Dal 31 ottobre al 3 marzo a Milano
Al Mudec Paul Klee, antropologo del possibile
Paul Klee, Paesaggio in verde con mura detto Costruzione boschiva, 1919. Museo del Novecento, Milano. © Roberto Mascaroni / Saporetti Immagini d'Arte
Francesca Grego
30/10/2018
Milano - È il 1902 quando il ventitreenne Paul Klee scopre Roma: l’impatto di Michelangelo è “devastante”, le Stanze di Raffaello lo colpiscono come “una bastonata”, ma quel che lascia il segno più determinante nel suo percorso futuro sono le sculture paleocristiane di San Giovanni in Laterano: esempi di un’arte “barbarica”, “primitiva” al pari degli artefatti africani, oceaniani o precolombiani che da qualche decennio raggiungono in massa l’Europa sull’onda del colonialismo e delle Esposizioni Universali.
Oggetti diversi e misteriosi che a loro volta colonizzano l’immaginario degli artisti, da Gauguin a Picasso: l’attrazione per le forme inusuali, spunti fecondi per rifondare il linguaggio di un’arte in radicale trasformazione, si mescola alle suggestioni di mondi lontani, ricettacolo di desideri e paure prettamente occidentali.
È in questo scenario che si inserisce Paul Klee. Alle origini dell’arte, al Mudec dal 31 ottobre al 3 marzo. L’allestimento curato da Michele Dantini e Raffaella Resch è un viaggio nella fascinazione del grande pittore per la cosiddetta arte primitiva, alla scoperta del carattere peculiare che una moda diffusa all’alba del XX secolo assume nella ricerca di un artista unico e irriducibile alle etichette.
In mostra un centinaio di opere di Klee provenienti da importanti musei e collezioni private europee, presentate in un interessante confronto con reperti del Mudec come maschere o tessuti, con i diari dell’artista e con preziose fonti dell’epoca, che raccontano come egli sia entrato in relazione con l’universo fantastico – antropologico e stilistico – delle arti extraeuropee. Celebri dipinti astratti e policromi si accompagnano a opere caricaturali tutte da scoprire, in un percorso che segue l’evoluzione degli interessi e della ricerca di Klee.
Al gusto ironico per il pastiche, che vede sovrapporsi omaggio e parodia, fa da contraltare un potente afflato mistico, per cui spetta all’arte “rendere visibile ciò che non lo è”: di spunti primitivisti si nutrono la passione per gli alfabeti antichi o d’invenzione, la ricerca dell’origine, il desiderio di fondare una nuova arte sacra, l’idea dell’artista come colui che “abita presso il cuore della Creazione” e delle opere come partiture da decifrare in un intreccio di pittura e musica, immagini e parole.
Lungo il percorso espositivo i lavori si dispongono su un nastro orizzontale che alterna chiaro e scuro in una luce diffusa, omaggio al progetto di Carlo Scarpa per la partecipazione di Klee alla Biennale di Venezia del 1948. Se l’esordio è affidato alle taglienti caricature del ciclo Inventionen, il finale è per un capolavoro-testamento, dipinto nell’ultima fase della vita dell’artista: nel mezzo, tante opere fragili e bellissime raramente visibili in una mostra.
Da non perdere lavori mai esposti in Italia come Artista nomade – Manifesto del 1940 o Roccia artificiale del 1927, nonché il teatro delle marionette che Klee creò per il figlio Felix assemblando elementi come ossi, prese elettriche, pennelli da barba e gusci di noce. Perché “nell’arte - annota il pittore nel suo diario – si può anche ricominciare da capo, e ciò è evidente, più che altrove, nelle raccolte etnografiche oppure a casa propria, nella stanza riservata ai bambini”. E se l’incisione Testa minacciosa somiglia incredibilmente a un cimiero del Mudec, i grandi occhi degli autoritratti richiamano quelli delle divinità tahitiane scolpite nel legno, così come la visione interna del corpo che contraddistingue l’opera Pesce asello del fango trova numerosi paralleli nelle arti extraeuropee. Un mondo inatteso si svela allo sguardo: perché vediamo finalmente con gli occhi di Paul Klee.
Leggi anche:
• Da Tintoretto alla Pop Art, le grandi mostre dell’autunno 2018
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In mostra un centinaio di opere di Klee provenienti da importanti musei e collezioni private europee, presentate in un interessante confronto con reperti del Mudec come maschere o tessuti, con i diari dell’artista e con preziose fonti dell’epoca, che raccontano come egli sia entrato in relazione con l’universo fantastico – antropologico e stilistico – delle arti extraeuropee. Celebri dipinti astratti e policromi si accompagnano a opere caricaturali tutte da scoprire, in un percorso che segue l’evoluzione degli interessi e della ricerca di Klee.
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Lungo il percorso espositivo i lavori si dispongono su un nastro orizzontale che alterna chiaro e scuro in una luce diffusa, omaggio al progetto di Carlo Scarpa per la partecipazione di Klee alla Biennale di Venezia del 1948. Se l’esordio è affidato alle taglienti caricature del ciclo Inventionen, il finale è per un capolavoro-testamento, dipinto nell’ultima fase della vita dell’artista: nel mezzo, tante opere fragili e bellissime raramente visibili in una mostra.
Da non perdere lavori mai esposti in Italia come Artista nomade – Manifesto del 1940 o Roccia artificiale del 1927, nonché il teatro delle marionette che Klee creò per il figlio Felix assemblando elementi come ossi, prese elettriche, pennelli da barba e gusci di noce. Perché “nell’arte - annota il pittore nel suo diario – si può anche ricominciare da capo, e ciò è evidente, più che altrove, nelle raccolte etnografiche oppure a casa propria, nella stanza riservata ai bambini”. E se l’incisione Testa minacciosa somiglia incredibilmente a un cimiero del Mudec, i grandi occhi degli autoritratti richiamano quelli delle divinità tahitiane scolpite nel legno, così come la visione interna del corpo che contraddistingue l’opera Pesce asello del fango trova numerosi paralleli nelle arti extraeuropee. Un mondo inatteso si svela allo sguardo: perché vediamo finalmente con gli occhi di Paul Klee.
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