Su Arte Tv un documentario fino al 18 dicembre
Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi: la rinascita delle pittrici dimenticate
Sofonisba Anguissola (Cremona, 1532 - Palermo, 1625), Partita a scacchi, 1555, Olio su tela, 72 x 97 cm, National Museum, Poznań
Samantha De Martin
25/09/2020
Quando un giorno, un disegno di Sofonisba Anguissola - che ritraeva una ragazza intenta a ridere di cuore di fronte a una signora che leggeva male - giunse tra le mani di Michelangelo, il maestro, mostrando grande approvazione, chiese alla pittrice di cimentarsi in un altro lavoro che mostrasse il sentimento opposto.
Sofonisba accettò la sfida e ritrasse il fratello Asdrubale intento ad affondare le mani in un cesto di granchi vivi. Quel disegno, in cui sembrava quasi di sentire il pianto del bambino morso dal crostaceo, lasciò decisamente soddisfatto il Buonarroti.
È forse anche grazie a questa consacrazione ricevuta dal maestro che, a soli 20 anni, l’artista di Cremona si avviava a diventare la grande superstar del pennello.
Dalla città natale la sua fama raggiunse Roma per approdare a Marid, alla corte di Filippo II, dove la bella pittrice fu chiamata come dama di corte per rimanerci fino agli ultimi anni di vita prima di raggiungere la Sicilia per essere celebrata e ritratta persino da van Eyck.
D’altra parte Vasari aveva definito le sue opere “meraviglie”. I suoi autoritratti, nei quali si rappresentava come una nobildonna austera, o mentre suonava la spinetta, potrebbero essere paragonati oggi a fotografie moderne e lei non avrebbe nulla da invidiare a un’influencer con migliaia di follower.
Sofonisba Anguissola, Autoritratto
Ma come riuscì questa pittrice a formarsi e ad emergere in un’epoca in cui era precluso alle donne l’accesso alle accademie d’arte e alle botteghe dei pittori, considerate queste ultime ambienti moralmente non consigliabili?
A rispondere a questa domanda e ad offrirci un illuminante approfondimento su Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, è un interessante documentario visibile gratuitamente su Arte Tv fino al prossimo 18 dicembre.
Dalla bottega alla casa: una scuola alternativa
Eppure queste tre donne, vissute tra XVI e XVII secolo, tanto apprezzate dal loro tempo, celebrate oggi nelle mostre dei maggiori musei d’Europa, furono a lungo dimenticate dalla storia dell’arte. Nel caso di Sofonisba fu il padre, il suo unico e appassionato “agente”, a compiere una scelta controcorrente per l’epoca, che suonava un po’ come un escamotage: mandare le figlie, non a bottega, ma in casa del pittore Bernardino Campi, affinché imparassero a dipingere.
Fu sempre Amilcare Anguissola a sponsorizzare i dipinti della figlia, inviando i suoi ritratti, dalla straordinaria umanità, ai personaggi influenti dell’epoca fino a farli giungere persino al grande Michelangelo.
A Bologna la prima scultrice d'Europa
Bologna - dove operava nel Cinquecento anche Properzia de’Rossi, la prima scultrice d’Europa - fu invece la città natale di Lavinia Fontana, anch’essa pittrice affascinata dalle scienze e dalla cartografia. Anche nel suo caso fu il padre a trovare un escamotage per consentirle di approfondire i modelli dell’arte senza dover andare in accademia.
Ma lasciamo al documentario il compito di svelarne i dettagli.
Lavinia Fontana, la "Pontificia pittrice" con un marito al servizio
Lavinia riuscì persino ad avere un marito al suo servizio (cosa insolita per l’epoca), il pittore Paolo Zappi, che si impegnò a farle da agente promozionale e ad accettare un contratto matrimoniale atipico che oggi sfideremmo chiunque a voler accettare.
Eseguì innumerevoli lavori per l'entourage della corte papale tanto da essere soprannominata «la Pontificia Pittrice».
Tra gioielli e stoffe preziose, velluti, sete, pizzi e broccati, nelle tele dell'artista trapela il fascino mondano delle nobildonne bolognesi. I suo quadri ora rappresentano puntuali ed empatici sociogrammi di un tessuto urbano, ora si fanno commoventi espressioni di una dolcezza quasi materna, come nel caso di Antonietta Gonzales, la bambina dal corpo interamente ricoperto di peli, immortalata con affetto.
Lavinia Fontana, Ritratto di Antonietta Gonsalvus (o Gonzales), affetta da ipertricosi | Courtesy Realy Easy Star
Quando Lavinia si trasferisce a Roma, un’altra collega, sta già realizzando i suoi primi schizzi a matita. Quelle stesse opere che la casta Sofonisba non si sarebbe mai sognata di fare e che Lavinia Romano avrebbe realizzato in gran segreto, divennero il tratto distintivo di Artemisia Gentileschi.
La rivoluzione di Artemisia
Suo padre, il pittore Orazio Gentileschi, grande amico di Caravaggio, ne avrebbe incentivato il talento. Al contrario delle sue due colleghe di Cremona e di Bologna, Artemisia visse completamente immersa in una società maschile, quale era quella della Roma del tempo, nel quartiere che si stringeva attorno a via Margutta e alla chiesa di Santa Maria del Popolo.
Se Sofonisba si dedica alla sua arte protetta dal calore dell’ambiente domestico, Artemisia vive un dramma destinato a sconvolgerle la vita, lasciando sulle sue tele - com’è particolarmente evidente in Giuditta che decapita Oloferne, il suo quadro probabilmente più celebre - un trionfo di muscoli e forza, il sangue a bagnare stoffe e velluti, in un’inesorabile aristocrazia della crudeltà.
Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne, 1617, Olio su tela, 126 x 159 cm, Napoli, Museo di Capodimonte | © Museo e Real Bosco di Capodimonte - su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
Lo stupro da parte di Agostino Tassi, rimasto impunito da parte del padre, il lungo processo che la pose alla berlina di fronte alla città e al mondo dell'arte, trovano forma, volto e colore nelle drastiche fantasie omicide, come quella che uccide Sisara, finito da un chiodo conficcato in testa, e ancora tra vendicatrici e donne dalla forza straordinaria che popolano il suo universo pittorico opponendosi a uomini violenti o mossi da un’ignobile libidine.
A chi spetta il merito di avere riscoperto Artemisia? In quale città diventerà realmente pittrice e che cosa della sua arte ci affascina ancora oggi? Lasciamo al documentario la risposta. Anche Sofonisba, come Artemisia, rappresenterà se stessa nei volti dei suoi personaggi, ma al contario di quelli della sua collega, saranno volti amichevoli, sorridenti, rassicuranti.
Ad unire queste tre pittrici, sublimi e diverse, fu indubbiamente il coraggio di infrangere le convenzioni del tempo che impedivano ad esempio alle donne di rappresentare i nudi. Ma nudi sono la Minerva o anche Marte che sfiora rozzamente i glutei di Venere, dipinti da Lavinia Fontana, che, prima ancora di Artemisia, si confronta con il corpo umano con atteggiamento di grande modernità.
"Troverete l’animo di un cesare nella mia anima”
Merito di queste donne è anche quello di aver fatto vibrare i loro soggetti con una grande carica erotica, di avere ingentilito la tela con la conoscenza dei misteri della femminilità, come forse nessun pittore potrà mai fare.
Artemisia, una volta arrivata a Napoli, si sorprenderà del fatto che l’onorario venga corrisposto a una donna ancora con un certo ritardo rispetto a un uomo. “Farò vedere a vossignoria cosa sono in grado di fare. Troverete l’animo di un cesare nella mia anima” scriveva a un suo committente.
In arrivo alla National Gallery la mostra su Artemisia
Ed eccola la sua anima, nella Santa Caterina di Alessandria, orgoglio della National Gallery di Londra dove, tra qualche settimana, inaugurerà l’attesa mostra dal titolo Artemisia. Dal 3 ottobre al 24 gennaio il percorso che guarderà anche alla parentesi inglese, accenderà un focus suoi suoi dipinti più famosi, comprese le due versioni della sua iconica e visceralmente violenta Giuditta che decapita Oloferne, ma anche sugli autoritratti, le lettere personali recentemente scoperte, che saranno esposte nel Regno Unito per la prima volta.
Artemisia Gentileschi, Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, 1615-17, olio su tela, 71 x 71.5 cm | © The National Gallery, London
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Sofonisba accettò la sfida e ritrasse il fratello Asdrubale intento ad affondare le mani in un cesto di granchi vivi. Quel disegno, in cui sembrava quasi di sentire il pianto del bambino morso dal crostaceo, lasciò decisamente soddisfatto il Buonarroti.
È forse anche grazie a questa consacrazione ricevuta dal maestro che, a soli 20 anni, l’artista di Cremona si avviava a diventare la grande superstar del pennello.
Dalla città natale la sua fama raggiunse Roma per approdare a Marid, alla corte di Filippo II, dove la bella pittrice fu chiamata come dama di corte per rimanerci fino agli ultimi anni di vita prima di raggiungere la Sicilia per essere celebrata e ritratta persino da van Eyck.
D’altra parte Vasari aveva definito le sue opere “meraviglie”. I suoi autoritratti, nei quali si rappresentava come una nobildonna austera, o mentre suonava la spinetta, potrebbero essere paragonati oggi a fotografie moderne e lei non avrebbe nulla da invidiare a un’influencer con migliaia di follower.
Sofonisba Anguissola, Autoritratto
Ma come riuscì questa pittrice a formarsi e ad emergere in un’epoca in cui era precluso alle donne l’accesso alle accademie d’arte e alle botteghe dei pittori, considerate queste ultime ambienti moralmente non consigliabili?
A rispondere a questa domanda e ad offrirci un illuminante approfondimento su Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, è un interessante documentario visibile gratuitamente su Arte Tv fino al prossimo 18 dicembre.
Dalla bottega alla casa: una scuola alternativa
Eppure queste tre donne, vissute tra XVI e XVII secolo, tanto apprezzate dal loro tempo, celebrate oggi nelle mostre dei maggiori musei d’Europa, furono a lungo dimenticate dalla storia dell’arte. Nel caso di Sofonisba fu il padre, il suo unico e appassionato “agente”, a compiere una scelta controcorrente per l’epoca, che suonava un po’ come un escamotage: mandare le figlie, non a bottega, ma in casa del pittore Bernardino Campi, affinché imparassero a dipingere.
Fu sempre Amilcare Anguissola a sponsorizzare i dipinti della figlia, inviando i suoi ritratti, dalla straordinaria umanità, ai personaggi influenti dell’epoca fino a farli giungere persino al grande Michelangelo.
A Bologna la prima scultrice d'Europa
Bologna - dove operava nel Cinquecento anche Properzia de’Rossi, la prima scultrice d’Europa - fu invece la città natale di Lavinia Fontana, anch’essa pittrice affascinata dalle scienze e dalla cartografia. Anche nel suo caso fu il padre a trovare un escamotage per consentirle di approfondire i modelli dell’arte senza dover andare in accademia.
Ma lasciamo al documentario il compito di svelarne i dettagli.
Lavinia Fontana, la "Pontificia pittrice" con un marito al servizio
Lavinia riuscì persino ad avere un marito al suo servizio (cosa insolita per l’epoca), il pittore Paolo Zappi, che si impegnò a farle da agente promozionale e ad accettare un contratto matrimoniale atipico che oggi sfideremmo chiunque a voler accettare.
Eseguì innumerevoli lavori per l'entourage della corte papale tanto da essere soprannominata «la Pontificia Pittrice».
Tra gioielli e stoffe preziose, velluti, sete, pizzi e broccati, nelle tele dell'artista trapela il fascino mondano delle nobildonne bolognesi. I suo quadri ora rappresentano puntuali ed empatici sociogrammi di un tessuto urbano, ora si fanno commoventi espressioni di una dolcezza quasi materna, come nel caso di Antonietta Gonzales, la bambina dal corpo interamente ricoperto di peli, immortalata con affetto.
Lavinia Fontana, Ritratto di Antonietta Gonsalvus (o Gonzales), affetta da ipertricosi | Courtesy Realy Easy Star
Quando Lavinia si trasferisce a Roma, un’altra collega, sta già realizzando i suoi primi schizzi a matita. Quelle stesse opere che la casta Sofonisba non si sarebbe mai sognata di fare e che Lavinia Romano avrebbe realizzato in gran segreto, divennero il tratto distintivo di Artemisia Gentileschi.
La rivoluzione di Artemisia
Suo padre, il pittore Orazio Gentileschi, grande amico di Caravaggio, ne avrebbe incentivato il talento. Al contrario delle sue due colleghe di Cremona e di Bologna, Artemisia visse completamente immersa in una società maschile, quale era quella della Roma del tempo, nel quartiere che si stringeva attorno a via Margutta e alla chiesa di Santa Maria del Popolo.
Se Sofonisba si dedica alla sua arte protetta dal calore dell’ambiente domestico, Artemisia vive un dramma destinato a sconvolgerle la vita, lasciando sulle sue tele - com’è particolarmente evidente in Giuditta che decapita Oloferne, il suo quadro probabilmente più celebre - un trionfo di muscoli e forza, il sangue a bagnare stoffe e velluti, in un’inesorabile aristocrazia della crudeltà.
Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne, 1617, Olio su tela, 126 x 159 cm, Napoli, Museo di Capodimonte | © Museo e Real Bosco di Capodimonte - su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
Lo stupro da parte di Agostino Tassi, rimasto impunito da parte del padre, il lungo processo che la pose alla berlina di fronte alla città e al mondo dell'arte, trovano forma, volto e colore nelle drastiche fantasie omicide, come quella che uccide Sisara, finito da un chiodo conficcato in testa, e ancora tra vendicatrici e donne dalla forza straordinaria che popolano il suo universo pittorico opponendosi a uomini violenti o mossi da un’ignobile libidine.
A chi spetta il merito di avere riscoperto Artemisia? In quale città diventerà realmente pittrice e che cosa della sua arte ci affascina ancora oggi? Lasciamo al documentario la risposta. Anche Sofonisba, come Artemisia, rappresenterà se stessa nei volti dei suoi personaggi, ma al contario di quelli della sua collega, saranno volti amichevoli, sorridenti, rassicuranti.
Ad unire queste tre pittrici, sublimi e diverse, fu indubbiamente il coraggio di infrangere le convenzioni del tempo che impedivano ad esempio alle donne di rappresentare i nudi. Ma nudi sono la Minerva o anche Marte che sfiora rozzamente i glutei di Venere, dipinti da Lavinia Fontana, che, prima ancora di Artemisia, si confronta con il corpo umano con atteggiamento di grande modernità.
"Troverete l’animo di un cesare nella mia anima”
Merito di queste donne è anche quello di aver fatto vibrare i loro soggetti con una grande carica erotica, di avere ingentilito la tela con la conoscenza dei misteri della femminilità, come forse nessun pittore potrà mai fare.
Artemisia, una volta arrivata a Napoli, si sorprenderà del fatto che l’onorario venga corrisposto a una donna ancora con un certo ritardo rispetto a un uomo. “Farò vedere a vossignoria cosa sono in grado di fare. Troverete l’animo di un cesare nella mia anima” scriveva a un suo committente.
In arrivo alla National Gallery la mostra su Artemisia
Ed eccola la sua anima, nella Santa Caterina di Alessandria, orgoglio della National Gallery di Londra dove, tra qualche settimana, inaugurerà l’attesa mostra dal titolo Artemisia. Dal 3 ottobre al 24 gennaio il percorso che guarderà anche alla parentesi inglese, accenderà un focus suoi suoi dipinti più famosi, comprese le due versioni della sua iconica e visceralmente violenta Giuditta che decapita Oloferne, ma anche sugli autoritratti, le lettere personali recentemente scoperte, che saranno esposte nel Regno Unito per la prima volta.
Artemisia Gentileschi, Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, 1615-17, olio su tela, 71 x 71.5 cm | © The National Gallery, London
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