L'apoteosi del Barocco
Pietro da Cortona
25/02/2004
Incontrastato campione del Barocco pittorico e architettonico, Pietro da Cortona (Pietro Berrettini, detto, 1596-1669) ebbe una modesta formazione nell’ambito del tardomanierismo fiorentino presso lo studio del suo maestro, il pittore A. Commodi.
Ben presto però gli orizzonti del giovane artista toscano si ampliarono grazie al trasferimento nell’urbe, sempre a seguito del Commodi. Dopo una prima frequentazione di atelier di artisti toscani, fra cui la bottega di Baccio Ciarpi, il Cortona finalmente entrò in contatto con gli ambienti romani di tendenza classicista, fondamentali nel completamento della formazione del giovane pittore e futuro architetto.
Sono i primi anni del Seicento, e Roma offriva, ad artisti e visitatori, la possibilità di scoprire tesori nuovi ed antichi, che nessuna capitale europea in quel momento storico poteva vantare di possedere; collezionisti, antiquari ed ancora nobili mecenati, ma soprattutto la corte papale, donavano a giovani talenti come il Cortona l’opportunità di studiare le vestigia antiche e i capisaldi pittorici dell’epoca moderna, quali Raffaello o i Carracci.
Proprio attraverso la frequentazione assidua di nobili illustri, nonchè amanti dell’arte, come il marchese Marcello Sacchetti e il collezionista Cassiano dal Pozzo, il Berrettini approfondì il gusto per l’antico e l’interesse per i grandi maestri della pittura del Cinquecento. Tra le esperienze di capitale importanza della sua fase formativa, dovettero infatti porsi lo studio della Colonna Traiana (fissati in una serie di disegni) e la visione dei Baccanali di Tiziano, in quegli anni nelle sale di Palazzo Aldobrandini a Roma.
Cominciò così a realizzare, nel corso degli anni venti, dipinti come “Il sacrificio di Polissena” e “Il ratto delle Sabine”, ora ai Musei Capitolini di Roma, dove è possibile scorgere, nell’innesto fra la classicità delle forme di antica memoria e l’acceso colorismo di matrice veneta, una nuova sensibilità per il movimento delle figure nella composizione, movimento di forme che diventerà il tratto peculiare dell’arte barocca.
Presto arrivarono le prime commissioni importanti, soprattutto imprese decorative ad affresco quali la decorazione della Galleria di Palazzo Mattei di Giove del 1622 e le “Storie di Santa Bibiana” nella chiesa omonima, risalenti al 1626.
Ma come abbiamo preannunciato prima, il Cortona non fu solo un geniale pittore: il suo talento cominciò ben presto a indirizzarsi anche nella realizzazione di splendide ed innovative opere architettoniche, al pari di artisti-architetti del calibro di Bernini e Borromini.
È sicuramente un peccato a questo proposito non avere oggi la possibilità di ammirare la Villa del Pigneto progettata dallo stesso Cortona per i Sacchetti nel 1630 ed andata poi distrutta.
Certamente non distrutta, anzi in ottime condizioni grazie ad un recente restauro è la volta del salone di Palazzo Barberini a Roma, che il maestro toscano iniziò ad affrescare nel 1633. La volta raffigurante il “Trionfo della divina Provvidenza”, dovette apparire all’epoca come un esempio altissimo e innovativo di pittura murale, dove all’eloquenza narrativa raffaellesca si unì la vivacità del colore veneto in una composizione basata su molteplici prospettive ed un uso ardito dell’illusionismo ottico.
Senz’altro la volta di palazzo Barberini rappresentò un caposaldo nello sviluppo della decorazione seicentesca a Roma, ma non meno importanti furono le opere che la seguirono.
Fra queste opere dobbiamo ricordare le meravigliose stanze di Palazzo Pitti a Firenze, affrescate dal Cortona per volere del Granduca Ferdinando I ; il lavoro durò alcuni anni, prima l’artista affrescò la Stanza della stufa, che dovette lasciare incompleta a causa dell’impegno del Salone di Palazzo Barberini a Roma, nel 1640 però il Cortona tornò a Firenze per dare compimento alla sua opera e nello stesso tempo cominciarne una nuova. Soddisfatto del lavoro Ferdinando I incaricò il pittore toscano di decorare altre sette stanze dello stesso Palazzo (poi ridotti a cinque), le cosidette “Stanze dei Pianeti” portate a termine nel 1647. Qui i colori della tavolozza si schiariscono rispetto alla Volta Barberini, sulla scia dei grandi maestri veneti ormai noti al pittore non solo attraverso i Baccanali di Tiziano, ma grazie ad un viaggio che intraprese alla volta della Serenissima.
Ritornato definitivamente a Roma nel 1647, il Berrettini fu subito richiesto dai Filippini per la decorazione della Chiesa di S. Maria in Vallicella; dipinse la cupola, la tribuna, e infine la volta della navata, con episodi della vita di San Filippo Neri, un lavoro che durò dal 1650 circa fino al 1665.
Non solo i Filippini però beneficiarono nel corso di quegli anni dell’estro del genio toscano: tra il 1651 e il 1654 affrescò per Innocenzo X Pamphilj “Le storie di Enea” nel Palazzo di famiglia a piazza Navona, ma soprattutto si dedicò ad importanti opere architettoniche quali la facciata di S. Maria in via Lata e l’intervento in S. Maria della Pace, che insieme alla risistemazione della Chiesa di Santi Luca e Martina, operata alcuni anni prima, giovò al Cortona il riconoscimento come uno dei maggiori architetti del Seicento.
Molte altre opere, non certo meno importanti di quelle enunciate qui, concorsero a creare l’indistruttibile fama del Cortona quale genio del Barocco romano, genio che ha saputo rinnovare la tradizione classica alla luce di una moderna e del tutto nuova passione per l’esuberanza compositiva, lasciando gli spettatori di ieri e di oggi abbagliati e rapiti da un tourbillon di forme e colori che pochi altri maestri hanno saputo creare in secoli di storia dell’arte.
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