Al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria fino al 9 giugno
Da Dodona alla Magna Grecia. Le interrogazioni dei pellegrini all'oracolo di Zeus in mostra al MArRC
Oplita, statuetta in bronzo, 530-520 a.C., Museo Archeologico di Ioannina. Courtesy Ministry of Culture and Sports - Ephorate of Antiquities of Ioannina e Luigi Vecchio
Samantha De Martin
11/03/2019
Reggio Calabria - Agelochos, arrivato da Hergetion, chiede all’oracolo se sia vantaggioso o meno dedicarsi all’agricoltura. Eumedon domanda invece a Zeus Dodoneo se sia preferibile continuare a esercitare il proprio mestiere. Boukolos e Polymnaste si interrogano piuttosto su “cosa fare per avere salute, prole, discendenza maschile e un figlio fedele”.
Tra il VI e il II secolo a. C, nel Santuario di Dodona, in Epiro, i fedeli giunti da ogni parte della regione, ma anche della Tessaglia, dell’Attica, della Beozia, del Pelopponeso, e soprattutto dalle colonie della Magna Grecia, interrogavano l’oracolo in forma scritta - fatto pressoché unico nel mondo greco - facendo incidere le loro richieste su sottilissime laminette che, una volta avvenuta la consultazione, venivano lasciate nel santuario e spesso riutilizzate da altri interroganti.
Queste straordinarie testimonianze in piombo (e raramente in bronzo), grandi pochi centimetri, con incise lettere appena visibili all’occhio umano, che venivano piegate o arrotolate e presentate per la domanda dei fedeli, sono al centro della bella mostra in corso fino al 9 giugno al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
Le preziose preghiere, materiale solitamente oggetto di studio da parte dagli addetti ai lavori e raramente esposte al pubblico, hanno lasciato il Museo Archeologico di Ioannina - molte di queste per la prima volta - per varcare i confini della Grecia, attraversare quel mare già solcato dai loro interroganti e raccontare ai visitatori una storia che, ricongiungendo le sue sponde del mar Ionio, svela particolari archeologici e letterari inediti del santuario dedicato a Zeus, citato anche da Euripide, Erodoto, Pausania.
Frutto di un’importante collaborazione internazionale, il percorso espositivo “Dodonaios. L’oracolo di Zeus e la Magna Grecia” - a cura del direttore del MArRC, Carmelo Malacrino, di Konstantinos I. Soueref, direttore del Museo Archeologico di Ioannina e Soprintendente alle Antichità, di Fausto Longo e Luigi Vecchio, docenti del Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università degli Studi di Salerno - è il frutto della stretta sinergia tra il Museo di Reggio Calabria, il Museo dell’Epiro e l’Ateneo salernitano.
Il progetto affonda le radici nella mostra “L’oracolo dei suoni”, svoltasi ad Atene nel 2016.
“I colleghi greci - ha spiegato l’archeologo Fausto Longo, co-curatore per l’Università degli Studi di Salerno - si resero disponibili a portare le laminette in mostra per la prima volta in Italia. È stata un’opportunità importante per approfondire le ricerche sui rapporti tra queste due regioni del Mediterraneo, la Magna Grecia e l’Epiro, che presentano molte similitudini, non soltanto dal punto di vista morfologico e geografico. La storia del santuario riassume queste analogie che sono state approfondite in una prospettiva interdisciplinare nel corposo catalogo di circa 400 pagine che accompagna la mostra".
L’esposizione, che descrive un quadro emozionante fatto di relazioni tra il mitico santuario e le città della Magna Grecia, conta un centinaio di pezzi. Oltre alle laminette si susseguono diversi oggetti. Nella prima sezione, relativa al santuario e alla sua storia, allestita intorno ai simboli dell’attività oracolare, compaiono gli ex voto più antichi, come un Zeus guerriero (metà dell’VIII secolo a.C), un pugile del 550-525 a.C, opliti in bronzo, una clava con un’iscrizione risalente al IV secolo a.C, una spada criciforme, una kylix, un grifo in bronzo e ancora una gorgone e un piccolo leone. Anelli, brocche, teste velate, statuette femminili, stateri, coppe, lekythos a figure nere del V secolo a.C, foglie di quercia in bronzo - tutti reperti provenienti dal Museo Archeologico di Ioannina e dai depositi del MArRC - rinnovano la testimonianza di un culto che trascende i confini territoriali dell’Ellade per influire sulle condizioni socio-politiche e religiose delle comunità magnogreche.
La seconda parte è invece dedicata alla presentazione delle città magno-greche menzionate nelle laminette iscritte, come Taranto, Eraclea, Metaponto, Sibari, Thurii, Hipponion e Reggio.
Il percorso espositivo si conclude con il riferimento ai condottieri epiroti Alessandro il Molosso e Pirro, quando il santuario si trasforma, divenendo anche un importante centro politico.
Il visitatore è invitato a leggere le interrogazioni, per lo più private, innalzate dai pellegrini relativamente a futuro, salute, denaro, beni, matrimonio, viaggi, migrazioni. Non mancano le questioni pubbliche, circa gli affari politici e religiosi, poste da città o popoli attraverso appositi rappresentanti.
Il fatto che molti fedeli - per lo più di estrazione sociale bassa - non fossero in grado di scrivere, giustifica la presenza di personale che aveva cura di incidere i testi sulle laminette. Le iscrizioni erano redatte nei diversi dialetti greci. Quelle pubblicate sono 1700 e ci consentono di conoscere 4350 testi, distribuiti in un arco di tempo che va dalla fine del VI alla prima metà del II secolo a.C.
La richiesta si apriva in genere con l’invocazione al dio e alla buona sorte. Il richiedente si rivolgeva a Zeus, spesso invocato come Naios o Dodonaios, e il volere del dio era decifrato da sacerdoti e sacerdotesse attraverso modalità basate sul suono. Era il fruscio delle foglie della quercia sacra a Zeus - presente in tutti i racconti sull’origine del santuario e alla quale è dedicata la sezione centrale della mostra - o l’ “eco bronzea”, il suono prodotto dai lebeti posti sui tripodi che circondavano la quercia sacra, a suggerire la risposta del dio.
Le laminette in mostra a Reggio consentono di individuare numerosi riferimenti geografici, nomi di città e popoli, ma anche le provenienze, assai varie, e le destinazioni dei consultanti. Si scopre così un’intricata rete di spostamenti per mare e per terra, cucita da pellegrini arrivati a Dodona per lo più dall’Epiro, ma anche dalle colonie, come Taras, l’odierna Taranto, presente a Dodona con una consultazione pubblica che interroga l’oracolo sulla prosperità della città, o Sybaris, il cui interrogante consulta il dio prima di intraprendere un viaggio verso questa città. Anche nel caso di Kroton un’attestazione allude a un trasferimento nella città di un’intera famiglia, mentre in altri testi sono menzionate anche Rhegion (Reggio) e Hipponion (Vibo Valentia).
All’interno del museo dei Bronzi di Riace, lungo un percorso ben allestito, che si avvale di un interessante apparato multimediale e di pannelli interattivi, si rinnova pertanto quella preghiera innalzata al Dodonaios tanto da eroi, come Achille e Odisseo, quanto dalla gente semplice arrivata ad onorare il più antico tra gli oracoli della Grecia. Il Laboratorio SIGOT (Sistemi informativi Geografici per l’Organizzazione del Territorio) e il Laboratorio di archeologia ‘Mario Napoli’ entrambi afferenti al Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università di Salerno, hanno realizzato appositamente per la mostra una mappa con aree sensibili, consultabile on-line (oracledodona.it), che consente di visualizzare le città della Magna Grecia da cui provenivano i fedeli, ottenendo informazioni sulle città e sulle laminette rinvenute a Dodona.
“Le laminette in bronzo riferite alle colonie magnogreche in Calabria - ha commentato il direttore del MArRC, Carmelo Malacrino - insieme agli altri reperti esposti in questa grande mostra che si avvale di un comitato d’onore autorevole, conducono il visitatore in un affascinante viaggio alla scoperta del legame profondo e antico tra l’Italia e la Grecia, e in particolare tra le regioni che si affacciano sul mar Ionio, che separa, ma soprattutto unisce, le due sponde. Con questa mostra, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria conferma la sua vocazione di polo culturale nel bacino mediterraneo e di incontro tra popoli che condividono culture e tradizioni. Soprattutto si conferma come laboratorio di ricerca e luogo di sintesi tra studi e attività portati avanti da istituti diversi, sparsi nel mondo”.
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Tra il VI e il II secolo a. C, nel Santuario di Dodona, in Epiro, i fedeli giunti da ogni parte della regione, ma anche della Tessaglia, dell’Attica, della Beozia, del Pelopponeso, e soprattutto dalle colonie della Magna Grecia, interrogavano l’oracolo in forma scritta - fatto pressoché unico nel mondo greco - facendo incidere le loro richieste su sottilissime laminette che, una volta avvenuta la consultazione, venivano lasciate nel santuario e spesso riutilizzate da altri interroganti.
Queste straordinarie testimonianze in piombo (e raramente in bronzo), grandi pochi centimetri, con incise lettere appena visibili all’occhio umano, che venivano piegate o arrotolate e presentate per la domanda dei fedeli, sono al centro della bella mostra in corso fino al 9 giugno al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
Le preziose preghiere, materiale solitamente oggetto di studio da parte dagli addetti ai lavori e raramente esposte al pubblico, hanno lasciato il Museo Archeologico di Ioannina - molte di queste per la prima volta - per varcare i confini della Grecia, attraversare quel mare già solcato dai loro interroganti e raccontare ai visitatori una storia che, ricongiungendo le sue sponde del mar Ionio, svela particolari archeologici e letterari inediti del santuario dedicato a Zeus, citato anche da Euripide, Erodoto, Pausania.
Frutto di un’importante collaborazione internazionale, il percorso espositivo “Dodonaios. L’oracolo di Zeus e la Magna Grecia” - a cura del direttore del MArRC, Carmelo Malacrino, di Konstantinos I. Soueref, direttore del Museo Archeologico di Ioannina e Soprintendente alle Antichità, di Fausto Longo e Luigi Vecchio, docenti del Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università degli Studi di Salerno - è il frutto della stretta sinergia tra il Museo di Reggio Calabria, il Museo dell’Epiro e l’Ateneo salernitano.
Il progetto affonda le radici nella mostra “L’oracolo dei suoni”, svoltasi ad Atene nel 2016.
“I colleghi greci - ha spiegato l’archeologo Fausto Longo, co-curatore per l’Università degli Studi di Salerno - si resero disponibili a portare le laminette in mostra per la prima volta in Italia. È stata un’opportunità importante per approfondire le ricerche sui rapporti tra queste due regioni del Mediterraneo, la Magna Grecia e l’Epiro, che presentano molte similitudini, non soltanto dal punto di vista morfologico e geografico. La storia del santuario riassume queste analogie che sono state approfondite in una prospettiva interdisciplinare nel corposo catalogo di circa 400 pagine che accompagna la mostra".
L’esposizione, che descrive un quadro emozionante fatto di relazioni tra il mitico santuario e le città della Magna Grecia, conta un centinaio di pezzi. Oltre alle laminette si susseguono diversi oggetti. Nella prima sezione, relativa al santuario e alla sua storia, allestita intorno ai simboli dell’attività oracolare, compaiono gli ex voto più antichi, come un Zeus guerriero (metà dell’VIII secolo a.C), un pugile del 550-525 a.C, opliti in bronzo, una clava con un’iscrizione risalente al IV secolo a.C, una spada criciforme, una kylix, un grifo in bronzo e ancora una gorgone e un piccolo leone. Anelli, brocche, teste velate, statuette femminili, stateri, coppe, lekythos a figure nere del V secolo a.C, foglie di quercia in bronzo - tutti reperti provenienti dal Museo Archeologico di Ioannina e dai depositi del MArRC - rinnovano la testimonianza di un culto che trascende i confini territoriali dell’Ellade per influire sulle condizioni socio-politiche e religiose delle comunità magnogreche.
La seconda parte è invece dedicata alla presentazione delle città magno-greche menzionate nelle laminette iscritte, come Taranto, Eraclea, Metaponto, Sibari, Thurii, Hipponion e Reggio.
Il percorso espositivo si conclude con il riferimento ai condottieri epiroti Alessandro il Molosso e Pirro, quando il santuario si trasforma, divenendo anche un importante centro politico.
Il visitatore è invitato a leggere le interrogazioni, per lo più private, innalzate dai pellegrini relativamente a futuro, salute, denaro, beni, matrimonio, viaggi, migrazioni. Non mancano le questioni pubbliche, circa gli affari politici e religiosi, poste da città o popoli attraverso appositi rappresentanti.
Il fatto che molti fedeli - per lo più di estrazione sociale bassa - non fossero in grado di scrivere, giustifica la presenza di personale che aveva cura di incidere i testi sulle laminette. Le iscrizioni erano redatte nei diversi dialetti greci. Quelle pubblicate sono 1700 e ci consentono di conoscere 4350 testi, distribuiti in un arco di tempo che va dalla fine del VI alla prima metà del II secolo a.C.
La richiesta si apriva in genere con l’invocazione al dio e alla buona sorte. Il richiedente si rivolgeva a Zeus, spesso invocato come Naios o Dodonaios, e il volere del dio era decifrato da sacerdoti e sacerdotesse attraverso modalità basate sul suono. Era il fruscio delle foglie della quercia sacra a Zeus - presente in tutti i racconti sull’origine del santuario e alla quale è dedicata la sezione centrale della mostra - o l’ “eco bronzea”, il suono prodotto dai lebeti posti sui tripodi che circondavano la quercia sacra, a suggerire la risposta del dio.
Le laminette in mostra a Reggio consentono di individuare numerosi riferimenti geografici, nomi di città e popoli, ma anche le provenienze, assai varie, e le destinazioni dei consultanti. Si scopre così un’intricata rete di spostamenti per mare e per terra, cucita da pellegrini arrivati a Dodona per lo più dall’Epiro, ma anche dalle colonie, come Taras, l’odierna Taranto, presente a Dodona con una consultazione pubblica che interroga l’oracolo sulla prosperità della città, o Sybaris, il cui interrogante consulta il dio prima di intraprendere un viaggio verso questa città. Anche nel caso di Kroton un’attestazione allude a un trasferimento nella città di un’intera famiglia, mentre in altri testi sono menzionate anche Rhegion (Reggio) e Hipponion (Vibo Valentia).
All’interno del museo dei Bronzi di Riace, lungo un percorso ben allestito, che si avvale di un interessante apparato multimediale e di pannelli interattivi, si rinnova pertanto quella preghiera innalzata al Dodonaios tanto da eroi, come Achille e Odisseo, quanto dalla gente semplice arrivata ad onorare il più antico tra gli oracoli della Grecia. Il Laboratorio SIGOT (Sistemi informativi Geografici per l’Organizzazione del Territorio) e il Laboratorio di archeologia ‘Mario Napoli’ entrambi afferenti al Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università di Salerno, hanno realizzato appositamente per la mostra una mappa con aree sensibili, consultabile on-line (oracledodona.it), che consente di visualizzare le città della Magna Grecia da cui provenivano i fedeli, ottenendo informazioni sulle città e sulle laminette rinvenute a Dodona.
“Le laminette in bronzo riferite alle colonie magnogreche in Calabria - ha commentato il direttore del MArRC, Carmelo Malacrino - insieme agli altri reperti esposti in questa grande mostra che si avvale di un comitato d’onore autorevole, conducono il visitatore in un affascinante viaggio alla scoperta del legame profondo e antico tra l’Italia e la Grecia, e in particolare tra le regioni che si affacciano sul mar Ionio, che separa, ma soprattutto unisce, le due sponde. Con questa mostra, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria conferma la sua vocazione di polo culturale nel bacino mediterraneo e di incontro tra popoli che condividono culture e tradizioni. Soprattutto si conferma come laboratorio di ricerca e luogo di sintesi tra studi e attività portati avanti da istituti diversi, sparsi nel mondo”.
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