Alla Collezione del Museo Mayer van den Bergh di Anversa

Come un film dell’orrore: i segreti della Dulle Griet di Bruegel il Vecchio

Pieter Bruegel il Vecchio, Margherita la Pazza (Dulle Griet o Mad Meg), 1563, Museum Mayer van den Bergh, Anversa
 

Francesca Grego

27/03/2019

Mondo - Sembrava un quadro cupo, un inferno scuro acceso soltanto dai bagliori rossastri delle fiamme. Invece la Dulle Griet è un trionfo di colori: dal turchese al giallo, dal verde al rosa pallido, una vivace tavolozza illumina una delle scene più sconvolgenti che Pieter Bruegel il Vecchio abbia mai dipinto.
È solo una delle tante sorprese emerse durante il restauro portato a termine per i 450 anni dalla morte del maestro dagli esperti del Royal Institute for Cultural Heritage di Bruxelles. Tutte insieme gettano luce nuova su un dipinto fortemente enigmatico, che con la sua complessità ha messo a dura prova i maggiori esperti di pittura fiamminga.
 
Come un regista di film horror, il pittore fa appello a tutti i sensi per provocare paura e piacere nello stesso tempo”, ha scritto la biografa di Bruegel Leen Huet. E sull’aura sinistra dell’opera siamo tutti d’accordo. Ma appena iniziamo a metterne a fuoco i dettagli, le domande superano di gran lunga le certezze.


Pieter Bruegel il Vecchio, Margherita la Pazza (Dulle Griet o Mad Meg), Particolare, 1563, Museum Mayer van den Bergh, Anversa

Margherita la Pazza tra mistero e realtà
La Dulle Griet da cui prende il nome il capolavoro di Bruegel - in italiano Greta o Margherita la Pazza - è una strega del folklore fiammingo, personificazione dell’avarizia, probabilmente una versione popolare e riadattata della figura di Santa Margherita di Antiochia che, perseguitata per la sua fede, sconfisse il demonio.
Magra e allampanata, Margherita è rappresentata al centro del dipinto in proporzioni molto più grandi rispetto a tutto ciò che la circonda. Armata di una spada e con indosso una sorta di armatura, corre verso la bocca di un inferno antropomorfo, reggendo un forziere, due panieri e una sacca piena di oggetti. Attorno a lei, un paesaggio da incubo ricorda l’inferno ritratto da Hieronymus Bosch nel pannello destro del Trittico del Giardino delle Delizie: rovine misteriose, combattimenti, incendi e mostruose creature ibride descrivono un mondo in preda al caos.


Hieronymus Bosch, Inferno musicale, Pannello destro del trittico il Giardino delle delizie, 389 x 220 cm, Museo del Prado, Madrid

Si tratta delle conseguenze del passaggio di Margherita? Qual è lo scopo della sua folle corsa? Difficile stabilirlo con certezza: simboli e allegorie dei quadri di Bruegel fanno spesso riferimento a leggende e immagini di una cultura popolare oggi in parte perduta. Nelle farse cinquecentesche, per esempio, Griet era la personificazione di quelle donne colleriche che quando sfogano la propria rabbia “possono saccheggiare la soglia dell’inferno e tornare incolumi”, come recita un antico proverbio fiammingo. Un’ipotesi che potrebbe trovare conferma nelle razzie messe in atto da una folla di donne alle spalle della strega. Molti studiosi ritengono inoltre che il dipinto sia una rappresentazione della lotta tra i sessi, già allora un soggetto di successo nel teatro e nella letteratura popolare.
 
Ma, come nella migliore pittura narrativa fiamminga, attorno alla scena principale si dispongono altre storie, in un brulicare di personaggi grotteschi e strane creature. A fare da contrappunto alla figura di Greta è un gigante che sorregge sulla schiena una strana barca con una sfera trasparente: dal sedere a forma di uovo espelle monete aiutandosi con un cucchiaio. Mentre la strega accumula oggetti e tesori, il mostro li redistribuisce al popolo, che accorre in preda all’eccitazione.
C’è chi ha visto nel quadro un’allegoria della guerra, chi la rappresentazione dell’insensatezza del male connaturato all’uomo, chi vi ha rintracciato gli indizi di un mondo alla rovescia, dove sono le donne a portare letteralmente i pantaloni. Certo è che Bruegel fu testimone di quella che per le Fiandre fu un’epoca di feroci violenze: dalla ribellione contro gli spagnoli all’iconoclastia protestante, fino alla sanguinosa repressione da parte del duca d’Alba, passato alla storia con il soprannome di “macellaio delle Fiandre”.
 
Un restauro rivelatore
Se il significato complessivo dell’opera continua a sfuggirci, le indagini condotte durante il restauro hanno svelato particolari preziosi sulla sua storia e sul metodo di lavoro di Bruegel il Vecchio.
Cominciamo dalle novità che potremo apprezzare a occhio nudo visitando la Casa Museo Mayer van den Bergh di Anversa, dove il quadro è tornato lo scorso dicembre. In autunno sarà il pezzo forte della grande mostra Da Fouquet a Bruegel (5 ottobre 2019 - 31 dicembre 2020), progettata in collaborazione con il Museo Reale di Belle Arti della città per celebrare i 450 anni dalla morte dell’artista.
 
Dicevamo all’inizio dei “nuovi” colori della Dulle Griet. Il confronto del dipinto con un disegno attribuito a Bruegel il Giovane e conservato al Kunstpalast di Düsseldorf ha messo sull’avviso gli studiosi: questa copia esatta del quadro ha conservato intatte le sue cromie, diventando una testimonianza unica della tavolozza originaria di Margherita la Pazza. Asportando la patina ambrata che aveva coperto il capolavoro, il restauro ha rivelato il blu profondo dell’abito della strega e della bandiera, il verde della rana e un ricco repertorio di sfumature, restituendo al lavoro un aspetto più fresco, una maggiore profondità e al contempo scoprendo dettagli nascosti da secoli, tra cui un orsetto di peluche e il suggestivo paesaggio dipinto sullo sfondo.


Pieter Bruegel il Vecchio, Margherita la Pazza (Dulle Griet o Mad Meg), Particolare con il paesaggio sullo sfondo e la barca sorretta dal gigante, 1563, Museum Mayer van den Bergh, Anversa

Quello del Royal Institute for Cultural Heritage è stato un intervento multidisciplinare ad ampio raggio, capace di indagare attraverso un’ampia gamma di tecnologie sotto i molteplici strati del dipinto: quelli stesi da Bruegel e quelli dovuti ai restauri e ai ritocchi che si sono sovrapposti nel tempo. Fluorescenza ai raggi ultravioletti, riflettografia e fotografia agli infrarossi sono stati integrate da spettrografie Raman, microscopia elettronica, cromatografia al gas e da innovative analisi macro-XRF.
Il risultato è un vero e proprio viaggio nella storia materiale del dipinto, che non ha lesinato sorprese. Si è scoperto per esempio che la scritta “Dul”, finora creduta parte del titolo vergato da Bruegel, è stata invece aggiunta in tempi successivi e potrebbe persino essere un insieme di lettere privo di senso, come sembra indicare la presenza di segni simili in altre parti della tavola.
 
Un’altra importante novità riguarda la datazione. Due anni di differenza (l’opera non fu creata nel 1561, come si pensava, bensì nel 1563) fanno sorgere incertezze sul luogo d’origine della Dulle Griet: Anversa o Bruxelles, dove il pittore fiammingo si trasferì dopo il matrimonio? Le informazioni disponibili al momento sulla vita di Bruegel non consentono di stabilirlo.
Il lavoro congiunto di restauratori e studiosi ha infine permesso di far luce sul metodo di lavoro del maestro: lo strato di gesso che gli artisti erano soliti stendere sulla tavola grezza qui è coperto da una seconda sottile imprimitura, composta di gesso, bianco di piombo e, probabilmente, olio. Nonostante la scena dipinta sia vasta e complessa, il disegno sottostante è decisamente essenziale e solo in pochi punti si discosta dal risultato finale. Il colore, infine, è steso in pennellate sottilissime, mai date più di due volte sullo stesso punto, mentre le tonalità più vivaci sono ottenute dipingendo direttamente sul fondo bianco per esaltarne la brillantezza.
 
Maggiori informazioni sulle iniziative in programma per i 450 anni dalla scomparsa di Bruegel il Vecchio sono disponibili sul sito www.visitflanders.com.

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