poco graditi al Reich, ho cercato di entrare nella loro musica”.
Come hai fatto a trasportare tutto questo sul pentagramma?
“Ho cercato di comporre della musica orchestrale che fosse anche moderna, dal suono ben teso come è tesa la storia. Ho perseguito l’obiettivo attraverso scelte legate ai rumori, al movimento, anche quello di uno strumento elettronico storico come l’MS20 della Korg, che ho applicato sulle linee dei contrabassi e dei violoncelli. La decisione di avere nel nostro team un musicista come Federico Mecozzi, forte di un’importante esperienza con Ludovico Einaudi, andava proprio nella direzione di lavorare sul suono.
L’ispirazione è nata guardando le scene legate al testamento di Hitler, per cui ho composto il primo tema. Poi è arrivato The Innocents, il tema principale, affidato al Piccolo Coro Artemìa: bambini dalla preparazione e dalla disciplina straordinarie, la cui voce per me rappresenta quella degli artisti e delle persone che hanno pagato con la vita la propria passione per l’arte.
Il secondo tema, che è un tema d’amore, si chiama Artists live forever: significa che, grazie alle loro creazioni, gli artisti sopravvivono al male. I nazisti hanno saccheggiato i musei e le case dei collezionisti, hanno sotterrato le opere d’arte nel profondo delle miniere, ma queste sono riemerse per restare qui in eterno, mentre i loro avversari sono stati sepolti dal giudizio della storia”.
Remo Anzovino | Foto: Gianluca Moro
Come osservavi prima, la vicenda narrata è vasta e ricca di spunti. Quali atmosfere hai scelto di restituire nelle tue composizioni?
“Nel film si alternano atmosfere diverse. Per esempio c’è una scena dedicata alle feste mondane che un facoltoso gallerista teneva in un castello di Amsterdam, al suono di un’orchestra in stile viennese. Di qui è nato Macabre Waltz (Valzer macabro), che cita i valzer di Strauss creando un forte contrasto con contenuti che grondano di morte. In altri brani ho accentuato elementi che potessero comunicare l’idea di ossessione: tempi dispari, ostinato, un lavoro importante sul contrappunto orchestrale.
C’è anche una marcia militare, una marcia “storta” in un insolito tempo 5/8. Ha il titolo evocativo di All Mine (Tutto mio): sul suono ossessivo delle viole ho inserito il campionamento del rumore di un trapano dentro un muro, per provocare una sensazione di fastidio non immediatamente decodificabile. In Strangling (Strangolamento) invece è stato usato un violino completamente scordato filtrato attraverso un crystallizer, ottenendo sonorità che richiamano la musica concreta.
Naturalmente ho cercato di dare voce alle emozioni: il senso di annichilimento, la speranza, la forza di lottare. Come quella di chi si è impegnato a distanza di decenni in complesse battaglie legali, non tanto per il valore dei quadri contesi, quanto per il bisogno di recuperare un pezzo della propria storia, le radici spezzate dal male”.
In passato hai composto musiche per film muti, colonne sonore per il cinema contemporaneo, hai sperimentato nuove possibilità di interazione tra suono e immagine. Che posto occupa Hitler contro Picasso e gli altri nel tuo percorso?
“È stata una grandissima occasione: ho potuto comporre una colonna sonora per un film all’interno del quale lo spazio per la musica è veramente notevole: una rarità in questo momento, almeno in Italia.
Ma il documentario rappresenta una pagina importante della mia vita artistica anche per la nuova collaborazione con Nexo Digital e per il sodalizio con 3D Produzioni, con cui sono al terzo film. Ho sentito una grande sintonia con i professionisti che hanno condiviso con me questa avventura - il regista Claudio Poli, il direttore artistico Michele Malli, la sceneggiatrice Didi Gnocchi - e contemporaneamente ho avuto la fortuna di lavorare in libertà e autonomia. Infine ho un bellissimo ricordo di tutti i professori che hanno contribuito alla colonna sonora: questo progetto è stato segnato da un’atmosfera di grande partecipazione alle storie del film, al di là della musica e dell’impegno professionale”.
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Vicende apparentemente destinate all’oblio, che tornano alla ribalta quasi per caso o per la testarda volontà degli eredi di chi c’era, dando origine a mostre, dibattiti, controversie giudiziarie.
Parliamo con Remo del progetto cinematografico a cui ha preso parte e di come è riuscito a risvegliare, per sé e per il pubblico, il canto di storie sepolte.
“Quando mi hanno chiesto di scrivere la colonna sonora di “Hitler contro Picasso e gli altri”, mi sono subito reso conto di essere di fronte a un soggetto davvero potente. Il racconto si sviluppava su più piani: un pezzo di storia del Nazismo, la Shoah e un’importante pagina di storia dell’arte, tutte osservate da un punto di vista nuovo e ravvicinato. Una notevole opportunità e una responsabilità altrettanto grande. Ho pensato che un film come questo avesse bisogno di una musica che si sposasse con la sceneggiatura e con il linguaggio delle immagini, ma che avesse anche una personalità forte e autonoma, una vita propria oltre lo schermo.
Ho avuto la fortuna di poter seguire il progetto fin dalla sua nascita, questo mi ha permesso di immergermi nel racconto e immaginare gradualmente tutte le parti del film, pensando allo stile, all’organico, al suono che avrei voluto creare. Infine, come ogni volta che affronto un lavoro legato a un preciso periodo storico, ho cercato di calarmi nelle atmosfere dell’epoca ascoltando della musica che fosse legata a quelle vicende”.
Ti sei ispirato anche ai capolavori e agli artisti di cui si parla nel film? A Picasso, a Chagall, a Kandinskij o ad altri protagonisti delle avanguardie?
“Prima di tutto ho cercato di saperne di più sulla grande mostra sull’arte ‘degenerata’, scoprendo che lì dentro c’erano i più grandi artisti di sempre. A guidarmi nella composizione è stata una frase di Picasso: ‘La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti, ma è uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico’. Così ho sentito di dover scrivere una musica che fosse capace di arrivare alla pancia e al cuore degli spettatori.
Poi ho cercato di capire cosa fosse per Hitler e i suoi la musica ‘degenerata’, perché esisteva anche quella. Tra gli artisti più odiati dal regime c’era Dmitrij Šostakovič, uno dei miei compositori prediletti. Davanti al pentagramma mi sono detto: nel mio piccolo devo essere un po’ ‘degenerato’ anch’io! Sono andato a riascoltare Šostakovič, Ligeti e altri maestri poco graditi al Reich, ho cercato di entrare nella loro musica”.
Come hai fatto a trasportare tutto questo sul pentagramma?
“Ho cercato di comporre della musica orchestrale che fosse anche moderna, dal suono ben teso come è tesa la storia. Ho perseguito l’obiettivo attraverso scelte legate ai rumori, al movimento, anche quello di uno strumento elettronico storico come l’MS20 della Korg, che ho applicato sulle linee dei contrabassi e dei violoncelli. La decisione di avere nel nostro team un musicista come Federico Mecozzi, forte di un’importante esperienza con Ludovico Einaudi, andava proprio nella direzione di lavorare sul suono.
L’ispirazione è nata guardando le scene legate al testamento di Hitler, per cui ho composto il primo tema. Poi è arrivato The Innocents, il tema principale, affidato al Piccolo Coro Artemìa: bambini dalla preparazione e dalla disciplina straordinarie, la cui voce per me rappresenta quella degli artisti e delle persone che hanno pagato con la vita la propria passione per l’arte.
Il secondo tema, che è un tema d’amore, si chiama Artists live forever: significa che, grazie alle loro creazioni, gli artisti sopravvivono al male. I nazisti hanno saccheggiato i musei e le case dei collezionisti, hanno sotterrato le opere d’arte nel profondo delle miniere, ma queste sono riemerse per restare qui in eterno, mentre i loro avversari sono stati sepolti dal giudizio della storia”.
Remo Anzovino | Foto: Gianluca Moro
Come osservavi prima, la vicenda narrata è vasta e ricca di spunti. Quali atmosfere hai scelto di restituire nelle tue composizioni?
“Nel film si alternano atmosfere diverse. Per esempio c’è una scena dedicata alle feste mondane che un facoltoso gallerista teneva in un castello di Amsterdam, al suono di un’orchestra in stile viennese. Di qui è nato Macabre Waltz (Valzer macabro), che cita i valzer di Strauss creando un forte contrasto con contenuti che grondano di morte. In altri brani ho accentuato elementi che potessero comunicare l’idea di ossessione: tempi dispari, ostinato, un lavoro importante sul contrappunto orchestrale.
C’è anche una marcia militare, una marcia “storta” in un insolito tempo 5/8. Ha il titolo evocativo di All Mine (Tutto mio): sul suono ossessivo delle viole ho inserito il campionamento del rumore di un trapano dentro un muro, per provocare una sensazione di fastidio non immediatamente decodificabile. In Strangling (Strangolamento) invece è stato usato un violino completamente scordato filtrato attraverso un crystallizer, ottenendo sonorità che richiamano la musica concreta.
Naturalmente ho cercato di dare voce alle emozioni: il senso di annichilimento, la speranza, la forza di lottare. Come quella di chi si è impegnato a distanza di decenni in complesse battaglie legali, non tanto per il valore dei quadri contesi, quanto per il bisogno di recuperare un pezzo della propria storia, le radici spezzate dal male”.
In passato hai composto musiche per film muti, colonne sonore per il cinema contemporaneo, hai sperimentato nuove possibilità di interazione tra suono e immagine. Che posto occupa Hitler contro Picasso e gli altri nel tuo percorso?
“È stata una grandissima occasione: ho potuto comporre una colonna sonora per un film all’interno del quale lo spazio per la musica è veramente notevole: una rarità in questo momento, almeno in Italia.
Ma il documentario rappresenta una pagina importante della mia vita artistica anche per la nuova collaborazione con Nexo Digital e per il sodalizio con 3D Produzioni, con cui sono al terzo film. Ho sentito una grande sintonia con i professionisti che hanno condiviso con me questa avventura - il regista Claudio Poli, il direttore artistico Michele Malli, la sceneggiatrice Didi Gnocchi - e contemporaneamente ho avuto la fortuna di lavorare in libertà e autonomia. Infine ho un bellissimo ricordo di tutti i professori che hanno contribuito alla colonna sonora: questo progetto è stato segnato da un’atmosfera di grande partecipazione alle storie del film, al di là della musica e dell’impegno professionale”.
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