“Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce” al cinema dal 26 al 28 novembre
Impressioni elettroniche: con Remo Anzovino nei suoni di Monet
Claude Monet, Ninfee di sera | Courtesy of Nexo Digital
Francesca Grego
23/11/2018
“Un viaggio nella luce e nel super occhio di Monet”: reduce dal successo al London Jazz Festival, Remo Anzovino descrive così la sua ultima colonna sonora. Prodotto da Ballandi Art e Nexo Digital, da lunedì 26 a mercoledì 28 novembre Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce porterà nei cinema italiani l’anima e l’eredità del grande pittore francese attraverso la storia di un singolare capolavoro – la Grand Décoration - e dei fiori acquatici che lo ispirarono.
Ma quali suoni aleggiano sul leggendario stagno delle Ninfee? Lo chiediamo ad Anzovino, che con Claude Monet è ormai in confidenza: oltre ad aver composto le musiche per il film diretto da Giovanni Troilo, è appena partito per una tournée nei teatri italiani insieme a Marco Goldin, con lo spettacolo La grande storia dell’Impressionismo.
Allora Remo, qual è il suono di Monet?
“È un suono potente, ipnotico, avvolgente e assolutamente contemporaneo. È fatto di acqua, luce, mistero…ed elettronica”.
Quali scelte hanno disegnato il carattere di questa colonna sonora?
“D’accordo con Giovanni Troilo, ho deciso di tenere fuori ogni riferimento alla musica dell’epoca e all’Impressionismo inteso in senso musicale: il film è tutt’altro che una ricostruzione filologica, piuttosto è un viaggio potente ed emozionante nell’eredità di Monet attraverso i suoi luoghi e la sua storia.
Bando alla nostalgia, ho cercato di rendere tutto questo contemporaneo e le scelte fondamentali sono state quelle riguardanti l’organico. Se il ricorso all’orchestra era d’obbligo di fronte alla grandiosità della Grand Décoration e della figura di Monet, affiancarle dei suoni elettronici significava attualizzare i paesaggi della Normandia che Troilo ritrae in meravigliosi totali e sottolineare anche con la musica la modernità di Monet. Ai piani sinfonici ed elettronici si intreccia quello cameristico, che ascoltiamo per esempio nel tema principale per pianoforte, violoncello e glockenspiel. Della musica impressionista composta cavallo tra Ottocento e Novecento resta solo un’eco nelle scelte armoniche.
Ad agire da collante tra i diversi momenti della colonna sonora è invece la superba voce femminile di Martina Grossi, usata come puro suono. A Martina ho chiesto di cercare un colore che evocasse l’idea di una ninfa, perché per Monet le ninfee erano un simbolo di mistero e seduzione. Un canto da sirena, come quello con cui i fiori galleggianti avvinsero l’artista per ben 12 anni”.
Monet è forse uno dei pittori che più si prestano a essere tradotti in musica… Quali elementi hanno attratto il tuo interesse di musicista?
“Ovviamente mi ha affascinato il suo rapporto con la luce e mi sono presto reso conto che la sua lezione sulla luce sia anche una lezione sulla vita: le emozioni contraddittorie che segnano l’esistenza delle persone sono esattamente come la luce che, diceva Monet, cambia ogni sette minuti.
Poi mi ha colpito la crisi che lo colse quando era già in là con gli anni, nonostante fosse una persona e un artista risolto, ormai famoso e dotato di una certa stabilità economica. La morte della seconda moglie e del primogenito, la decadenza del giardino di Giverny a causa della guerra, la graduale perdita della vista lo precipitarono in una profonda depressione.
E infine ho trovato molto stimolante lavorare sul tema dell’alterazione della percezione cromatica cui Monet andò incontro. Attraverso una serie di inquadrature con la camera a infrarossi il regista Giovanni Troilo ci restituisce il deterioramento della visione dell’artista, che trova una diretta corrispondenza nella musica: anche i suoni dell’orchestra si alterano virando verso atmosfere elettroniche.
Se No Way Out, eseguito da corno e orchestra, comunica la disperazione di Monet, con quattro note di celesta ripetute e sfalsate Something Ethernal esprime la sua rivincita. Dopo anni di oblio, a riscoprirlo saranno artisti americani come Jackson Pollock ed Andy Warhol, che di fronte a un suo quadro esclama ‘Monet era più avanti di tutti noi’”.
Rumori, inserimenti insoliti e suoni sperimentali hanno spesso trovato spazio nelle tue composizioni. Hai osato anche con Monet?
“Uno dei vantaggi di scrivere colonne sonore è che ti permette di fare scelte molto libere, seppure al servizio della narrazione. Per esempio in un movimento fondamentale che si chiama Following Light, le viole e i violini riproducono in maniera onomatopeica il verso insistente delle cicale che invade il mio studio nei pomeriggi estivi: superata la prima sensazione di fastidio, mi sono reso conto che scandiva il ritmo del mio comporre e ho immaginato questo canto nel giardino di Giverny.
Per le scene subacquee, tra le più belle in questo film, ho escogitato varie soluzioni. Ho pensato di rendere le sensazioni dell’acqua e della luce attraverso il suono dell’arpa, trasformandolo attraverso un’app, l’Ableton. Nel brano Underwater ho usato il pianoforte percuotendo le corde con un martelletto o pizzicandole con le mani, mentre in Phasing Heart - che ascoltiamo immersi nello stagno delle ninfee- ho cercato dei suoni ‘di vetro’ sfregando un vibrafono con l’archetto. Una serie di accorgimenti che vanno tutti nella stessa direzione: creare il sound di un incantesimo”.
La Grand Décoration è un’opera innovativa sotto diversi aspetti: mette l’immagine in rapporto con il tempo e avvolge lo spettatore in una dimensione altra, realizzando quella che oggi definiremmo un’installazione ambientale. Quale potrebbe essere il suo equivalente musicale?
“L’idea di un’opera totale che fonda più linguaggi mi fa pensare a Tristano e Isotta di Wagner, una creazione che appartiene alla storia ed è precedente allo stesso Monet.
Mi viene invece in mente la Sagra della Primavera di Stravinskij, più vicina al mio gusto personale, se cerco un’opera potente, universale, innovativa, capace di tenere uniti più motivi e di dar voce a una dimensione recondita come fa la Grand Décoration”.
Qual è il valore aggiunto di questa esperienza, rispetto ad altre colonne sonore che hai firmato, da Hitler contro Picasso e gli altri a Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo?
“Scrivere una colonna sonora è sempre un viaggio. ‘Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce’ mi ha consentito di fare scelte musicali completamente diverse, di trovare un colore radicalmente nuovo rispetto a ogni mia precedente esperienza. In particolare, l’elettronica è il liquido amniotico di questa colonna sonora: anche i brani sinfonici hanno sotto una serie di droni elettronici, di sporcature, di rumori, che agiscono in consonanza con le immagini di Monet, restituendocene tutto il mistero.
Più in generale, è stata un’esperienza di scrittura molto coinvolgente, direi immersiva, cui hanno concorso la storia, l’artista, il modo di girare il film, si pensi all’incredibile qualità della fotografia di Troilo.E un sentito grazie per la preziosa collaborazione va ai musicisti Federico Mecozzi, Cristian Bonato, Martina Grossi, Anselmo Pelliccioni, Massimo Mondaini, Marco Torsani, Elena Giri, senza i quali non sarebbe stato possibile raggiungere questi risultati”.
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Ma quali suoni aleggiano sul leggendario stagno delle Ninfee? Lo chiediamo ad Anzovino, che con Claude Monet è ormai in confidenza: oltre ad aver composto le musiche per il film diretto da Giovanni Troilo, è appena partito per una tournée nei teatri italiani insieme a Marco Goldin, con lo spettacolo La grande storia dell’Impressionismo.
Allora Remo, qual è il suono di Monet?
“È un suono potente, ipnotico, avvolgente e assolutamente contemporaneo. È fatto di acqua, luce, mistero…ed elettronica”.
Quali scelte hanno disegnato il carattere di questa colonna sonora?
“D’accordo con Giovanni Troilo, ho deciso di tenere fuori ogni riferimento alla musica dell’epoca e all’Impressionismo inteso in senso musicale: il film è tutt’altro che una ricostruzione filologica, piuttosto è un viaggio potente ed emozionante nell’eredità di Monet attraverso i suoi luoghi e la sua storia.
Bando alla nostalgia, ho cercato di rendere tutto questo contemporaneo e le scelte fondamentali sono state quelle riguardanti l’organico. Se il ricorso all’orchestra era d’obbligo di fronte alla grandiosità della Grand Décoration e della figura di Monet, affiancarle dei suoni elettronici significava attualizzare i paesaggi della Normandia che Troilo ritrae in meravigliosi totali e sottolineare anche con la musica la modernità di Monet. Ai piani sinfonici ed elettronici si intreccia quello cameristico, che ascoltiamo per esempio nel tema principale per pianoforte, violoncello e glockenspiel. Della musica impressionista composta cavallo tra Ottocento e Novecento resta solo un’eco nelle scelte armoniche.
Ad agire da collante tra i diversi momenti della colonna sonora è invece la superba voce femminile di Martina Grossi, usata come puro suono. A Martina ho chiesto di cercare un colore che evocasse l’idea di una ninfa, perché per Monet le ninfee erano un simbolo di mistero e seduzione. Un canto da sirena, come quello con cui i fiori galleggianti avvinsero l’artista per ben 12 anni”.
Monet è forse uno dei pittori che più si prestano a essere tradotti in musica… Quali elementi hanno attratto il tuo interesse di musicista?
“Ovviamente mi ha affascinato il suo rapporto con la luce e mi sono presto reso conto che la sua lezione sulla luce sia anche una lezione sulla vita: le emozioni contraddittorie che segnano l’esistenza delle persone sono esattamente come la luce che, diceva Monet, cambia ogni sette minuti.
Poi mi ha colpito la crisi che lo colse quando era già in là con gli anni, nonostante fosse una persona e un artista risolto, ormai famoso e dotato di una certa stabilità economica. La morte della seconda moglie e del primogenito, la decadenza del giardino di Giverny a causa della guerra, la graduale perdita della vista lo precipitarono in una profonda depressione.
E infine ho trovato molto stimolante lavorare sul tema dell’alterazione della percezione cromatica cui Monet andò incontro. Attraverso una serie di inquadrature con la camera a infrarossi il regista Giovanni Troilo ci restituisce il deterioramento della visione dell’artista, che trova una diretta corrispondenza nella musica: anche i suoni dell’orchestra si alterano virando verso atmosfere elettroniche.
Se No Way Out, eseguito da corno e orchestra, comunica la disperazione di Monet, con quattro note di celesta ripetute e sfalsate Something Ethernal esprime la sua rivincita. Dopo anni di oblio, a riscoprirlo saranno artisti americani come Jackson Pollock ed Andy Warhol, che di fronte a un suo quadro esclama ‘Monet era più avanti di tutti noi’”.
Rumori, inserimenti insoliti e suoni sperimentali hanno spesso trovato spazio nelle tue composizioni. Hai osato anche con Monet?
“Uno dei vantaggi di scrivere colonne sonore è che ti permette di fare scelte molto libere, seppure al servizio della narrazione. Per esempio in un movimento fondamentale che si chiama Following Light, le viole e i violini riproducono in maniera onomatopeica il verso insistente delle cicale che invade il mio studio nei pomeriggi estivi: superata la prima sensazione di fastidio, mi sono reso conto che scandiva il ritmo del mio comporre e ho immaginato questo canto nel giardino di Giverny.
Per le scene subacquee, tra le più belle in questo film, ho escogitato varie soluzioni. Ho pensato di rendere le sensazioni dell’acqua e della luce attraverso il suono dell’arpa, trasformandolo attraverso un’app, l’Ableton. Nel brano Underwater ho usato il pianoforte percuotendo le corde con un martelletto o pizzicandole con le mani, mentre in Phasing Heart - che ascoltiamo immersi nello stagno delle ninfee- ho cercato dei suoni ‘di vetro’ sfregando un vibrafono con l’archetto. Una serie di accorgimenti che vanno tutti nella stessa direzione: creare il sound di un incantesimo”.
La Grand Décoration è un’opera innovativa sotto diversi aspetti: mette l’immagine in rapporto con il tempo e avvolge lo spettatore in una dimensione altra, realizzando quella che oggi definiremmo un’installazione ambientale. Quale potrebbe essere il suo equivalente musicale?
“L’idea di un’opera totale che fonda più linguaggi mi fa pensare a Tristano e Isotta di Wagner, una creazione che appartiene alla storia ed è precedente allo stesso Monet.
Mi viene invece in mente la Sagra della Primavera di Stravinskij, più vicina al mio gusto personale, se cerco un’opera potente, universale, innovativa, capace di tenere uniti più motivi e di dar voce a una dimensione recondita come fa la Grand Décoration”.
Qual è il valore aggiunto di questa esperienza, rispetto ad altre colonne sonore che hai firmato, da Hitler contro Picasso e gli altri a Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo?
“Scrivere una colonna sonora è sempre un viaggio. ‘Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce’ mi ha consentito di fare scelte musicali completamente diverse, di trovare un colore radicalmente nuovo rispetto a ogni mia precedente esperienza. In particolare, l’elettronica è il liquido amniotico di questa colonna sonora: anche i brani sinfonici hanno sotto una serie di droni elettronici, di sporcature, di rumori, che agiscono in consonanza con le immagini di Monet, restituendocene tutto il mistero.
Più in generale, è stata un’esperienza di scrittura molto coinvolgente, direi immersiva, cui hanno concorso la storia, l’artista, il modo di girare il film, si pensi all’incredibile qualità della fotografia di Troilo.E un sentito grazie per la preziosa collaborazione va ai musicisti Federico Mecozzi, Cristian Bonato, Martina Grossi, Anselmo Pelliccioni, Massimo Mondaini, Marco Torsani, Elena Giri, senza i quali non sarebbe stato possibile raggiungere questi risultati”.
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