Un gioiello barocco nel cuore di Napoli.
Il sacro, il teatro e la strada. Le Sette Opere della Misericordia di Caravaggio
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Sette opere di Misericordia, 16067-1607, Olio su tela, 260 x 390 cm, Napoli, Pio Monte della Misericordia
Francesca Grego
18/03/2020
Napoli - Una donna porge il seno a un vecchio dalla barba gocciolante di latte. Due piedi lividi si illuminano nel buio. Un uomo si abbevera dalla mascella di un asino. Intorno è un groviglio di corpi, vesti, individui pittoreschi che si accalcano in un vicolo angusto. Sembra una bagarre, invece è una scena religiosa tra le più potenti di sempre. E il pennello, manco a dirlo, è quello di Caravaggio. Nonostante l’estrema novità, le Sette Opere della Misericordia divennero un’icona prima che il tempo le trasformasse in storia. Ma comprenderle appieno è un’operazione tutt’altro che immediata. Voliamo a Napoli, dove il dipinto nacque quattro secoli fa, per addentrarci in un labirinto di ombra e luce.
Caravaggio è in fuga da Roma: ha ucciso un uomo in una rissa e sulla sua testa pende il bando capitale. Con l’aiuto della nobile Costanza Colonna trova rifugio nella capitale borbonica, città di contrasti che lascia in lui un segno immediato. Le commissioni fioccano, come pure le polemiche.
Qual è la storia del capolavoro?
All’origine c’è una richiesta del Pio Monte della Misericordia, un’istituzione privata che si occupa dei bisognosi. Per 370 ducati, l’artista dipingerà una pala d’altare per la Cappella della Confraternita sul tema delle sette opere della misericordia corporale descritte nei Vangeli. L’offerta non è per niente male: l’appannaggio annuale del facoltoso segretario dell’associazione ammonta solo a 24 ducati. E i risultati non si fanno attendere. In tempi da record Caravaggio realizza una tela che piace così tanto da spingere il Monte a vietarne la copia, il trasferimento e la vendita a qualsiasi prezzo.
Perché le Sette Opere della Misericordia sono un quadro rivoluzionario?
Caravaggio escogita una soluzione ardita e senza precedenti: condensa sette episodi in una sola scena, producendo una composizione che risucchia i protagonisti in un vortice di potente impatto emotivo. Una vera e propria macchina teatrale che si nutre del contrasto tra luci e ombre, sviluppando le innovazioni con cui il Merisi ha già fatto scalpore a Roma. La via è quella di un realismo radicale: il sacro si trasferisce in strada e il Vangelo ha il volto del popolo di Napoli, con gli abitanti dei vicoli messi in posa per l’occasione. Un aspetto che colpì profondamente Roberto Longhi, autore della riscoperta di Caravaggio nel XX secolo. “In un quadrivio all’imbrunire”, scrive Longhi, “angeli lazzari fanno la voltatella all’altezza dei primi piani, tra lo sgocciolio delle lenzuola lavate alla peggio e sventolanti a festone sotto la finestra da cui si affaccia una ‘nostra donna col bambino’, belli entrambi come un Raffaello ‘senza seggiola’ perché ripresi dalla verità nuda di Forcella o di Pizzofalcone”.
Come leggere il dipinto?
Due piani si fondono in un unico spazio che ingloba umano e divino. In alto una Vergine dal volto vissuto partecipa alle vicende degli uomini insieme al Bambino Gesù, entrambi sorretti da angeli in volo acrobatico. In basso le opere della misericordia enunciate da Cristo si fanno carne nel regno dei mortali. San Martino cura uno storpio dalla sua malattia e offre il mantello a un ignudo dalla schiena michelangiolesca, mentre l’oste della locanda del Cerriglio, dove Caravaggio alloggiava, offre ospitalità a un pellegrino con la conchiglia sul cappello, emblema di Santiago di Compostela. C’è anche un’opera assente dal racconto del Vangelo di Matteo: “seppellire i morti”, aggiunta all’elenco durante le pestilenze del Medioevo. Qui è rappresentata dal diacono con la fiaccola e da un uomo che trasporta un cadavere di cui vediamo spuntare i piedi su un lenzuolo bianco.
Chi è l’uomo che beve dalla mascella dell’asino?
È il mitico Sansone, l’eroe biblico dalla forza prodigiosa, che uccise mille uomini con la mascella di un asino e poi la gettò via, in un angolo del deserto che da allora prese il nome di Ramat-Lechi (in ebraico, “parte alta della mascella”). Subito dopo al gigante venne una gran sete. Il Signore spaccò la roccia di Lechi e ne fece scaturire acqua fresca. Perciò nell’opera di Caravaggio la storia di Sansone esemplifica l’azione di “dare da bere agli assetati”.
Perché una donna porge il seno a un uomo anziano?
Secondo gran parte dei critici si tratta di Pero e di suo padre Cimone, le cui vicende sono narrate nel Factorum et dictorum memorabilium dello storico latino Valerio Massimo. Cimone era in carcere, condannato a morte per fame. Pero lo visitava e lo nutriva segretamente con il proprio latte. Una guardia insospettita dalla buona salute del prigioniero scoprì l’inganno, ma la generosità della donna mosse a compassione i giudici che liberarono Cimone. Nel mondo antico l’episodio era noto come esempio della virtù romana della pietas. Caravaggio lo sceglie per rappresentare due opere della misericordia: “visitare i carcerati” e “dar da mangiare agli affamati”.
Dove si trova oggi il quadro?
A 413 anni dalla sua realizzazione, il dipinto di Caravaggio si trova ancora nella Cappella del Pio Monte della Misericordia, sulla centralissima - e fino a non molto tempo fa malfamata - via dei Tribunali a Napoli. Verso la metà del XVII secolo la chiesa fu ingrandita e ridisegnata dall’architetto barocco Francesco Antonio Picchiatti, che lavorò sodo per offrire alle Sette Opere una scenografia di prim’ordine. Oltre ad ammirare la pala sull’altare maggiore come tutti i fedeli, i visitatori contemporanei possono raggiungere il palchetto un tempo riservato ai membri della confraternita per contemplare il dipinto da una posizione esclusiva. Durante la scorsa primavera, inoltre, sono state installate al Pio Monte quattro sculture contemporanee in prezioso corallo rosso, concepite in dialogo con il capolavoro caravaggesco da una celebrità come Jan Fabre. A dispetto dei secoli trascorsi, le Sette Opere della Misericordia conservano il legame intimo e profondo con il luogo che le ispirò, immerse nell’umanità brulicante del cuore antico di Napoli.
Leggi anche:
• Storie di morte e di rinascita: Bernini e il Ratto di Proserpina
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Qual è la storia del capolavoro?
All’origine c’è una richiesta del Pio Monte della Misericordia, un’istituzione privata che si occupa dei bisognosi. Per 370 ducati, l’artista dipingerà una pala d’altare per la Cappella della Confraternita sul tema delle sette opere della misericordia corporale descritte nei Vangeli. L’offerta non è per niente male: l’appannaggio annuale del facoltoso segretario dell’associazione ammonta solo a 24 ducati. E i risultati non si fanno attendere. In tempi da record Caravaggio realizza una tela che piace così tanto da spingere il Monte a vietarne la copia, il trasferimento e la vendita a qualsiasi prezzo.
Perché le Sette Opere della Misericordia sono un quadro rivoluzionario?
Caravaggio escogita una soluzione ardita e senza precedenti: condensa sette episodi in una sola scena, producendo una composizione che risucchia i protagonisti in un vortice di potente impatto emotivo. Una vera e propria macchina teatrale che si nutre del contrasto tra luci e ombre, sviluppando le innovazioni con cui il Merisi ha già fatto scalpore a Roma. La via è quella di un realismo radicale: il sacro si trasferisce in strada e il Vangelo ha il volto del popolo di Napoli, con gli abitanti dei vicoli messi in posa per l’occasione. Un aspetto che colpì profondamente Roberto Longhi, autore della riscoperta di Caravaggio nel XX secolo. “In un quadrivio all’imbrunire”, scrive Longhi, “angeli lazzari fanno la voltatella all’altezza dei primi piani, tra lo sgocciolio delle lenzuola lavate alla peggio e sventolanti a festone sotto la finestra da cui si affaccia una ‘nostra donna col bambino’, belli entrambi come un Raffaello ‘senza seggiola’ perché ripresi dalla verità nuda di Forcella o di Pizzofalcone”.
Come leggere il dipinto?
Due piani si fondono in un unico spazio che ingloba umano e divino. In alto una Vergine dal volto vissuto partecipa alle vicende degli uomini insieme al Bambino Gesù, entrambi sorretti da angeli in volo acrobatico. In basso le opere della misericordia enunciate da Cristo si fanno carne nel regno dei mortali. San Martino cura uno storpio dalla sua malattia e offre il mantello a un ignudo dalla schiena michelangiolesca, mentre l’oste della locanda del Cerriglio, dove Caravaggio alloggiava, offre ospitalità a un pellegrino con la conchiglia sul cappello, emblema di Santiago di Compostela. C’è anche un’opera assente dal racconto del Vangelo di Matteo: “seppellire i morti”, aggiunta all’elenco durante le pestilenze del Medioevo. Qui è rappresentata dal diacono con la fiaccola e da un uomo che trasporta un cadavere di cui vediamo spuntare i piedi su un lenzuolo bianco.
Chi è l’uomo che beve dalla mascella dell’asino?
È il mitico Sansone, l’eroe biblico dalla forza prodigiosa, che uccise mille uomini con la mascella di un asino e poi la gettò via, in un angolo del deserto che da allora prese il nome di Ramat-Lechi (in ebraico, “parte alta della mascella”). Subito dopo al gigante venne una gran sete. Il Signore spaccò la roccia di Lechi e ne fece scaturire acqua fresca. Perciò nell’opera di Caravaggio la storia di Sansone esemplifica l’azione di “dare da bere agli assetati”.
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Secondo gran parte dei critici si tratta di Pero e di suo padre Cimone, le cui vicende sono narrate nel Factorum et dictorum memorabilium dello storico latino Valerio Massimo. Cimone era in carcere, condannato a morte per fame. Pero lo visitava e lo nutriva segretamente con il proprio latte. Una guardia insospettita dalla buona salute del prigioniero scoprì l’inganno, ma la generosità della donna mosse a compassione i giudici che liberarono Cimone. Nel mondo antico l’episodio era noto come esempio della virtù romana della pietas. Caravaggio lo sceglie per rappresentare due opere della misericordia: “visitare i carcerati” e “dar da mangiare agli affamati”.
Dove si trova oggi il quadro?
A 413 anni dalla sua realizzazione, il dipinto di Caravaggio si trova ancora nella Cappella del Pio Monte della Misericordia, sulla centralissima - e fino a non molto tempo fa malfamata - via dei Tribunali a Napoli. Verso la metà del XVII secolo la chiesa fu ingrandita e ridisegnata dall’architetto barocco Francesco Antonio Picchiatti, che lavorò sodo per offrire alle Sette Opere una scenografia di prim’ordine. Oltre ad ammirare la pala sull’altare maggiore come tutti i fedeli, i visitatori contemporanei possono raggiungere il palchetto un tempo riservato ai membri della confraternita per contemplare il dipinto da una posizione esclusiva. Durante la scorsa primavera, inoltre, sono state installate al Pio Monte quattro sculture contemporanee in prezioso corallo rosso, concepite in dialogo con il capolavoro caravaggesco da una celebrità come Jan Fabre. A dispetto dei secoli trascorsi, le Sette Opere della Misericordia conservano il legame intimo e profondo con il luogo che le ispirò, immerse nell’umanità brulicante del cuore antico di Napoli.
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