Religione, scrittura, motivi iconografici
13/10/2001
Le principali notizie che abbiamo sui Piceni sono ricavate dagli scavi nelle necropoli: risultano perciò fondamentali gli aspetti religiosi della civiltà di questo popolo.
Il rito funebre è una pratica molto importante, anche perché a seconda del tipo di sepoltura riservata ai morti cambiano i resti trovati nelle necropoli e quindi le credenze.
Le popolazioni note come pre-Piceni (XIII-X a.C.) seguono diversi tipi di rito funebre: l’incenerazione in corrispondenza di quella zona oggi occupata dalle Marche allora fortemente influenzata dalla cultura etrusco-umbra; la tumulazione a Sud del fiume Tronto (Abruzzo) praticata per lo più con l’utilizzo di tronchi d’albero scavati (così avveniva nella necropoli delle Paludi di Celano).
Nei secoli successivi il rito funebre dominante divenne la tumulazione insieme all'inumazione; più rara la cremazione. Le necropoli sorsero vicino all’abitato e le varie sepolture vennero poste ai lati di grandi strade.
Le tombe monumentali si presentano con una struttura circolare sormontata da un tumulo in pietra o in terra: attorno compare un ampio cerchio fatto anch’esso di pietre oppure scavato in una sorta di fossato. Il tutto è cementato dalle radici della vegetazione che cresce spontaneamente sul piano rialzato della tumulazione.
Quando tra il IX e l’VIII secolo a.C. la civiltà picena si affermò, aumentò anche la ricchezza dei corredi funebri, chiaro segnale di una crescita del benessere generale.
Pochissimi i resti di edifici sacri: nessuno nelle Marche, e solamente due in Abruzzo (un santuario sulla cima del Monte Giove e la Grotta del Colle presso Rapino). E’ quindi palese la carenza di luoghi di culto, fenomeno facilmente comprensibile se si pensa ad una società basata sul valore del casato e della stirpe come quella picena, tra l’altro priva di grandi città e fondata su molti insediamenti. Il risultato fu che il culto si svolgeva principalmente tra le mura domestiche e lasciava poco spazio a luoghi per la riunione dei membri della comunità.
Le prime testimonianze scritte risalgono al VII secolo a.C. e generalmente compaiono su stele o su statue in pietra che decorano le tombe monumentali dei “capi”: non a caso tali iscrizioni celebrano l’organizzazione sociale fondata su principi e re.
Ancora non completamente risolti i misteri della lingua che compare su queste pietre: l’alfabeto è stato decifrato foneticamente, ma non tutte le parole sono state tradotte. Interessante la connotazione orale di tali iscrizioni in cui il soggetto è in prima persona come se gli oggetti stessi prendessero la parola. E’ evidente che il registro sia letterario, conseguenza di una scrittura considerata rigorosamente elitaria.
Il culto funerario riservato ai personaggi di spicco delle comunità porta alla ripetizione di temi iconografici tra i quali s’impone “Il Signore dei cavalli” che compare su vasi, in rilevi su oggetti in bronzo e, a volte, nella diversa versione di totem a testa umana circondato da protomi equine e che presiede alla danza dei guerrieri. Tornano spesso raffigurazioni di una dea alata e motivi decorativi con anatre.
Tra il VI e il V secolo lo sviluppo di ordinamenti repubblicani con cariche elettive e l’ascesa delle classi mercantili portarono ad una collettivizzazione del culto e ad un conseguente aumento di oggetti sacri nelle sepolture. Le contaminazioni culturali diedero vita ad iconografie più conosciute e avvicinabili a divinità come Ercole e Marte, alla proliferazione di “kouroi” ed altri temi tipicamente greci.
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