Alla Biennale i tesori ritrovati del Museo di Baghdad
L’arte dell’Iraq a Venezia, contro il genocidio culturale dell’Isis

Di Solider 16IQ (Opera propria) [CC BY-SA 4.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], attraverso Wikimedia Commons |
Iraq Museum, Baghdad, statua assira in pietra calcarea
Francesca Grego
22/02/2017
Quaranta opere delle antiche civiltà mesopotamiche provenienti dall’Iraq Museum di Baghdad saranno in mostra nel padiglione iracheno della 57ma Biennale di Venezia, insieme ai lavori di otto artisti contemporanei. È solo il primo passo per sanare i traumi inflitti all’arte e alla cultura del paese dalle azioni distruttive dell’Isis, ma anche dai saccheggi che hanno accompagnato la guerra del 2003.
Immagini di dei e animali, vasi, strumenti medici e musicali, libri incisi su tavolette d’argilla sono i simboli di un luminoso passato che Tamara Chalabi, curatrice del progetto insieme a Paolo Colombo, spera possa al più presto saldarsi al presente.
Da decenni in Iraq si era persa l’abitudine di mandare i tesori nazionali in giro per i musei del mondo, tendenza ulteriormente rafforzata dagli ultimi furti e razzie, che hanno stimolato un eccessivo senso di protezione verso un patrimonio faticosamente messo in salvo. Alcuni degli artefatti in arrivo a Venezia fanno parte del corpus di 5000 opere perse con la caduta di Saddam Hussein e recuperate durante i 12 lunghi anni di chiusura del Museo di Baghdad, mentre di altre 10 mila non resta traccia.
“Oggi è più importante che mai che questi oggetti siano ammirati e compresi nel loro significato culturale fuori dall’Iraq, mentre l’arte è nichilisticamente distrutta a Palmira, Nimrud e Mosul”, spiega Tamara Chalabi. Ai silenziosi testimoni del tempo in cui l’Iraq fu la culla della civiltà, è affidata ora una nuova importante missione: far sapere al mondo che in Iraq l’arte è viva e pronta a rifiorire.
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“Oggi è più importante che mai che questi oggetti siano ammirati e compresi nel loro significato culturale fuori dall’Iraq, mentre l’arte è nichilisticamente distrutta a Palmira, Nimrud e Mosul”, spiega Tamara Chalabi. Ai silenziosi testimoni del tempo in cui l’Iraq fu la culla della civiltà, è affidata ora una nuova importante missione: far sapere al mondo che in Iraq l’arte è viva e pronta a rifiorire.
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