Il grande compositore di Pesaro
Rossini
12/10/2001
Gioacchino Rossini va inserito tra i più eminenti personaggi della storia della musica italiana ed europea del primo Ottocento. In un momento di passaggio tra il declino della tradizione teatrale settecentesca e la nascita del melodramma romantico, l’autore de “Il barbiere di Siviglia” contribuisce in maniera determinante a tale trapasso stilistico.
Nato a Pesaro nel 1792, figlio di un suonatore di tromba e di corno, Giuseppe, e della cantante Anna Guidarini, il piccolo Gioacchino riceve i primi impulsi verso la musica grazie al contesto familiare. Studia a Bologna, dove si trasferisce con i suoi, con padre Tesei e, dopo essersi iscritto nel 1806 alla classe di violoncello, con padre Mattei.
Prima del 1810 ha già composto la cantata “Il pianto d’Armonia sulla morte d’Orfeo” e alcune parti dell’opera “Demetrio e Polibio”, rappresentata a Roma nel 1812. I primi modelli cui si rifà il giovane Rossini sono Cimarosa e Paisiello, ma anche Mozart e il sinfonismo di Haydn.
Inizia a collaborare nei teatri bolognesi come accompagnatore al cembalo, attività che gli permette, insieme ai contatti dei genitori, di inserirsi rapidamente nell’ambiente musicale italiano.
La sua prima opera inscenata è “La cambiale di matrimonio” nel 1810 a Venezia, buon successo seguito molto presto da “L’inganno felice” (1812), prima vera affermazione di Gioacchino Rossini come autore. L’anno successivo con “La pietra del paragone” il musicista pesarese accede addirittura alla Scala di Milano. Tra Venezia e Milano in questi anni mette in scena capolavori come “L’italiana in Algeri” e “Tancredi”.
Nel 1815 si trasferisce a Napoli, dove ottiene un incarico dall’impresario del San Carlo, Domenico Barbaja. Qui esordisce con “Elisabetta, regina d’Inghilterra”, al cui successo contribuisce l’interpretazione di Isabella Colbràn, amante del Barabja, ma più in là moglie di Rossini stesso.
A Roma si impegna con il Teatro Argentina, e qui, nel 1816, va in scena il massimo successo rossiniano, peraltro composto in meno di venti giorni, “Il barbiere di Siviglia”, ma senza grandi consensi.
La celebre opera viene presentata con il titolo di “Almaviva ossia l’inutile precauzione” per non urtare la suscettibilità di Paisiello, che ne è stato il primo autore, ma il vecchio maestro incoraggia un’accesa campagna contro il ventiquattrenne compositore: la prima de “Il barbiere di Siviglia” si risolve in un clamoroso tonfo.
Nonostante tutto ciò, ormai la fama di Rossini è inarrestabile: con opere quali “Cenerentola” (1817), “La gazza ladra” (1817), “Mosè in Egitto” (1818), la musica di Gioacchino comincia ad interessare anche le corti estere.
Poco dopo il matrimonio con la Colbràn, va a Vienna dove oltre ai successi musicali avviene l’incontro con Beethoven. Seguono i soggiorni a Londra e a Parigi, dove diviene direttore del Théâtre des Italiens. In questi anni vedono la luce “L’assedio di Corinto” (1826), ma soprattutto il “Guglielmo Tell” (1829), in cui i critici intuirono immediatamente, a differenza del pubblico, il capolavoro.
Con il 1829 termina la carriera teatrale di Rossini, all’acme della sua fortuna, enigma sulle cui cause molti studiosi si sono divisi.
Nel 1834 dopo il divorzio con Isabella Colbràn il musicista pesarese torna in Italia e di lì a qualche anno accetta la collaborazione con il liceo musicale di Bologna. I moti del 1848 accompagnati dall’accusa di sostenere le posizioni reazionarie, inducono Gioacchino a ripassare le Alpi, stabilendosi a Parigi con la seconda moglie Olimpia Pélissier. Quest’ultima gli sarà vicina fino alla fine: nel 1868 Rossini si spegne nella sua residenza estiva di Passy, nei pressi della capitale francese. Venti anni dopo le sue spoglie vengono traslate in S. Croce a Firenze.
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