Alla scoperta di un'icona del Futurismo
La rivoluzione di Boccioni in una scultura da Guinness
Umberto Boccioni (1882 - 1916), Forme uniche della continuità nello spazio, Ideata nel 1913 e fusa nel 1972, Bronzo con patina d’oro, H 117 cm | Scultura offerta in vendita durante la Impressionist and Modern Art Evening Sale, New York, Christie’s, 11 novembre 2019
Francesca Grego
21/04/2020
Lo scorso novembre se la sono contesa in sette, in una memorabile serata da Christie’s New York. Dopo una battaglia lunga e agguerrita, Forme uniche della continuità nello spazio è stata aggiudicata per 16 milioni di dollari, stabilendo il record assoluto del suo autore, Umberto Boccioni. Tanto per rendere l’idea, nella stessa asta un dipinto di Picasso ha preso il volo per “soli” 13 milioni. Insomma, non è un caso che Vittorio Sgarbi definisca Boccioni “il controcanto italiano del Picasso cubista” per l’energia formidabile delle sue invenzioni. Tuttavia non sono necessarie cifre da capogiro per frequentare quotidianamente la scultura venduta a New York. Basta girare una moneta italiana da 20 centesimi e ne troveremo la figura incisa sul retro: apparentemente un uomo con cappello, o addirittura un albero, per gli osservatori più fantasiosi.
La moneta italiana da 20 centesimi di euro dedicata all’opera Forme uniche della continuità nello spazio di Boccioni
Che cosa rappresenta l’opera di Boccioni?
Il tema è quello classico della figura umana in movimento, ripreso da molti agli inizi del Novecento: tra le interpretazioni più note troviamo l’Uomo che cammina di Auguste Rodin, il Nu discendant l’escalier di Marcel Duchamp, la Ragazza che corre sul balcone di Giacomo Balla. Ma Boccioni sceglie una strada tutta sua e non esita a travolgere una tradizione millenaria, dando vita ad una pietra miliare del Futurismo. Invece di scomporre il movimento in singoli fotogrammi come la maggior parte dei suoi contemporanei, cerca una rappresentazione sintetica, una “forma unica” che ne veicoli “la sensazione” in maniera immediata e intuitiva. Per il giovane Maestro la parola d’ordine è “simultaneità”, unica dimensione capace di comunicare “il pulsare dell’anima” del movimento, il dinamismo audace e frenetico che i futuristi esaltano nella moderna epoca industriale. Volumi stilizzati e deformati rendono la figura quasi irriconoscibile, ma Forme uniche della continuità nello spazio diventa il simbolo dell’umanità nuova teorizzata da Filippo Tommaso Marinetti: “novello Icaro, metà uomo e metà macchina, lanciato in corsa a percorrere il mondo con forza e velocità”. Un mondo in cui “un automobile ruggente è più bello della Vittoria di Samotracia”.
Boccioni e la scultura
Conosciamo Boccioni soprattutto per la grande pittura, ma la sua energia non conosce davvero confini. “Sono ossessionato dalla scultura!”, scrive l’artista nel 1912 e per quattro anni si impegnerà a rinnovare un’arte “mummificata”. Per lui “nessuna paura è più stupida di quella di uscire dall’arte che esercitiamo. Non v’è né pittura, né scultura, né musica, né poesia”, ma soltanto “creazione”.
In scultura i suoi riferimenti sono Rodin e Medardo Rosso. I soggetti sono piuttosto comuni - teste, figure umane, bottiglie - ma geniale è il pensiero che li anima. Boccioni realizzerà solo 12 sculture, sette delle quali sono andate distrutte. Nulla di cui stupirsi: contro la solenne nobiltà del marmo e del bronzo, l’artista farà uso di materiali vari e spesso deperibili - legno, vetro, cartone, ferro, cemento, stoffa, specchi, luce elettrica e soprattutto gesso, con cui realizzerà la versione originale di Forme uniche della continuità nello spazio. Secondo Boccioni la scultura non è rappresentazione della realtà, ma ricerca dell’essenza dell’oggetto attraverso i suoi rapporti con lo spazio. “Rovesciamo tutto”, dice, “e proclamiamo l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa. Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente” in una compenetrazione dinamica tra l’oggetto e ciò che lo circonda.
Umberto Boccioni (1882 - 1916), Forme uniche della continuità nello spazio, 1913, Bronzo, Milano, Museo del Novecento | Foto: Paolobon140 (Opera propria) via Wikimedia Creative Commons
Storia di un capolavoro
Boccioni realizza Forme uniche nella continuità dello spazio nel 1913. L’originale è un gesso oggi conservato al Museo di Arte Contemporanea di San Paolo del Brasile. Nel corso della vita dell’artista l’opera non fu mai fusa in bronzo, ma presto si produssero dei calchi che possiamo ammirare al Museo del Novecento di Milano, alla Tate Modern di Londra, al MoMa e al Metropolitan Museum of Art di New York.
All’inizio degli anni Settanta la galleria La Medusa di Roma produsse otto bronzi numerati da un calco appartenuto a Benedetta Cappa, la vedova di Filippo Tommaso Marinetti. Appartiene a questa serie la scultura battuta all’asta da Christie’s, la prima di Boccioni apparsa sul mercato internazionale da più di 50 anni. Un altro bronzo è stato donato nel 2013 alla Galleria Nazionale di Cosenza dalla Collezione Bilotti, per dare seguito al desiderio dell’artista, di origini romagnole ma cresciuto in Calabria, di essere presente con una scultura nella propria regione.
Un’opera rivoluzionaria
Energia dirompente, desiderio di nuovo e uno spirito iconoclasta che si fa beffe del passato rendono Forme uniche della continuità nello spazio un capolavoro del Futurismo. Non c’è un punto di vista privilegiato per guardare l’opera e l’idea stessa della prospettiva è risucchiata all’interno di un vortice: come ha scritto Vittorio Sgarbi, “la figura dell’uomo sembra impigliarsi nello spazio, farne parte, farlo muovere, agitare in un mulinello dentro il quale la forma si tornisce e si elabora”. Come avviene questo prodigio? Non è tanto il passo proteso in avanti a sottolineare il movimento del corpo, ma soprattutto il gioco di pieni e vuoti, luci e ombre che fa vibrare la figura in ogni sua parte. Osservando il torace da destra, per esempio, lo vediamo in rilievo, mentre girando attorno alla statua troveremo sul fianco sinistro una cavità, e il meccanismo è ancora più evidente nella testa. L’oggetto, secondo Boccioni, “non ha una forma a priori”: a definirlo è la relazione con lo spazio, che penetra nella figura aperta e la scava, la scompone, la dilata, rendendola quasi aerodinamica.
In quest’opera, tuttavia, l’artista non infrange solo le regole della tradizione, ma anche quelle da lui stesso enunciate nel 1912 con il Manifesto tecnico della scultura futurista: la messa al bando del nudo e della statua monumentale, la tensione verso sculture polimateriche, la “scelta modernissima di soggetti”, l’inno alla linea retta e ai piani sovrapposti. I tanto deprecati “grovigli di muscoli” tornano in un corpo eroico, titanico, quasi da Michelangelo moderno, come ha osservato lo scrittore Daniel Di Schuler. E sono trasgressioni che solo un autentico capolavoro osa concedersi.
Umberto Boccioni (1882 - 1916), Forme uniche della continuità nello spazio, 1913, Bronzo (1950), 121.3 x 88.9 x 40 cm, New York City, Metropolitan Museum of Art
La moneta italiana da 20 centesimi di euro dedicata all’opera Forme uniche della continuità nello spazio di Boccioni
Che cosa rappresenta l’opera di Boccioni?
Il tema è quello classico della figura umana in movimento, ripreso da molti agli inizi del Novecento: tra le interpretazioni più note troviamo l’Uomo che cammina di Auguste Rodin, il Nu discendant l’escalier di Marcel Duchamp, la Ragazza che corre sul balcone di Giacomo Balla. Ma Boccioni sceglie una strada tutta sua e non esita a travolgere una tradizione millenaria, dando vita ad una pietra miliare del Futurismo. Invece di scomporre il movimento in singoli fotogrammi come la maggior parte dei suoi contemporanei, cerca una rappresentazione sintetica, una “forma unica” che ne veicoli “la sensazione” in maniera immediata e intuitiva. Per il giovane Maestro la parola d’ordine è “simultaneità”, unica dimensione capace di comunicare “il pulsare dell’anima” del movimento, il dinamismo audace e frenetico che i futuristi esaltano nella moderna epoca industriale. Volumi stilizzati e deformati rendono la figura quasi irriconoscibile, ma Forme uniche della continuità nello spazio diventa il simbolo dell’umanità nuova teorizzata da Filippo Tommaso Marinetti: “novello Icaro, metà uomo e metà macchina, lanciato in corsa a percorrere il mondo con forza e velocità”. Un mondo in cui “un automobile ruggente è più bello della Vittoria di Samotracia”.
Boccioni e la scultura
Conosciamo Boccioni soprattutto per la grande pittura, ma la sua energia non conosce davvero confini. “Sono ossessionato dalla scultura!”, scrive l’artista nel 1912 e per quattro anni si impegnerà a rinnovare un’arte “mummificata”. Per lui “nessuna paura è più stupida di quella di uscire dall’arte che esercitiamo. Non v’è né pittura, né scultura, né musica, né poesia”, ma soltanto “creazione”.
In scultura i suoi riferimenti sono Rodin e Medardo Rosso. I soggetti sono piuttosto comuni - teste, figure umane, bottiglie - ma geniale è il pensiero che li anima. Boccioni realizzerà solo 12 sculture, sette delle quali sono andate distrutte. Nulla di cui stupirsi: contro la solenne nobiltà del marmo e del bronzo, l’artista farà uso di materiali vari e spesso deperibili - legno, vetro, cartone, ferro, cemento, stoffa, specchi, luce elettrica e soprattutto gesso, con cui realizzerà la versione originale di Forme uniche della continuità nello spazio. Secondo Boccioni la scultura non è rappresentazione della realtà, ma ricerca dell’essenza dell’oggetto attraverso i suoi rapporti con lo spazio. “Rovesciamo tutto”, dice, “e proclamiamo l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa. Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente” in una compenetrazione dinamica tra l’oggetto e ciò che lo circonda.
Umberto Boccioni (1882 - 1916), Forme uniche della continuità nello spazio, 1913, Bronzo, Milano, Museo del Novecento | Foto: Paolobon140 (Opera propria) via Wikimedia Creative Commons
Storia di un capolavoro
Boccioni realizza Forme uniche nella continuità dello spazio nel 1913. L’originale è un gesso oggi conservato al Museo di Arte Contemporanea di San Paolo del Brasile. Nel corso della vita dell’artista l’opera non fu mai fusa in bronzo, ma presto si produssero dei calchi che possiamo ammirare al Museo del Novecento di Milano, alla Tate Modern di Londra, al MoMa e al Metropolitan Museum of Art di New York.
All’inizio degli anni Settanta la galleria La Medusa di Roma produsse otto bronzi numerati da un calco appartenuto a Benedetta Cappa, la vedova di Filippo Tommaso Marinetti. Appartiene a questa serie la scultura battuta all’asta da Christie’s, la prima di Boccioni apparsa sul mercato internazionale da più di 50 anni. Un altro bronzo è stato donato nel 2013 alla Galleria Nazionale di Cosenza dalla Collezione Bilotti, per dare seguito al desiderio dell’artista, di origini romagnole ma cresciuto in Calabria, di essere presente con una scultura nella propria regione.
Un’opera rivoluzionaria
Energia dirompente, desiderio di nuovo e uno spirito iconoclasta che si fa beffe del passato rendono Forme uniche della continuità nello spazio un capolavoro del Futurismo. Non c’è un punto di vista privilegiato per guardare l’opera e l’idea stessa della prospettiva è risucchiata all’interno di un vortice: come ha scritto Vittorio Sgarbi, “la figura dell’uomo sembra impigliarsi nello spazio, farne parte, farlo muovere, agitare in un mulinello dentro il quale la forma si tornisce e si elabora”. Come avviene questo prodigio? Non è tanto il passo proteso in avanti a sottolineare il movimento del corpo, ma soprattutto il gioco di pieni e vuoti, luci e ombre che fa vibrare la figura in ogni sua parte. Osservando il torace da destra, per esempio, lo vediamo in rilievo, mentre girando attorno alla statua troveremo sul fianco sinistro una cavità, e il meccanismo è ancora più evidente nella testa. L’oggetto, secondo Boccioni, “non ha una forma a priori”: a definirlo è la relazione con lo spazio, che penetra nella figura aperta e la scava, la scompone, la dilata, rendendola quasi aerodinamica.
In quest’opera, tuttavia, l’artista non infrange solo le regole della tradizione, ma anche quelle da lui stesso enunciate nel 1912 con il Manifesto tecnico della scultura futurista: la messa al bando del nudo e della statua monumentale, la tensione verso sculture polimateriche, la “scelta modernissima di soggetti”, l’inno alla linea retta e ai piani sovrapposti. I tanto deprecati “grovigli di muscoli” tornano in un corpo eroico, titanico, quasi da Michelangelo moderno, come ha osservato lo scrittore Daniel Di Schuler. E sono trasgressioni che solo un autentico capolavoro osa concedersi.
Umberto Boccioni (1882 - 1916), Forme uniche della continuità nello spazio, 1913, Bronzo (1950), 121.3 x 88.9 x 40 cm, New York City, Metropolitan Museum of Art
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