San Sebastiano al femminile

Donna asiatica
11/12/2003
Il nome di Sebastiano deriva dal greco sebastòs che vuol dire “il venerabile”, nome quanto mai adatto per il santo più rappresentato nella storia dell’arte, insieme a San Girolamo. Le fonti primarie della sua storia sono la “Legenda Aurea” ed in particolare la “Passio Sancti Sebastiani” del V secolo: Sebastiano visse nel III secolo d.C. e fu capitano delle guardie dell’Imperatore Diocleziano.
Già dal VII secolo fu considerato protettore dalle epidemie ed in particolare dalla peste, infatti a lui si attribuiva la fine di una peste diffusasi a Roma. L’origine di tali credenze popolari va ricercata in una rilettura delle fonti, che vedono Sebastiano sopravvivere al martirio delle frecce, mezzo con il quale si credeva che Dio inviasse le epidemie, come punizione, sulla terra; il Santo che vi sopravvisse ne fu così ritenuto immune. Proprio del VII secolo è il mosaico all’interno della Basilica di S. Pietro in Vincoli a Roma, in cui il santo è rappresentato come un vecchio barbuto e vestito con la tunica. Dalle rappresentazioni del vecchio si giunge poi a quelle più comuni di giovane che tiene in mano arco e frecce, come nell’affresco absidale di S. Giorgio al Velabro, a Roma, dipinto da Pietro Cavallini (XIV sec.) o nella tela di Raffaello all’Accademia Carrara di Bergamo. Il Santo viene riconosciuto dai fedeli solo per la presenza dei suoi attributi; risulta interessante notare un’analogia, in questo caso, con il video di Fiona Tan (Indonesia, 1966) intitolato “Saint Sebastian” del 2001, in cui l’artista riprende una cerimonia tradizionale giapponese per le giovani donne che consiste in una competizione di tiro con l’arco. Le belle immagini, scandite da tempi lunghi e ricchi di tensione, hanno come protagoniste le donne nel momento drammatico del tiro delle frecce: solo, dunque, l’arco e le frecce riportano la mente all’iconografia di San Sebastiano come sottolinea l’artista stessa nel titolo. Maggiore rilevanza viene data ai simboli, agli attributi della figura e non tanto alla figura in sé, che, come in questo caso, potrebbe essere anche una donna. L’intenzione del gioco dei sensi, della continua ricerca di qualcosa altro da ciò che abbiamo di fronte agli occhi porta ad una riaffermazione dell’arte come immagine e significato. Con Louise Bourgeois (Francia, 1911) la scultura del 2002 è intitolata, senza mezzi termini “Sainte Sebastienne”: il santo è una donna ed è curioso come dalle donne venga questa attribuzione al femminile di una figura, tradizionale nell’arte e nel pensiero religioso.
Un’altra visione al femminile della vicenda del Santo si ha, a partire dal XVII secolo, quando si diffonde un altro episodio della sua vita: San Sebastiano infatti, sopravvissuto ai colpi delle frecce, viene soccorso da una pia vedova di nome Irene, che lo ospita a casa sua per curarlo. In questa nuova iconografia è Irene la nuova immagine della Chiesa. Esempio di fede non è più, quindi, soltanto il corpo dell’uomo che sopravvive e vince il dolore, ma anche, ed ancora di più, la vita per gli altri, di devozione e preghiera. Tra queste bisogna ricordare le opere di Luca Giordano e Jusepe de Ribera, intitolate “San Sebastiano curato da Irene”, esempi di una particolare intensità emotiva e di grande forza pittorica. A farne riferimento, ai nostri giorni, è l’artista, ovviamente donna, Ana Maria Pacheco (Brasile, 1942), con una serie di disegni di questo episodio e di San Sebastiano.
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