Il Museo Sacro

 

28/05/2001

Il “Museo Sacro”, ultima sezione che si incontra nel percorso espositivo, è della mostra e del programma museografico del cardinal Borgia, significativa conclusione. Allestita con la finalità di affiancare alle mitologie e ai costumi propri di popolazioni lontane, perfettamente rappresentati nella casa museo, la componente cristiana, e con l’obiettivo di gettar luce su di un periodo storico ancora tutto da approfondire, la raccolta di “antichità cristiane” è il segno più tangibile del programma cristiano-comparativo sotteso all’intera collezione. Accostando tra loro oggetti ed opere d’arte provenienti dalle più lontane parti del mondo, e dalle più diverse culture, il cardinale Borgia metteva in mostra l’aspirazione della chiesa all’universalità; la componente cristiana del Museum Borgianum doveva essere l’emblema del compito missionario che la chiesa doveva assolvere nel mondo. Il messaggio di Stefano Borgia non poteva essere più chiaro: necessaria alle missioni cristiane era prima di tutto la conoscenza dell’altro, della sua cultura, dei suoi costumi. In tale progetto è riconoscibile l’incredibile modernità di un uomo che, alla fine del ’700, in una cittadina di provincia, dava voce, e gettava luce, su realtà allora quasi sconosciute. Tavole antiche, smalti, vetri, oggetti liturgici, oreficeria, avori, sono i tesori che il cardinale raccolse, ispirato forse dal Museum Christianum in Vaticano, fondato a metà degli anni ‘50 ad opera di Benedetto XIV. L’interesse precoce, dimostrato da Stefano Borgia, verso il Medioevo e la sua produzione artistica è testimoniato dai suoi numerosi studi eruditi, dall’interesse per l’epigrafia e per le “antichità cristiane”. Non c’è dubbio che egli fu uno dei precursori di questo genere di collezionismo “sacro”, se è vero che, come è stato ormai appurato, la raccolta ebbe inizio ben prima di quanto non si sia fin ad ora creduto. Sappiamo infatti, grazie ad un inventario redatto dal domenicano Angelico Becchetti, che nel 1784 la raccolta di “primitivi” era già in buona parte completata; la sua composizione va fatta quindi risalire almeno agli anni ‘60, con notevole anticipo rispetto anche all’importante recupero che della civiltà medievale fece Seroux d’Agincourt nella sua Histoire de l’Art.. Tale riscoperta riflette le influenze e gli stimoli che al cardinale potevano pervenire dalla fitta rete di relazioni che, proprio grazie alle sue ricerche erudite, era riuscito a tessere con gli studiosi più importanti dell’epoca. La volontà di evidenziare fatti e produzioni legati alla storia erudita della propria città d’origine, tipica del campanilismo settecentesco, permea il collezionismo del cardinale Borgia. La presenza di alcune opere quali ad esempio la tavola con Sant’Eleuterio, attribuita al Maestro di Staffolo, ex voto per la peste di Velletri del 1483, o il ritratto di San Pier Damiani, vescovo della città, è motivata proprio dalla ricerca di soggetti iconografici che rimandino alla storia di Velletri. Nella stessa direzione vanno le attribuzioni di alcune opere a maestri locali, avanzate dal cardinale Borgia per portare avanti la tesi dell’esistenza di una scuola pittorica veliterna: è il caso del Trittico di Taddeo Gaddi e della Visitazione di Bicci di Lorenzo. Lo spirito con cui Stefano Borgia realizzò la sua raccolta di “primitivi” è quindi da collocare, nel pieno orizzonte dell’erudizione settecentesca ed allo stesso tempo in una prospettiva di universalismo cristiano ancora da raggiungere.

 
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