In attesa del nuovo allestimento di Juan Navarro Baldeweg
La Vittoria Alata di Brescia: storia del capolavoro che stregò D'Annunzio e Napoleone
La Vittoria Alata prima del restauro | Courtesy Archivio fotografico Civici Musei di Brescia - Fotostudio Rapuzzi
Samantha De Martin
02/11/2020
È tornata nuovamente nella sua Brescia appena una settimana fa, salutata dall’affetto di una folla festante. Ci piace immaginarla dormiente, nelle due casse rosse impiegate per il trasporto, con le sue lunghe ali piumate che, grazie al recente restauro, hanno acquistato una morbidezza e una vaporosità prima nascoste.
Adesso la Vittoria Alata, dopo due anni di assenza dalla sua città, al termine del restauro condotto a Firenze dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, aspetta il suo giorno. Dal prossimo 20 novembre, grazie al nuovo allestimento progettato per il Capitolium dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg, che valorizzerà ancora di più la sua bellezza magnetica, tornerà a dare speranza, con la sua familiare e identitaria presenza, a una città che oggi, più che mai, ha bisogno del conforto del suo amato bronzo.
In attesa di ammirarla nella sua nuova sede, in compagnia dell’archeologa Francesca Morandini, Responsabile del Servizio collezioni e aree archeologiche presso i Musei Civici d’Arte e Storia di Brescia, ripercorriamo la storia, ancora ricca di misteri, di questa scultura straordinaria.
Quasi 200 anni fa l'eccezionale ritrovamento
Era la sera del 20 luglio 1826 quando la vanga degli scavatori - impegnati nella campagna di scavo presso i resti del Capitolium dell’antica Brixia - si imbatté nel bronzo della Vittoria Alata. Da un’intercapedine tra due muri del tempio, al di sotto di ‘‘carboni bruciati e terriccio’’, riemerse un insieme di bronzi straordinari e, tra questi, “una statua muliebre avvolta in panni maestrevolmente scherzati”.
La statua aveva le braccia staccate e adagiate lungo i fianchi e si presentava protetta da almeno 85 cornici in bronzo lavorate. Accanto alla testa, poste una sopra l’altra, furono ritrovate due grandi ali, mentre, lungo il fianco e vicino ai piedi, erano riposte cinque teste, ritratti di imperatori romani, una statua più piccola in bronzo dorato e il pettorale di una statua equestre.
Da Brescia all’Europa il tam tam di una scoperta
Nonostante l’entusiasmo e l’incredulità generale, si dovette attendere il giorno seguente per procedere all’estrazione delle opere dal terreno. Alla presenza dell’archeologo Luigi Basiletti, la grande statua della Vittoria fu la prima ad essere prelevata. Per domare l’entusiasmo generale scaturito dalla straordinaria risonanza della notizia, ma anche per motivi di sicurezza, oltre che per permettere alle tante persone di ammirare il rinvenimento, le autorità decisero di trasferire i bronzi nell’ex Convento di san Domenico attraverso un corteo festante accompagnato da un concerto di campane tra ali di folla in visibilio.
La Vittoria Alata circondata dal personale del Museo in un'immagine di inizio Novecento
Una conferma straordinaria avvenuta grazie al restauro
“Il restauro - spiega l’archeologa Francesca Morandini - ha fugato una serie di dubbi che si trascinavano dall’Ottocento a oggi. La prima cosa che è bene evidenziare è che l’intervento condotto all’Opificio delle Pietre dure di Firenze ha confermato quello che sospettavamo da tempo. E cioè che la statua, realizzata in un unico momento, modellata e fusa intorno alla metà del I secolo d.C, fu concepita sin dall’inizio come Vittoria Alata. Questo dato è importantissimo, dal momento che, sin dall’inizio della sua scoperta, il fatto di averla trovata con le braccia e le ali staccate fece pensare che corpo e ali fossero stati realizzati in momenti diversi e che la statua fosse l’esito di una modifica, un’Afrodite trasformata in seguito in Vittoria. Adesso sappiamo con certezza che non fu così”.
Maestosità e leggerezza
Il bronzo riproduce una figura femminile alata, alta poco meno di due metri, con una postura oggi incompleta per la perdita di alcuni elementi che ne completavano il gesto e la posizione di equilibrio. Il piede sinistro, leggermente rialzato rispetto al destro, doveva poggiare sull’elmo di Marte. Il braccio sinistro doveva invece trattenere uno scudo sul quale, con uno stilo, la divinità aveva inciso il nome del vincitore.
Un chitone leggero, trattenuto in alto da due fermagli, ne accarezza il corpo, mentre la veste, leggermente scesa sulla spalla destra con un delicato panneggio, lascia scoperto anche il seno, aderendo, sul resto del busto con un effetto quasi di bagnato. La raffinata acconciatura avvolge i capelli in una sorta di chignon, mentre una fascia illuminata da agemine in argento, che riproducono rosette e foglie di olivo, cinge il capo della statua.
Due ampie ali caratterizzate da lunghe piume, che grazie al recente restauro hanno acquistato una morbidezza e vaporosità prima nascoste, conferiscono alla figura un senso di estrema leggerezza.
Vittoria Alata, restauro dell'Opificio delle Pietre Dure
Un bronzo venuto da non troppo lontano
Ad oggi non conosciamo l’autore di questo bronzo - silenzioso testimone di un lungo viaggio nello spazio e nel tempo, con radici profonde nella cultura figurativa classica - e nemmeno il luogo esatto nel quale fu realizzato.
“Uno studio ha ipotizzato la presenza di officine bronzistiche di alta qualità non lontane dalla città. Alcune analisi provano, inoltre, che alcuni elementi della Vittoria Alata sono compatibili con l’area bresciana. Ma non si esclude che la statua possa giungere anche da altre zone dell’Italia settentrionale. Quello che più affascina è che le analisi non si esauriscono con l’allestimento della Vittoria nel Capitolium, ma andranno avanti anche nei prossimi mesi”.
Un dono per Brixia?
“La Vittoria Alata potrebbe essere stata un dono alla città a seguito di una vittoria militare. Non è un caso che i suoi attributi siano rappresentati da uno scudo, sul quale lei stessa aveva inciso il nome del vincitore offrendolo alla vista, e un elmo un tempo collocato sotto il piede sinistro, dove oggi permane un vuoto. Potrebbe trattarsi dell’elmo di Marte, a indicare la superiorità della Vittoria sullo stesso dio della guerra. Sappiamo inoltre che gli antichi Brixiani sostennero l’imperatore Vespasiano negli scontri armati del 69 d.C. contro gli eserciti di Otone e Vitellio. Pertanto l’imperatore stesso potrebbe aver donato la statua al tempio della città per ringraziarla dell’esisto favorevole di quegli scontri. Ipotesi rafforzata anche dal frontone del tempio Capitolino, dove fu scolpito proprio il nome dell’imperatore flavio”.
La Vittoria, destinata alla fusione, salvata da un pagano zelante
Perché, e in che periodo, la Vittoria fu nascosta assieme agli altri bronzi? Le ipotesi che ruotano attorno a questo mistero costituiscono forse l’elemento più affascinate dell’avvincente storia del bronzo.
“La Vittoria non fu nascosta da sola - spiega Francesca Morandini -. Assieme a lei fu conservata un’enorme quantità di bronzi che rappresenta un unicum dal punto di vista archeologico, sia per la quantità di materiali che per il grado di conservazione. Quando il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero, anche il tempio pagano di Brescia perse probabilmente la sua funzione, avviandosi a diventare oggetto di spoglio. Allora ci piace immaginare che qualcuno, forse un pagano zelante aiutato da altre persone, abbia voluto proteggere questi bronzi per evitare che venissero fusi diventando monete, armi, o magari campane. Questa ipotesi sembra essere suffragata da un altro scavo realizzato nel 1998, nel corso del quale, in un vano sottostante il tempio, vennero ritrovati centinaia di oggetti, tra lucerne e ceramiche, in uso a quel tempo e nascosti evidentemente per essere salvaguardati, in attesa di tempi migliori".
Una delle teste ritratto in bronzo dorato ritrovate con la Vittoria Alata (Brescia, Santa Giulia)
Tutti pazzi per la Vittoria Alata (tranne Hayez)
In poco tempo, dopo il suo ritrovamento, la Vittoria di Brescia finì sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale. Copie fedeli della statua iniziarono a essere richieste in ogni angolo del mondo, mentre si succedettero riproduzioni in ogni dimensione e materiale, e visitatori illustri giunsero a Brescia per renderle omaggio, da Maria Luigia d’Austria a Ferdinando I d’Asburgo-Lorena, da Niccolò Tommaseo alla principessa Margaret.
Richiedendo una copia della Vittoria Alata, Napoleone III - che ebbe modo di ammirare la statua alla vigilia della battaglia di Solferino e San Martino contro gli austriaci - volle addirittura dare una forma alla propria vittoria.
“Con Napoleone la Vittoria Alata inizia così a divenire un simbolo di buon auspicio ed esito favorevole - commenta Francesca Morandini -. Tra l’altro i calchi realizzati, assieme ai commenti dei viaggiatori, sono stati per noi una fonte inesauribile di notizie sulla statua, permettendoci di ripercorrere i diversi restauri fatti nel tempo, ma anche l’età”.
Giosuè Carducci la cantò nel componimento delle sue Odi barbare, mentre Gabriele D’Annunzio la celebrò più volte nella sua opera, richiedendone una copia, ancora oggi esposta al Vittoriale di Gardone Riviera, allo scultore Renato Brozzi. Tra i tanti che ne chiesero una copia, non sempre ottenendola, il principe di Metternich, il Presidente USA Wilson e i musei di Cambridge, Madrid, Berlino, Dresda, Boston e New York.
Ma ci fu anche chi disdegnò di ammirarla, interessato ad altro. Francesco Hayez, nel 1833, alla visita all'area del Capitolium, preferì infatti l’arte antica di Moretto e le osterie fuori porta.
Un gioiello “in trasferta”
Pochissime volte la Vittoria ha lasciato la sua Brescia. Durante la Prima Guerra Mondiale, dopo la disfatta di Caporetto, il bronzo, ritenuto un simbolo nazionale, fu trasferito a Roma via ferrovia. Nel corso del secondo conflitto mondiale, invece, a partire dal 13 giugno 1940, durante un allarme aereo, la statua fu imballata e trasportata a Villa Fenaroli a Seniga (non lontano da Brescia). La sua cassa, con il numero 13, fu interrata nel parco della Villa per motivi di sicurezza, per fare ritorno a in città solo il 10 dicembre del 1945, al termine del conflitto. La Vittoria intraprese poi una serie di viaggi per sottoporsi ad alcuni interventi conservativi. Nel 1948 viaggiò, con le ali staccate, verso Roma e da qui volò alla volta di Zurigo, in occasione di una mostra, l’unica alla quale la statua abbia mai preso parte. Al suo rientro a Brescia la statua non lasciò mai più la città, spostandosi solo nel 1998, nel museo di Santa Giulia e, nel 2018, a Firenze per l’ultimo restauro.
La vedremo in giro per l’Italia?
“Difficilmente la Vittoria parteciperà a mostre, perché la statua, in quanto grande, con una lunga storia alle spalle, ha elementi di debolezza e criticità, e un’ipotetica movimentazione potrebbe mettere a rischio la sua struttura già vulnerabile”.
Vittoria Alata, render allestimento di Juan Navarro Baldeweg
L'ultimo volo, su un cilindro in marmo di Botticino
“Il ritorno della Vittoria a Brescia è stato un momento incredibile, che ha dato l’idea dell’affetto e dell’attesa dei bresciani nei confronti di questa statua. In un anno così difficile questo ritorno è un elemento positivo e la città non vede l'ora di stringersi nuovamente intorno al suo bronzo”.
Adesso la delicata scultura aspetta il suo giorno, in un ambiente con temperatura e umidità relativa controllata, montata sul piedistallo, un cilindro di pietra di botticino (il calcare locale con il quale è realizzata tutta la città monumentale romana) e supporto antisismico. Da oggi si procederà con l’allestimento, e si provvederà al montaggio delle centinaia di cornici ritrovate assieme alla statua che ricopriranno una parete intera nel tempio. L'ultimo volo sarà il prossimo 20 novembre, quando il bronzo sarà riconsegnato agli sguardi del mondo e dei bresciani. E si spera che non debba attendere ancora per via dell'emergenza sanitaria.
“Mentre ti siedi e lo guardi, il tuo intelletto ne esce purificato e vola di nuovo in Grecia, nell'eroica età dell'arte, respingendo i vili aborti di questo tempo moderno”. Descriveva così lo scrittore Henry James in una lettera alla madre, la Vittoria Alata. E siamo convinti che, ancora oggi, sia davvero così.
Vittoria alata, 250 a.C. circa, Bronzo, Altezza 195 cm, Brescia Museo di Santa Giulia, Brescia | Courtesy Brescia Musei
Leggi anche:
• La Vittoria Alata torna a Brescia. La città riparte dalla luce di Juan Navarro Baldeweg
• Incancellabile Vittoria: un dono per Brescia da Emilio Isgrò
Adesso la Vittoria Alata, dopo due anni di assenza dalla sua città, al termine del restauro condotto a Firenze dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, aspetta il suo giorno. Dal prossimo 20 novembre, grazie al nuovo allestimento progettato per il Capitolium dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg, che valorizzerà ancora di più la sua bellezza magnetica, tornerà a dare speranza, con la sua familiare e identitaria presenza, a una città che oggi, più che mai, ha bisogno del conforto del suo amato bronzo.
In attesa di ammirarla nella sua nuova sede, in compagnia dell’archeologa Francesca Morandini, Responsabile del Servizio collezioni e aree archeologiche presso i Musei Civici d’Arte e Storia di Brescia, ripercorriamo la storia, ancora ricca di misteri, di questa scultura straordinaria.
Quasi 200 anni fa l'eccezionale ritrovamento
Era la sera del 20 luglio 1826 quando la vanga degli scavatori - impegnati nella campagna di scavo presso i resti del Capitolium dell’antica Brixia - si imbatté nel bronzo della Vittoria Alata. Da un’intercapedine tra due muri del tempio, al di sotto di ‘‘carboni bruciati e terriccio’’, riemerse un insieme di bronzi straordinari e, tra questi, “una statua muliebre avvolta in panni maestrevolmente scherzati”.
La statua aveva le braccia staccate e adagiate lungo i fianchi e si presentava protetta da almeno 85 cornici in bronzo lavorate. Accanto alla testa, poste una sopra l’altra, furono ritrovate due grandi ali, mentre, lungo il fianco e vicino ai piedi, erano riposte cinque teste, ritratti di imperatori romani, una statua più piccola in bronzo dorato e il pettorale di una statua equestre.
Da Brescia all’Europa il tam tam di una scoperta
Nonostante l’entusiasmo e l’incredulità generale, si dovette attendere il giorno seguente per procedere all’estrazione delle opere dal terreno. Alla presenza dell’archeologo Luigi Basiletti, la grande statua della Vittoria fu la prima ad essere prelevata. Per domare l’entusiasmo generale scaturito dalla straordinaria risonanza della notizia, ma anche per motivi di sicurezza, oltre che per permettere alle tante persone di ammirare il rinvenimento, le autorità decisero di trasferire i bronzi nell’ex Convento di san Domenico attraverso un corteo festante accompagnato da un concerto di campane tra ali di folla in visibilio.
La Vittoria Alata circondata dal personale del Museo in un'immagine di inizio Novecento
Una conferma straordinaria avvenuta grazie al restauro
“Il restauro - spiega l’archeologa Francesca Morandini - ha fugato una serie di dubbi che si trascinavano dall’Ottocento a oggi. La prima cosa che è bene evidenziare è che l’intervento condotto all’Opificio delle Pietre dure di Firenze ha confermato quello che sospettavamo da tempo. E cioè che la statua, realizzata in un unico momento, modellata e fusa intorno alla metà del I secolo d.C, fu concepita sin dall’inizio come Vittoria Alata. Questo dato è importantissimo, dal momento che, sin dall’inizio della sua scoperta, il fatto di averla trovata con le braccia e le ali staccate fece pensare che corpo e ali fossero stati realizzati in momenti diversi e che la statua fosse l’esito di una modifica, un’Afrodite trasformata in seguito in Vittoria. Adesso sappiamo con certezza che non fu così”.
Maestosità e leggerezza
Il bronzo riproduce una figura femminile alata, alta poco meno di due metri, con una postura oggi incompleta per la perdita di alcuni elementi che ne completavano il gesto e la posizione di equilibrio. Il piede sinistro, leggermente rialzato rispetto al destro, doveva poggiare sull’elmo di Marte. Il braccio sinistro doveva invece trattenere uno scudo sul quale, con uno stilo, la divinità aveva inciso il nome del vincitore.
Un chitone leggero, trattenuto in alto da due fermagli, ne accarezza il corpo, mentre la veste, leggermente scesa sulla spalla destra con un delicato panneggio, lascia scoperto anche il seno, aderendo, sul resto del busto con un effetto quasi di bagnato. La raffinata acconciatura avvolge i capelli in una sorta di chignon, mentre una fascia illuminata da agemine in argento, che riproducono rosette e foglie di olivo, cinge il capo della statua.
Due ampie ali caratterizzate da lunghe piume, che grazie al recente restauro hanno acquistato una morbidezza e vaporosità prima nascoste, conferiscono alla figura un senso di estrema leggerezza.
Vittoria Alata, restauro dell'Opificio delle Pietre Dure
Un bronzo venuto da non troppo lontano
Ad oggi non conosciamo l’autore di questo bronzo - silenzioso testimone di un lungo viaggio nello spazio e nel tempo, con radici profonde nella cultura figurativa classica - e nemmeno il luogo esatto nel quale fu realizzato.
“Uno studio ha ipotizzato la presenza di officine bronzistiche di alta qualità non lontane dalla città. Alcune analisi provano, inoltre, che alcuni elementi della Vittoria Alata sono compatibili con l’area bresciana. Ma non si esclude che la statua possa giungere anche da altre zone dell’Italia settentrionale. Quello che più affascina è che le analisi non si esauriscono con l’allestimento della Vittoria nel Capitolium, ma andranno avanti anche nei prossimi mesi”.
Un dono per Brixia?
“La Vittoria Alata potrebbe essere stata un dono alla città a seguito di una vittoria militare. Non è un caso che i suoi attributi siano rappresentati da uno scudo, sul quale lei stessa aveva inciso il nome del vincitore offrendolo alla vista, e un elmo un tempo collocato sotto il piede sinistro, dove oggi permane un vuoto. Potrebbe trattarsi dell’elmo di Marte, a indicare la superiorità della Vittoria sullo stesso dio della guerra. Sappiamo inoltre che gli antichi Brixiani sostennero l’imperatore Vespasiano negli scontri armati del 69 d.C. contro gli eserciti di Otone e Vitellio. Pertanto l’imperatore stesso potrebbe aver donato la statua al tempio della città per ringraziarla dell’esisto favorevole di quegli scontri. Ipotesi rafforzata anche dal frontone del tempio Capitolino, dove fu scolpito proprio il nome dell’imperatore flavio”.
La Vittoria, destinata alla fusione, salvata da un pagano zelante
Perché, e in che periodo, la Vittoria fu nascosta assieme agli altri bronzi? Le ipotesi che ruotano attorno a questo mistero costituiscono forse l’elemento più affascinate dell’avvincente storia del bronzo.
“La Vittoria non fu nascosta da sola - spiega Francesca Morandini -. Assieme a lei fu conservata un’enorme quantità di bronzi che rappresenta un unicum dal punto di vista archeologico, sia per la quantità di materiali che per il grado di conservazione. Quando il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero, anche il tempio pagano di Brescia perse probabilmente la sua funzione, avviandosi a diventare oggetto di spoglio. Allora ci piace immaginare che qualcuno, forse un pagano zelante aiutato da altre persone, abbia voluto proteggere questi bronzi per evitare che venissero fusi diventando monete, armi, o magari campane. Questa ipotesi sembra essere suffragata da un altro scavo realizzato nel 1998, nel corso del quale, in un vano sottostante il tempio, vennero ritrovati centinaia di oggetti, tra lucerne e ceramiche, in uso a quel tempo e nascosti evidentemente per essere salvaguardati, in attesa di tempi migliori".
Una delle teste ritratto in bronzo dorato ritrovate con la Vittoria Alata (Brescia, Santa Giulia)
Tutti pazzi per la Vittoria Alata (tranne Hayez)
In poco tempo, dopo il suo ritrovamento, la Vittoria di Brescia finì sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale. Copie fedeli della statua iniziarono a essere richieste in ogni angolo del mondo, mentre si succedettero riproduzioni in ogni dimensione e materiale, e visitatori illustri giunsero a Brescia per renderle omaggio, da Maria Luigia d’Austria a Ferdinando I d’Asburgo-Lorena, da Niccolò Tommaseo alla principessa Margaret.
Richiedendo una copia della Vittoria Alata, Napoleone III - che ebbe modo di ammirare la statua alla vigilia della battaglia di Solferino e San Martino contro gli austriaci - volle addirittura dare una forma alla propria vittoria.
“Con Napoleone la Vittoria Alata inizia così a divenire un simbolo di buon auspicio ed esito favorevole - commenta Francesca Morandini -. Tra l’altro i calchi realizzati, assieme ai commenti dei viaggiatori, sono stati per noi una fonte inesauribile di notizie sulla statua, permettendoci di ripercorrere i diversi restauri fatti nel tempo, ma anche l’età”.
Giosuè Carducci la cantò nel componimento delle sue Odi barbare, mentre Gabriele D’Annunzio la celebrò più volte nella sua opera, richiedendone una copia, ancora oggi esposta al Vittoriale di Gardone Riviera, allo scultore Renato Brozzi. Tra i tanti che ne chiesero una copia, non sempre ottenendola, il principe di Metternich, il Presidente USA Wilson e i musei di Cambridge, Madrid, Berlino, Dresda, Boston e New York.
Ma ci fu anche chi disdegnò di ammirarla, interessato ad altro. Francesco Hayez, nel 1833, alla visita all'area del Capitolium, preferì infatti l’arte antica di Moretto e le osterie fuori porta.
Un gioiello “in trasferta”
Pochissime volte la Vittoria ha lasciato la sua Brescia. Durante la Prima Guerra Mondiale, dopo la disfatta di Caporetto, il bronzo, ritenuto un simbolo nazionale, fu trasferito a Roma via ferrovia. Nel corso del secondo conflitto mondiale, invece, a partire dal 13 giugno 1940, durante un allarme aereo, la statua fu imballata e trasportata a Villa Fenaroli a Seniga (non lontano da Brescia). La sua cassa, con il numero 13, fu interrata nel parco della Villa per motivi di sicurezza, per fare ritorno a in città solo il 10 dicembre del 1945, al termine del conflitto. La Vittoria intraprese poi una serie di viaggi per sottoporsi ad alcuni interventi conservativi. Nel 1948 viaggiò, con le ali staccate, verso Roma e da qui volò alla volta di Zurigo, in occasione di una mostra, l’unica alla quale la statua abbia mai preso parte. Al suo rientro a Brescia la statua non lasciò mai più la città, spostandosi solo nel 1998, nel museo di Santa Giulia e, nel 2018, a Firenze per l’ultimo restauro.
La vedremo in giro per l’Italia?
“Difficilmente la Vittoria parteciperà a mostre, perché la statua, in quanto grande, con una lunga storia alle spalle, ha elementi di debolezza e criticità, e un’ipotetica movimentazione potrebbe mettere a rischio la sua struttura già vulnerabile”.
Vittoria Alata, render allestimento di Juan Navarro Baldeweg
L'ultimo volo, su un cilindro in marmo di Botticino
“Il ritorno della Vittoria a Brescia è stato un momento incredibile, che ha dato l’idea dell’affetto e dell’attesa dei bresciani nei confronti di questa statua. In un anno così difficile questo ritorno è un elemento positivo e la città non vede l'ora di stringersi nuovamente intorno al suo bronzo”.
Adesso la delicata scultura aspetta il suo giorno, in un ambiente con temperatura e umidità relativa controllata, montata sul piedistallo, un cilindro di pietra di botticino (il calcare locale con il quale è realizzata tutta la città monumentale romana) e supporto antisismico. Da oggi si procederà con l’allestimento, e si provvederà al montaggio delle centinaia di cornici ritrovate assieme alla statua che ricopriranno una parete intera nel tempio. L'ultimo volo sarà il prossimo 20 novembre, quando il bronzo sarà riconsegnato agli sguardi del mondo e dei bresciani. E si spera che non debba attendere ancora per via dell'emergenza sanitaria.
“Mentre ti siedi e lo guardi, il tuo intelletto ne esce purificato e vola di nuovo in Grecia, nell'eroica età dell'arte, respingendo i vili aborti di questo tempo moderno”. Descriveva così lo scrittore Henry James in una lettera alla madre, la Vittoria Alata. E siamo convinti che, ancora oggi, sia davvero così.
Vittoria alata, 250 a.C. circa, Bronzo, Altezza 195 cm, Brescia Museo di Santa Giulia, Brescia | Courtesy Brescia Musei
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